La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo VII

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Capitolo VII.

Di ciò che avvenne nel nostro soggiorno in Cipri.


Quando fummo arrivati in Cipri, il buon Re San Luigi era già là, e vi avea fatto fare provvisione di viveri a grande abbondanza. Perchè voi avreste detto che quei cellieri, quand’uomo li vedeva da lunge, fossero anzi grandi magioni, tanto s’ammontavano le une sulle altre le botti e le carrate di vino che le sue genti aveano acquistate da due anni innanzi, e che ora si levavano per mezzo i campi. E similmente era dei granai di frumento, orzo ed altre biade che erano altresì ammonticellati [p. 50 modifica]ne’ campi, i quali granai alla vista rendean sembianza di poggi tanto n’eran larghe ed alte le biche. E saper dovete che bene avreste creduto che fussero stati poggi, giacché la pioggia, che avea battute le biade da lungo tempo, le avea fatte germinare tutto al di sopra, talmente che non ne parea che la verdezza dell’erba. Ed egli avvenne che quando si volle levare il biado di là per menarlo in Egitto ove andava tutta l’oste del Re, se ne abbattè al di sopra la crosta erbosa, e si trovò il biado al di sotto sì bello e fresco come se e’ non ha guari fusse stato trebbiato. Frattanto il buon Re avea tal desiderio di andare in Egitto senza soggiornare che s’e’ non fussono stati li Baroni, e gli altri suoi prossimani, che là gli fecero attendere l’accolta di sue genti che erano tuttavia attardate, egli sarebbesene partito solo od a ben poco di compagnia.

Mentre che ’l Re soggiornava in Cipri, il Gran Re di Tartarìa inviò verso lui un’Ambasciata, e li Ambasciadori gli dissero di molte buone parole, non ostante che per avventura non ne fusse l’intenzione altresì dibonàre. Tra le quali parole mandavagli il Re di Tartarìa ch’egli era tutto presto ed al suo comando per atarlo a conquistare la Terra Santa e deliberare Gerusalemme delle mani de’ Saracini e de’ Pagani. Il Re ricevve benignamente tale Ambasciata, ed inviò parimente di sue genti in Ambascieria verso quel Re di Tartarìa e questi furono due anni avanti ch’e’ ritornassono. Ed inviò il Re al Tartarino una tenda fatta alla guisa d’una Cappella, la quale era molto ricca e ben fatta tutta di [p. 51 modifica]buono scarlatto fine. E ciò faceva per vedere s’egli potesse attrarre esso Re e sue genti alla nostra fede e credenza. Perchè e’ vi fece intagliare e ritrarre per imagine l’Annunciazione della Vergine Madre di Dio con tutti gli altri punti principali della Fede. E portarono la detta tenda duo Fratelli Minori che intendevano il linguaggio Saracinesco, che furono scelti dal Re perchè potessono confortarlo, ed insegnargli comente e’ doveva credere la buona fede di Dio. E ben sappiate che quando finalmente li due Fratelli Minori ritornarono di verso il Re, s’addirizzarono ad Acri credendo trovarvelo, ma poi ch’egli era già a Cesarea, se ne rivennero in Francia senz’altro. Ora il sapere siccome gli altri messaggeri, che ’l Re insieme coi detti Fratelli avea frammessi in Tartarìa, vi furono ricevuti, sarebbe meraviglia a raccontare, in così come l’ho udito narrare al Re, ed a quegli stessi dappoi molte volte secondo ch’io li inchiedeva; ma non ne dirò qui niente, per tema d’interrompere il principale della mia incominciata materia.

Voi dovete dunque sapere che del tempo che partii di Francia per venire oltre mare, io non teneva allora punto più di mille dugento lire di rendita, e sì mi caricai di nove Cavalieri, di cui io era il decimo, con tre bandiere, come v’ho detto qui innanzi. E quando fui arrivato in Cipri io non avea più che dugento quaranta lire tornesi che in oro che in argento, dopo che n’ebbi pagato il naulo dell’Uscieri. Talmente che alcuni de’ miei Cavalieri mi dissero ch’e’ mi abbandonerebbono se non mi [p. 52 modifica]provvedessi di moneta. Allora fui qualche poco ismarrito in mio coraggio, ma pur mantenni sempre fidanza in Dio. E n’ebbi pro, perchè quando il buon Re San Luigi seppe la mia distretta, si inviò cherendomi, e ritenutomi a lui, mi donò il buon Signore ottocento lire tornesi, di che ringraziai Dio, perch’io avea già più moneta ch’egli non me ne facesse bisogno.