La storia di Colombo narrata alla gioventù ed al popolo/V

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IV VI


È ad un monaco che la Spagna deve la gloria di aver fornito i mezzi a Cristoforo Colombo di scoprire il Nuovo Mondo; un monaco che si è tracciata da sè una pagina bella nella storia dell’Umanità, legando il proprio nome a quello immortale dello Scopritore.

«Ad una mezza lega da Palos (scrive Roselly de Lorgues), in vista dell’Oceano, sorge un promontorio scosceso attorniato da vigneti e fichi, la cui vetta era coronata da un bosco di pini ombrelliferi. Simile a nido di colomba, un monastero ascoso dalla foresta innalzava il suo campanile sopra la cima degli alberi, esalanti un odore il cui aroma salutare si maritava al profumo del timo e della lavanda che loro fiorivano a’ piedi. Questo monastero abitato allora dai religiosi di San Francesco, era dedicato alla Vergine e si chiamava Santa Maria della Rabida...» A questo monastero arrivava un giorno a piedi Cristoforo col figlio Diego; e al padre guardiano domandava un po’ d’acqua e pane.

Il padre guardiano ammirando il viso intelligente, sebbene accasciato, del forastiero, lo domandò dell’ esser suo.

Egli non si fece pregare, e gli disse che proveniva dalla Corte alla quale aveva progettato una spedizione marittima che sarebbe tornata di grande benefizio alla Spagna, ma che non avendo potuto venire ad alcuna conclusione, anzi essendo stato deriso e schernito, si rivolgeva ad altri paesi.

Il monaco, Giovanni Perez, che già era stato confessore della regina Isabella e della quale conosceva il cuore generoso, invitò Cristoforo ad esporgli meglio il suo progetto, alla presenza del medico Hernandez che s’intendeva un po’ d’astronomia; dopo di che tratteneva al convento l’afflitto genovese e scriveva una lettera alla regina esortandola a favorire il progetto di Colombo.

Quattordici giorni dopo, una lettera della regina invitava il p. Perez a recarsi da lei e intanto inviava all’ardito marinaio 20 mila maravedi (300 lire dei nostri giorni) affine si provvedesse di abiti convenienti e di cavalcatura.

I Reali si trovavano al campo di Santa Fè e ivi andò subito il p. Perez, che conferito colla regina Isabella, tornò alla Rabida a pigliarvi Colombo che fu questa volta ricevuto con maggiore benevolenza dai Sovrani. Costoro però, innanzi di decidersi definitivamente alla progettata spedizione, vollero sentire un Consiglio di alti dignitari, nel quale prevalse e s’impose a tutti l’avviso favorevole a Colombo del Grande Cardinale di Spagna, Mendoza.

I Sovrani di Aragona e Castiglia decisero quindi la spedizione; ma alla conclusione del contratto un’altra difficoltà si opponeva. «La difficoltà procedeva dallo stesso Colombo. Egli, scrive l’abate Sanguineti, poneva dei patti che per un oscuro avventuriere pareano a quei cortigiani troppo superbi. Egli chiedeva titoli, privilegi, vantaggi che lo facevano salire al di sopra della primiera nobiltà di Spagna e di quelle case principesche, che pareano altrettante corti reali. Alle reclamazioni e proteste in contrario egli oppose un’ostinata fermezza a non recedere d’una sola linea dalla sua domanda; pronto a rinunziare all’impresa e ad abbandonare di presente la Spagna. Anche su questo punto si cedette, e si stipularono le condizioni da lui volute, il titolo cioè di Grande Almirante dell’Oceano con tutte le prerogative e poteri che traeva seco, quello di Vicerè di tutte le terre che avrebbe aggregato al dominio dei Reali di Spagna, oltre i vantaggi materiali che a lui piacea ripetere, fondati sulle presunte conquiste ancora avvolte nel tempo futuro».

Tutto ciò accadeva negli ultimi mesi del 1491, e soltanto dopo il gennaio del 1492, espugnata Granata, i Sovrani diedero l’ordine di preparare tre caravelle, due delle quali a carico della piccola città di Palos, ed una per conto della regina sul tesoro di Castiglia. Alle altre spese fu provveduto diversamente e in parte vi concorse lo stesso Colombo coll’aiuto di suoi compatrioti residenti in Ispagna.