La vedova scaltra/L'autore a chi legge

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L’autore a chi legge

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Lettera di dedica Personaggi
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L'AUTORE

A CHI LEGGE.


A
VENDO io divisato e promesso in questa mia novella edizione1 di correggere e riformare le mie Commedie per renderle meno indegne del pubblico gradimento, dovrei nella Vedova Scaltra impiegarvi maggiore studio che in molte altre, avendone essa maggior bisogno, per essere a buone regole e a miglior lettura ridotta. Ella è la seconda Commedia di carattere che io ho composto, sendo La donna di garbo la prima, e tutte e due sentono ancora non poco del cattivo Teatro, con cui confinavano, ed hanno quel sorprendente e maraviglioso, che ho poi col tempo a verità e natura condotto. Ciò non ostante io non ardisco alterare l’intreccio ed il sistema qualunque siasi di questa Commedia, poiché, imperfetta come ella è, ha avuto la buona sorte di piacere al Pubblico estremamente, e dura tuttavia dopo quindici anni la sua fortuna, onde crederei far un torto alla pubblica approvazione, cangiandola essenzialmente, e arrischierei di sfigurarla e di farle perdere l’acquistato concetto. Così parimenti si è regolato Cornelio rispetto al Cid delle Spagne, così Molière intorno alle sue Preziose ridicole. Furono queste due opere criticate in particolare, ma piacevano al Pubblico estremamente e non ardirono di migliorarle.

Schiamazzino pure i Critici a loro posta, perchè nella Vedova Scaltra un Inglese, un Francese, uno Spagnuolo parlano ben l’Italiano; che gran maraviglia? come se il nostro linguaggio non fosse coltivato in tutte le più polite Corti di Europa da tutte quasi le persone di conto, e non fosse costume di parlar il linguaggio della nazione, tra la quale un si trova, quando adeguatamente favellar quello sappia; o come s’io fossi il primo Autor di azioni Teatrali, che introducendo nelle sue Favole Attori forestieri, parlar li faccia nella lingua del Paese, e non nella nativa, o vogliasi creder [p. 288 modifica]tradotta la Favola stessa, o vogliansi supporre gli Attori periti dell’idioma che parlano. L’Arlecchino, il Dottore parlano francese, per queste ragioni, a Parigi: Plauto, Terenzio han le lor Commedie la maggior parte di personaggi Greci composte, e per questo li fan essi parlar greco o latino? E nelle Tragedie sarebbe una delizia per gl’Italiani il sentir parlar turco od arabo un Orbecche, un Solimano; parlare scita un Oronte, caldeo una Semiramide, persiano un Ciro. Si dee supporre che gli uditori si figurino di sentir parlare gli Attori la loro lingua nativa, benché di fatto parlino la paesana; tosto che al carattere ne conoscano la nazione, e ciò con ragione e per una spezie di necessità; perciocché le lingue straniere non sarebbono intese dalla maggior parte dell’Uditorio, di esse ignorante; e sarebbe facile che i Comici le storpiassero parlandole, onde gl’imperiti non goderebbono la Commedia, per non intenderne il linguaggio, ed i periti si sdegnerebbono in sentir maltrattati gl’idiomi.

Ma è vano ch’io cerchi su questa ed altre imputazioni giustificarmi. La Commedia è piaciuta al Pubblico, il Pubblico la difende, e su tal difesa m’acquieto. Si acchetino i Critici ancora, se loro piace; quando no, si assicurino ch’io faccio il sordo.


Note

  1. Intendi l’ed. Paperini di Firenze (t. III, 1753), donde il Pasquali ricopiò fedelmente la prefazione.