La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo LXXIII

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Libro primo
Capitolo LXXIII

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Intanto li nimici mia, di Banchi a lento passo s’erano avviati inverso la Chiavica, luogo detto cosí, e arrivati in su una crociata di strade le quali vanno in diversi luoghi; ma quella dove era la casa del mio nimico Pompeo, era quella strada che diritta porta a Campo di Fiore; e per alcune occasione de il detto Pompeo, era entrato in quello ispeziale che stava in sul canto della Chiavica, e soprastato con ditto speziale alquanto per alcune sue faccende; benché a me fu ditto che lui si era millantato di quella bravata che allui pareva aver fattami: ma in tutti i modi la fu pur sua cattiva fortuna; perché arrivato che io fui a quel canto, apunto lui usciva dallo speziale, e quei sua bravi si erano aperti, e l’avevano di già ricevuto in mezzo. Messi mano a un picol pungente pugnaletto, e sforzato la fila de’ sua bravi, li messi le mane al petto con tanta prestezza e sicurtà d’animo, che nessuno delli detti rimediar non possettono. Tiratogli per dare al viso, lo spavento che lui ebbe li fece volger la faccia, dove io lo punsi apunto sotto l’orecchio; e quivi raffermai dua colpi soli, che al sicondo mi cadde morto di mano, qual non fu mai mia intenzione; ma, sí come si dice, li colpi non si danno a patti. Ripreso il pugnale con la mano istanca, e con la ritta tirato fuora la spada per la difesa della vita mia, dove tutti quei bravi corsono al morto corpo, e contro a me non feceno atto nessuno, cosí soletto mi ritirai per strada Iulia, pensando dove io mi potessi salvare. Quando io fui trecento passi, mi raggiunse il Piloto, orefice, mio grandissimo amico, il quale mi disse: - Fratello, da poi che ’l male è fatto, veggiamo di salvarti -. Al quale io dissi: - Andiamo in casa di Albertaccio del Bene, che poco inanzi gli avevo detto che presto verrebbe il tempo che io arei bisogno di lui -. Giunti che noi fummo a casa Albertaccio, le carezze furno inistimabile, e presto comparse la nobiltà delli giovani di Banchi d’ogni nazione, da’ Milanesi in fuora; e tutti mi si offersono di mettete la vita loro per salvazione della vita mia. Ancora misser Luigi Rucellai mi mandò a offerire maravigliosamente, che io mi servissi delle cose sua, e molti altri di quelli omaccioni simili a lui; perché tutti d’accordo mi benedissono le mani, parendo loro che colui mi avessi troppo assassinato, e maravigliandosi molto che io avessi tanto soportato.