La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo LXXXVII

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Libro primo
Capitolo LXXXVII

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Intanto io avevo rimandato a Roma il fidelissimo Filice alla cura delle faccende di là. Sollevato alquanto la testa dal primaccio, che fu in termine di quindici giorni, se bene io non potevo andare con i mia piedi, mi feci portare innel palazzo de’ Medici, su dove è il terrazzino: cosí mi feci mettere a sedere per aspettare il Duca che passassi. E facendomi motto molti mia amici di Corte, molto si maravigliavano che io avessi preso quel disagio a farmi portare in quel modo, essendo dalla infirmità sí mal condotto; dicendomi che io dovevo pure aspettar d’esser guarito, e dipoi visitare il Duca. Essendo assai insieme ragunati, e tutti mi guardavano per miracolo; non tanto l’avere inteso che io ero morto, ma piú pareva loro miracolo, che come morto parevo loro. Allora io dissi, presente tutti, come gli era stato detto da qualche scellerato ribaldo al mio signor Duca, che io mi ero vantato di voler essere il primo a salire in su le mura di Sua Eccellenzia, e che appresso io avevo detto male di quella; per la qual cosa a me non bastava la vista di vivere né di morire, se prima io non mi purgavo da questa infamia, e conoscere chi fussi quel temerario ribaldo che avessi fatto quel falso rapporto. A queste parole s’era ragunato una gran quantità di que’ gentiluomini; e mostrando avere di me grandissima compassione, e chi diceva una cosa e chi un’altra; io dissi che mai piú mi volevo partir di quivi, insin che io non sapevo chi era quello che mi aveva accusato. A queste parole s’accostò fra tutti que’ gentiluomini maestro Agostino, sarto del Duca, e disse: - Se tu non vuoi sapere altro che cotesto, ora ora lo saprai -. A punto passava Giorgio sopraditto, dipintore: allora maestro Agustino disse: - Ecco chi t’ha accusato: ora tu sai tu se gli è vero o no -. Io arditamente, cosí come io non mi potevo muovere, dimandai Giorgio se tal cosa era vera. Il ditto Giorgio disse che no, che non era vero, e che non aveva mai detto tal cosa. Maestro Austino disse: - O impiccato, non sai tu che io lo so certissimo? - Subito Giorgio si partí, e disse che no, che lui non era stato. Stette poco e passò ’l Duca; al quali io subito mi feci sostenere innanzi a Sua Eccellenzia, e lui si fermò. Allora io dissi che io ero venuto quivi a quel modo, solo per iustificarmi. Il Duca mi guardava e si maravigliava che io fussi vivo; di poi mi disse che io attendessi a essere uomo dabbene e guarire. Tornatomi a casa, Niccolò da Monte Aguto mi venne a trovare, e mi disse che io avevo passato una di quelle furie la maggiore del mondo, quale lui non aveva mai creduto; perché vidde il male mio scritto d’uno immutabile inchiostro; e che io attendessi a guarire presto, e poi mi andassi con Dio, perché la veniva d’un luogo e da uomo, il quale mi arebbe fatto male. E poi ditto - guarti – e’ mi disse: - Che dispiaceri ha’ tu fatti a quel ribaldaccio di Ottaviano de’ Medici? - Io gli dissi che mai io avevo fatto dispiacere allui, ma che lui ne aveva ben fatti a me: e contatogli tutto il caso della zecca, e’ mi disse: - Vatti con Dio il piú presto che tu puoi, e sta’ di buona voglia, che piú presto che tu non credi vedrai le tua vendette -. Io attesi a guarire: detti consiglio a Pietropagolo, ne’ casi delle stampe delle monete; dipoi m’andai con Dio, ritornandomi a Roma, sanza far motto al Duca o altro.