La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo XXI

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Libro primo
Capitolo XXI

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Venuto l’altro giorno, madonna Porzia mandato alla mia bottega un suo maestro di casa, mi chiamò fuora, e pòrtomi in mano un cartoccio pieno di danari da parte di quella signora, mi disse, che lei non voleva che il diavol se ne ridessi affatto; mostrando che quello che la mi mandava non era lo intero pagamento che meritavano le mie fatiche, con molte altre cortese parole degne di cotal signora. Lucagnolo, che gli pareva mill’anni di accostare il suo cartoccio al mio, subito giunto in bottega, presente dodici lavoranti e altri vicini fattisi innanzi, che desideravano veder la fine di tal contesa, Lucagnolo prese il suo cartoccio con ischerno ridendo, dicendo: - Ou! ou - tre o quattro volte, versato li dinari in sul banco con gran rumore: i quali erano venticinque scudi di giuli, pensando che li mia fussino quattro o cinque scudi di moneta: dove che io, soffocato dalle grida sue, dallo sguardo e risa de’ circunstanti, guardando cosí un poco dentro innel mio cartoccio, veduto che era tutto oro, da una banda del banco tenendo gli occhi bassi, senza un romore al mondo, con tutt’a dua le mane forte in alto alzai il mio cartoccio, il quali facevo versare a modo di una tramoggia di mulino. Erano li mia danari la metà piú che li sua; in modo che tutti quegli occhi, che mi s’erano affisati a dosso con qualche ischerno, subito vòlti a lui, dissono: - Lucagnolo, questi dinari di Benvenuto per essere oro, e per essere la metà piú, fanno molto piú bel vedere che li tua -. Io credetti certo, che per la invidia, insieme con lo scorno che ebbe quel Lucagnolo, subito cascassi morto: e con tutto che di quelli mia danari allui ne venissi la terza parte, per esser io lavorante - ché cosí è il costume: dua terzi ne tocca a il lavorante e l’altra terza parte alli maestri della bottega - potette piú la temeraria invidia che la avarizia in lui, qual doveva operare tutto il contrario, per essere questo Lucagnolo nato d’un contadino da Iesi. Maladisse l’arte sua e quelli che gnene avevano insegnata, dicendo che da mò innanzi non voleva piú fare quell’arte di grosseria; solo voleva attendere a fare di quelle bordellerie piccole, da poi che le erano cosí ben pagate. Non manco sdegnato io dissi, che ogni uccello faceva il verso suo; che lui parlava sicondo le grotte di dove egli era uscito, ma che io gli protestavo bene, che a me riuscirebbe benissimo il fare delle sue coglionerie, e che a lui non mai riuscirebbe il far di quella sorte bordellerie. Cosí partendomi adirato, gli dissi che presto gnene faria vedere. Quelli che erano alla presenza gli dettono a viva voce il torto, tenendo lui in concetto di villano come gli era, e me in concetto di uomo, sí come io avevo mostro.