La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo CIII

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Libro secondo
Capitolo CIII

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Io non mancavo di sollicitare il mio lavoro del Nettunno, e di già l’avevo tutto bozzato, sí come io dissi di sopra, con bonissima regola, la quale non l’ha mai usata né saputa nessuno innanzi a me; di modo che, se bene io ero certo di non avere il marmo per le cause dette di sopra, io mi credevo presto di aver finito, e subito lasciarlo vedere alla Piazza, solo per mia sattisfazione. La stagione si era calda e piacevole, di modo che, essendo tanto carezzato da questi dua ribaldi, io mi mossi un mercoledí, che era dua feste, di villa mia a Trespiano, e avevo fatto buona colezione, di sorte che gli era piú di venti ore quando io arrivai a Vicchio; e subito trovai ser Filippo alla porta di Vicchio, il qual pareva che sapessi come io vi andavo; tante carezze ei mi fece e menatomi a casa dello Sbietta, dove era la sua impudica moglie, ancora lei mi fece carezze smisurate; alla quale io donai un cappello di paglia finissimo; perché ella disse di non aver mai veduto il piú bello. Allora e’ non v’era lo Sbietta. Appressandosi alla sera, noi cenammo tutti insieme molto piacevolmente: di poi mi fu dato una onorevol camera, dove io mi riposai innun pulitissimo letto; e a dua mia servitori fu dato loro il simile, secondo il grado loro. La mattina, quando mi levai, e’ mi fu fatto le medesime carezze. Andai a vedere il mio podere, il quale mi piacque: e mi fu consegnato tanto grano e altre biade; e di poi, tornatomene a Vicchio, il prete ser Filippo mi disse: - Benvenuto, non vi dubitate; che se bene voi non vi avessi trovato tutto lo intero di quello che e’ v’è stato promesso, state di buona voglia, che e’ vi sarà attenuto da vantaggio, perché voi vi siete impacciato con persone dabbene: e sappiate che cotesto lavoratore noi gli abbiamo dato licenzia, perché gli è un tristo -. Questo lavoratore si chiamava Mariano Rosegli, il quale piú volte mi disse: - Guardate bene a’ fatti vostri, che alla fine voi conoscerete chi sarà di noi il maggior tristo -. Questo villano, quando ei mi diceva queste parole, egli sogghignava innun certo mal modo, dimenando ’l capo, come dire: - Va pur là, che tu te n’avvedrai -. Io ne feci un poco di mal giudizio, ma io non mi immaginavo nulla di quello che mi avvenne. Ritornato dal podere, il quale si è due miglia discoste da Vicchio, inverso l’alpe, trovai il detto prete, che colle sue solite carezze mi aspettava; cosí andammo a fare colezione tutti insieme: questo non fu desinare, ma fu una buona colezione. Dipoi andandomi a spasso per Vicchio, di già egli era cominciato il mercato; io mi vedevo guardare da tutti quei di Vicchio come cosa disusa da vedersi, e piú che ogni altri da un uomo dabbene, che si sta, di molti anni sono, in Vicchio, e la sua moglie fa del pane a vendere. Egli ha quivi presso a un miglio certe sue buone possessione; però si contenta di stare a quel modo. Questo uomo dabbene abita una mia casa, la quale si è in Vicchio, che mi fu consegnata con il detto podere, qual si domanda il podere della Fonte; e mi disse: - Io sono in casa vostra, e al suo tempo io vi darò la vostra pigione; o vorretela innanzi, in tutti i modi che vorrete farò: basta che meco voi sarete sempre d’accordo -. E in mentre che noi ragionavamo, io vedevo che questo uomo mi affisava gli occhi addosso: di modo che io, sforzato da tal cosa, gli dissi: - Deh ditemi, Giovanni mio caro, perché voi piú volte mi avete cosí guardato tanto fiso? - Questo uomo dabbene mi disse: - Io ve lo dirò volentieri, se voi, da quello uomo che voi siate, mi promettere di non dire che io ve l’abbia detto -. Io cosí gli promessi. Allora ei mi disse: - Sappiate che quel pretaccio di ser Filippo, e’ non sono troppi giorni, che lui si andava vantando delle valenterie del suo fratello Sbietta, dicendo come gli aveva venduto il suo podere a un vecchio a vita sua, il quale e non arriverebbe all’anno intero. Voi vi siate impacciato con parecchi ribaldi, sí che ingegnatevi di vivere il piú che voi potete, e aprite gli occhi, perché ci vi bisogna; io non vi voglio dire altro.