La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo CIV

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Libro secondo
Capitolo CIV

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Andando a spasso per il mercato, vi trovai Giovanbatista Santini, e lui e io fummo menati accena dal detto prete; e, sí come io ho detto per l’addietro, egli era in circa alle venti ore, e per causa mia e’ si cenò cosí abbuon’otta, perché avevo detto che la sera io mi volevo ritornare a Trespiano: di modo che prestamente e’ si messe in ordine, e la moglie dello Sbietta si affaticava, e infra gli altri un certo Cecchino Buti, lor lancia. Fatto che furno le insalate, e cominciando a volere entrare attavola, quel detto mal prete, faccendo un certo suo cattivo risino, disse: - E’ bisogna che voi mi perdoniate, perché io non posso cenar con esso voi, perché e’ m’è sopragiunto una faccenda di grande inportanza per conto dello Sbietta, mio fratello: per non ci essere lui, bisogna che io sopperisca per lui -. Noi tutti lo pregammo e non potemmo mai svoggerlo: egli se n’andò, e noi cominciammo accenare. Mangiato che noi avemmo le insalate in certi piattelloni comuni, cominciandoci a dare carne lessa, venne una scodella per uno. Il Santino, che mi era attavola al dirimpetto, disse: - A voi e’ danno tutte le stoviglie diferente da quest’altre: or vedesti voi mai le piú belle? - Io gli dissi che di tal cosa io non me n’ero avveduto. Ancora ei mi disse che io chiamassi a tavola la moglie dello Sbietta, la quale, lei e quel Cecchino Buti, correvono innanzi e indietro, tutti infaccendati istrasordinatamente. In fine io pregai tanto quella donna che la venne; la quale si doleva, dicendomi: - Le mie vivande non vi sono piaciute. Però voi mangiate cosí poco -. Quando io l’ebbi parecchi volte lodato la cena, dicendole che io non mangiai mai né piú di voglia né meglio, all’ultimo io dissi che io mangiavo il mio bisogno appunto. Io non mi sarei mai immaginato perché quella donna mi faceva tanta ressa che io mangiassi. Finito che noi avemmo di cenare gli era passato le ventun’ora, e io avevo desiderio di tornarmene la sera a Trespiano, per potere andare l’altro giorno al mio lavoro della Loggia: cosí dissi addio attutti, e ringraziato la donna mi parti’. Io non fui discosto tre miglia, che e’ mi pareva che lo stomaco mi ardessi, e mi sentivo travagliato di sorte che e’ mi pareva mill’anni di arrivare al mio podere di Trespiano. Come a Dio piacque arrivai di notte, con gran fatica, e subito detti ordine d’andarmene a riposare. La notte io non mi potetti mai riposare, e di piú mi si mosse ’l corpo, il quale mi sforzò parecchi volte a ’ndare al destro, tanto che, essendosi fatto dí chiaro, io sentendomi ardere il sesso, volsi vedere che cosa la fussi: trovai la pezza molto sanguinosa. Subito io mi immaginai di aver mangiato qualche cosa velenosa, e piú e piú volte mi andavo esaminando da me stesso, che cosa la potessi essere stata: e mi tornò in memoria quei piatti e scodelle e scodellini, datimi differenziati dagli altri la detta moglie dello Sbietta; e perché quel mal prete, fratello dello Sbietta, ed essendosi tanto affaticato in farmi tanto onore, e poi non volere restare a cena con esso noi; e ancora mi tornò in memoria l’aver detto il detto prete come il suo Sbietta aveva fatto un sí bel colpo con l’aver venduto un podere a un vecchio a vita, il quale non passerebbe mai l’anno; ché tal parole me l’aveva ridette quell’uomo dabbene di Giovanni Sardella. Di modo che io mi risolsi, che eglino m’avessino dato innuno scodellino di salsa, la quale si era fatta molto bene e molto piacevole da mangiare, una presa di silimato, perché il silimato fa tutti quei mali che io mi vedevo d’avere; ma perché io uso di mangiare poche salse o savori colle carne, altro che ’l sale, imperò e mi venne mangiato dua bocconcini di quella salsa, per essere cosí buona alla bocca. E mi andavo ricordando come molte volte la detta moglie dello Sbietta mi sollicitava con diversi modi, dicendomi che io mangiassi quella salsa: di modo che io conobbi per certissimo che con quella detta salsa eglino mi avevano dato quel poco del silimato.