La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo L

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Libro secondo
Capitolo L

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In mentre che meco medesimo io facevo questo contrasto, mi senti’ chiamare da Ascanio; e al primo mi sollevai dal letto, e li domandai se lui mi portava buone o triste nuove. Disse il ladrone: - Buone nuove porto; ma sol bisogna che voi rimandiate indietro li tre vasi, perché quei ribaldi di quei tesaurieri gridano accorruomo, di modo che il Vescovo e messer Guido dicono che voi gli rimandiate a ogni modo: e del resto non vi dia noia nulla, e andate a godervi questo viaggio felicemente -. Subitamente io gli resi i vasi, che ve n’era dua mia, con l’argento e ogni cosa. Io gli portavo alla badia del Cardinale di Ferrara in Lione; perché se bene e’ mi detton nome che io me ne gli volevo portare in Italia, questo si sa bene per ugniuno che non si può cavare né danari, né oro, né argento, sanza gran licenzia. Or ben si debbe considerare se io potevo cavare quei tre gran vasi, i quali occupavono con le loro casse un mulo. Bene è vero che, per essere quelli cosa molto bella e di gran valore, io sospettavo della morte del Re, perché certamente io l’avevo lasciato molto indisposto; e da me dicevo: - Se tal cosa avenissi, avendogli io in mano al Cardinale, io non gli posso perdere -. Ora, in conclusione, io rimandai il detto mulo con i vasi e altre cose d’importanza; e con la ditta compagnia la mattina seguente attesi a camminare innanzi, né mai per tutto il viaggio mi potetti difendere di sospirare e piagnere. Pure alcune volte con Idio mi confortavo, dicendo: - Signore Idio, tu che sai la verità, cognosci che questa mia gita è solo per portare una elimosina a sei povere meschine verginelle e alla madre loro, mia sorella carnale; che se bene quelle hanno il lor padre, gli è tanto vecchio e l’arte sua non guadagna nulla; che quelle facilmente potrieno andare per la mala via; dove faccendo io questo opera pia, spero da Tua Maestà aiuto e consiglio -. Questo si era quanta recreazione io mi pigliavo camminando innanzi. Trovandoci un giorno presso a Lione a una giornata, era vicino alle ventidua ore, cominciò il cielo a fare certi tuoni secchi, e l’aria era bianchissima: io ero innanzi una balestrata dalli mia compagni; doppo i tuoni faceva il cielo un romore tanto grande e tanto paventoso, che io da per me giudicavo che fussi il dí del Giudizio; e fermatomi alquanto, cominciò a cadere una gragnuola senza gocciola d’acqua. Questa era grossa piú che pallottole di cerbottana, e, dandomi addosso, mi faceva gran male: a poco a poco questa cominciò a ringrossare di modo che l’era come pallottole d’una balestra. Veduto che ’l mio cavallo forte ispaventava, lo volsi addietro con grandissima furia a corso, tanto che io ritrovai li mia compagni, li quali per la medesima paura s’erano fermi drento in una pineta. La gragnuola ringrossava come grossi limoni: io cantavo un Miserere; e in mentre che cosí dicevo divotamente a Dio, venne un di quei grani tanto grosso che gli scavezzò un ramo grossissimo di quel pino, dove mi pareva esser salvo. Un’altra parte di quei grani dette in sul capo al mio cavallo, qual fe’ segno di cadere in terra; a me ne colse uno, ma non in piena, perché m’aria morto. Similmente ne colse uno a quel povero vecchio di Lionardo Tedaldi, di sorte che lui, che stava come me ginocchioni, gli fe’ dare delle mane in terra. Allora io prestamente, veduto che quel gran ramo non mi poteva piú difendere e che col Miserere bisognava far qualche opera, cominciai a raddoppiarmi e’ panni in capo: e cosí dissi a Lionardo, che accorruomo gridava: - Giesú, Giesú - che quello lo aiuterebbe se lui si aiutava. Ebbi una gran fatica piú a campar lui che me medesimo. Questa cosa durò un pezzo, pur poi cessò e noi, ch’eràmo tutti pesti, il meglio che noi potemmo ci rimettemmo a cavallo; e in mentre che noi andavamo inverso l’alloggiamento, mostrandoci l’un l’altro gli scalfitti e le percosse, trovammo un miglio innanzi tanta maggior mina della nostra, che pare impossibile a dirlo. Erano tutti gli arbori mondi e scavezzati, con tanto bestiame morto, quanto la n’aveva trovati; e molti pastori ancora morti: vedemmo quantità assai di quelle granella le quali non si sarebbon cinte con dua mani. Ce ne parve avere un buon mercato, e cognoscemmo allora che il chiamare Idio e quei nostri Misereri ci avevano piú servito che da per noi non aremmo potuto fare. Cosí ringraziando Idio, ce ne andammo in Lione l’altra giornata appresso, e quivi ci posammo per otto giorni. Passati gli otto giorni, essendoci molto bene ricreati, ripigliammo il viaggio, e molto felicemente passammo i monti. Ivi io comperai un piccol cavallino, perché certe poche bagaglie avevano alquanto istracco i mia cavalli.