La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XLIX

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Libro secondo
Capitolo XLIX

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Andatomene a Parigi, sí come m’aveva detto il Cardinale, feci di mirabil casse per quei tre vasi d’argento. Passato che fu venti giorni, mi messi in ordine, e li tre vasi messi in su ’n una soma di mulo, il quale mi aveva prestato per insino in Lione il vescovo di Pavia, il quale io avevo alloggiato di nuovo innel mio castello. Partimmi innella mia malora, insieme col signore Ipolito Gonzaga, il qual signore stava al soldo del Re e trattenuto dal conte Galeotto della Mirandola, e con certi altri gentiluomini del detto conte. Ancora s’accompagnò con esso noi Lionardo Tedaldi nostro fiorentino. Lasciai Ascanio e Pagolo in custode del mio castello e di tutta la mia roba, infra la quale era certi vasetti cominciati, i quali io lasciavo, perché quei dua giovani non si stessino. Ancora c’era molto mobile di casa di gran valore, perché io stavo molto onoratamente: era il valore di queste mie dette robe di piú di mille cinquecento scudi. Dissi a Ascanio, che si ricordassi quanti gran benifizi lui aveva aúti da me, e che per insino allora lui era stato fanciullo di poco cervello: che gli era tempo omai d’aver cervello da uomo; però io gli volevo lasciare in guardia tutta la mia roba, insieme con tutto l’onor mio; che se lui sentiva piú una cosa che un’altra da quelle bestie di quei Franciosi, subito me l’avvisassi, perché io monterei in poste e volerei d’onde io mi fussi, sí per il grande obrigo che io avevo a quel buon Re, e sí per lo onor mio. Il ditto Ascanio con finte e ladronesche lacrime mi disse: - Io non cognobbi mai altro miglior padre di voi, e tutto quello che debbe fare un buon figliuolo inverso del suo buon padre, io sempre lo farò inverso di voi -. Cosí d’accordo mi parti’ con un servitore e con un piccolo ragazzetto franzese. Quando fu passato mezzo giorno, venne al mio castello certi di quei tesaurieri, i quali non erano punto mia amici. Questa canaglia ribalda subito dissono che io m’ero partito con l’argento del Re, e dissono a messer Guido e al Vescovo di Pavia che rimandassimo prestamente per i vasi del Re; se non che loro manderebbon per essi drietomi con molto mio gran dispiacere. Il Vescovo e messer Guido ebbon molto piú paura che non faceva mestiero, e prestamente mi mandorno drieto in poste quel traditore d’Ascanio, il quale comparse in su la mezza notte. E io che non dormivo, da per me stesso mi condolevo, dicendo: - A chi lascio la roba mia, il mio castello? Oh che destino mio è questo, che mi sforza a far questo viaggio? Pur che il Cardinale non sia d’accordo con Madama di Tampes, la quale non desidera altra cosa al mondo, se non che io perda la grazia di quel buon Re!