La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XLVIII

Da Wikisource.
Libro secondo
Capitolo XLVIII

../Capitolo XLVII ../Capitolo XLIX IncludiIntestazione 17 luglio 2008 75% Autobiografie

Libro secondo - Capitolo XLVII Libro secondo - Capitolo XLIX

Aveva in questo tempo il Re quietata la guerra con lo Imperadore, ma non con gli Inghilesi, di modo che questi diavoli ci tenevano in molta tribulazione. Avendo il capo ad altro il Re che ai piaceri, aveva commesso a Piero Strozzi che conducessi certe galee in quei mari d’Inghilterra; qual fu cosa grandissima e difficile a condurvele, pure a quel mirabil soldato, unico ne’ tempi sua in tal professione, e altanto unico disavventurato. Era passato parecchi mesi che io non avevo aùto danari né ordine nessuno di lavorare; di modo che io avevo mandato via tutti i mia lavoranti, da quei dua in fuora italiani, ai quali io feci lor fare dua vasotti di mio argento, perché loro non sapevan lavorare in sul bronzo. Finito che gli ebbono i dua vasi, io con essi me n’andai a una città, che era della regina di Navarra: questa si domanda Argentana, ed è discosto da Parigi di molte giornate. Giunsi al ditto luogo e trovai il Re che era indisposto; el cardinal di Ferrara disse a Sua Maestà come io ero arrivato in quel luogo. A questo il Re non rispose nulla, qual fu causa che io ebbi a stare di molti giorni a disagio. E veramente che io non ebbi mai il maggior dispiacere: pure in capo di parecchi giorni io me gli feci una sera innanzi, e appresenta’gli agli occhi quei dua bei vasi: e’ quali oltramodo gli piacquono. Quando io veddi benissimo disposto il Re, io pregai Sua Maestà che fussi contento di farmi tanto di grazia, che io potessi andare a spasso infino in Italia, e che io lascierei sette mesi di salario che io ero creditore, i quali danari Sua Maestà si degnerebbe farmegli da poi pagare, se mi facessino di mestiero per il mio ritorno. Pregavo Sua Maestà che mi compiacessi questa cotal grazia, avvenga che allora era veramente tempo da militare, e non da statuare ancora, perché Sua Maestà aveva compiaciuto tal cosa al suo Bologna pittore, però divotissimamente lo pregavo che fussi contento farne degno ancora me. Il Re, mentre che io gli dicevo queste parole, guardava con grandissima attenzione quei dua vasi, e alcune volte mi feriva con un suo sguardo terribile; io pure, il meglio che io potevo e sapevo, lo pregavo che mi concedessi questa tal grazia. A un tratto lo viddi isdegnato, e rizzossi da sedere e a me disse in lingua italiana: - Benvenuto, voi sete un gran matto; portatene questi vasi a Parigi, perché io gli voglio dorati - e non mi data altra risposta, si partí. Io mi accostai al Cardinal di Ferrara, che era alla presenza, e lo pregai, che da poi che m’aveva fatto tanto bene innel cavarmi del carcere di Roma, insieme con tanti altri benifizi ancora mi compiacessi questo, che io potessi andare insino in Italia. Il ditto Cardinle mi disse che molto volentieri arebbe fatto tutto quel che potessi per farmi quel piacere, e che liberamente io ne lasciassi la cura a lui; e anche, se io volevo, potevo andare liberamente, perché lui mi tratterrebbe benissimo con il Re. Io dissi al ditto Cardinale, sí come io sapevo che Sua Maestà m’aveva dato in custode a Sua Signoria reverendissima, e che se quella mi dava licenzia, io volentieri mi partirei, per tornare a un sol minimo cenno di Sua Signoria reverendissima. Allora il Cardinale mi disse, che io me n’andassi a Parigi, e quivi sopra stessi otto giorni, e in questo tempo lui otterrebbe grazia dal Re che io potrei andare: e in caso che il Re non si contentassi che io partissi, sanza manco nessuno me ne darebbe avviso; il perché, non mi scrivendo altro, saria segno che io potrei liberamente andare.