Libro secondoCapitolo LVIII
../Capitolo LVII
../Capitolo LIX
IncludiIntestazione
21 luglio 2008
75%
Autobiografie
<dc:title> La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze </dc:title>
<dc:creator opt:role="aut">Benvenuto Cellini</dc:creator>
<dc:date>1558</dc:date>
<dc:subject></dc:subject>
<dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights>
<dc:rights>GFDL</dc:rights>
<dc:relation></dc:relation>
<dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=La_vita_di_Benvenuto_di_Maestro_Giovanni_Cellini_fiorentino,_scritta,_per_lui_medesimo,_in_Firenze/Libro_secondo/Capitolo_LVIII&oldid=-</dc:identifier>
<dc:revisiondatestamp>20110420232729</dc:revisiondatestamp>
//it.wikisource.org/w/index.php?title=La_vita_di_Benvenuto_di_Maestro_Giovanni_Cellini_fiorentino,_scritta,_per_lui_medesimo,_in_Firenze/Libro_secondo/Capitolo_LVIII&oldid=-
20110420232729
La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze - Libro secondo Capitolo LVIII Benvenuto Cellini1558
Desideroso pure che nulla non andassi male, essendo carico il mio orto di molte brutture, chiamai due manovali, e’ quali mi furno menati dal Ponte Vecchio: di questi ce n’era uno vecchio di sessant’anni, l’altro si era giovane di diciotto. Avendogli tenuti circa tre giornate, quel giovane mi disse che quel vecchio non voleva lavorare e che io facevo meglio a mandarlo via, perché non tanto che lui non voleva lavorare, impediva il giovane che non lavorassi: e mi disse che quel poco che v’era da fare, lui se lo poteva fare da sé, sanza gittar via e’ denari in altre persone: questo aveva nome Bernardino Manellini di Mugello. Vedendolo io tanto volentieri affaticarsi, lo domandai se lui si voleva acconciar meco per servidore: al primo noi fummo d’accordo. Questo giovane mi governava un cavallo, lavorava l’orto, di poi s’ingegnava d’aiutarmi in bottega, tanto che a poco a poco e’ cominciò a ’nparare l’arte con tanta gentilezza che io non ebbi mai migliore aiuto di quello. E risolvendomi di far con costui ogni cosa, cominciai a mostrare al Duca che ’l Bandinello direbbe le bugie, e che io farei benissimo sanza i lavoranti del Bandinello. Vennemi in questo tempo un poco di male alle rene; e perché io non potevo lavorare, volentieri mi stavo in guardaroba del Duca con certi giovani orefici, che si domandavano Gianpagolo e Domenico Poggini, ai quali io facevo fare uno vasetto d’oro, tutto lavorato di basso rilievo, con figure e altri belli ornamenti: questo era per la Duchessa, il quale Sua Eccellenzia faceva fare per bere dell’acqua. Ancora mi richiese che io le facesse una cintura d’oro; e anche quest’opera ricchissimamente, con gioie e con molte piacevole invenzione di mascherette e d’altro: questa se le fece. Veniva a ogni poco il Duca in questa guardaroba, e pigliavasi piacere grandissimo di veder lavorare, e di ragionare con esso meco. Cominciato un poco a migliorare delle mie rene, mi feci portar della terra, e in mentre che ’l Duca si stava quivi a passar tempo, io lo ritrassi, faccendo una testa assai maggiore del vivo. Di questa opera Sua Eccellenzia ne prese grandissimo piacere e mi pose tanto amore, che lui mi disse che gli sarebbe stato grandissimo appiacere che io mi fussi accomodato a lavorare in Palazzo, cercandomi in esso palazzo di stanze capace, le quale io mi dovessi fare acconciare con le fornacie e con ciò che io avessi di bisogno; perché pigliava piacere di tal cose grandissimo. A questo io dissi a Sua Eccellenzia, che non era possibile, perché io non arei finito l’opere mia in cento anni.