La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LXIV

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Libro secondo
Capitolo LXIV

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Avendo detto queste parole a Sua Eccellenzia, e conosciuto che le non facevan frutto nissuno, perché non ne ritraevo risposta, subito mi crebbe una stizza, insieme con una passione intollerabile, e di nuovo cominciai a riparlare al Duca e gli dissi: - Signor mio, questa città veramente è stata sempre la scuola delle maggior virtute; ma cognosciuto che uno s’è, avendo imparato qualche cosa, volendo accrescer gloria alla sua città e al suo glorioso Principe, gli è bene andare a operare altrove. E che questo, Signor mio, sia il vero, io so che l’Eccellenzia Vostra ha saputo chi fu Donatello, e chi fu il gran Leonardo da Vinci, e chi è ora il mirabil Michelagnol Buonarroti. Questi accrescono la gloria per le lor virtú all’Eccellenzia Vostra; per la qualcosa io ancora spero di far la parte mia; sí che, Signor mio, lasciatemi andare. Ma Vostra Eccellenzia avvertisca bene a non lasciare andare il Bandinello, anzi dateli sempre piú che lui non vi domanda; perché se costui va fuora, gli è tanto la ignoranzia sua prosuntuosa, che gli è atto a vituperare questa nobilissima Scuola. Or dàtimi licenzia, Signore, né domando altro delle mie fatiche sino a qui che la grazia di Vostra Eccellenzia illustrissima -. Vedutomi Sua Eccellenzia a quel modo resoluto, con un poco di sdegno mi si volse, dicendo: - Benvenuto, se tu hai voglia di finir l’opera, e’ non si mancherà di nulla -. Allora io lo ringraziai, e dissi che altro desiderio non era il mio, se non di mostrare a quelli invidiosi che a me bastava la vista di condurre l’opera promessa. Cosí spiccatomi da Sua Eccellenzia, mi fu dato qualche poco di aiuto; per la qual cosa fui necessitato a metter mano alla borsa mia, volendo che la mia opera andassi un poco piú che di passo. E perché la sera io sempre me ne andavo a veglia nella guardaroba di Sua Eccellenzia, dove era Domenico e Gianpavolo Poggini, suo fratello, quali lavoravano un vaso di oro, che addietro s’è detto, per la Duchessa e una cintura d’oro; ancora Sua Eccellenzia m’aveva fatto fare un modellino d’un pendente, dove andava legato dentro quel diamante grande che li aveva fatto comperare Bernardone e Antonio Landi. E con tutto che io fuggissi di non voler far tal cosa, il Duca con tante belle piacevolezze mi vi faceva lavorare ogni sera in sino alle quattro ore. Ancora mi strigneva con piacevolissimi modi a far che io vi lavorassi ancora di giorno; alla qual cosa non volsi mai acconsentire; e per questo io credetti per cosa certa che Sua Eccellenzia si adirassi meco. E una sera in fra le altre, essendo giunto alquanto piú tardi che al mio solito, il Duca mi disse: - Tu sia il malvenuto -. Alle quali parole io dissi: - Signor mio, cotesto non è il mio nome, perché io ho nome Benvenuto; e perché io penso che l’Eccellenzia Vostra motteggi meco, io non entrerò in altro -. A questo il Duca disse che diceva da maledetto senno e non motteggiava e che io avvertissi bene quel che io facevo, perché gli era venuto alli orecchi che, prevalendomi del suo favore, io facevo fare or questo or quello. A queste parole io pregai Sua Eccellenzia illustrissima di farmi degno di dirmi solo un omo che io avevo mai fatto fare al mondo. Subito mi si volse in collera e mi disse: - Va’ e rendi quello che tu hai di Bernardone: eccotene uno -. A questo io dissi: - Signor mio, io vi ringrazio, e vi priego mi facciate degno d’ascoltarmi quattro parole: egli è il vero che e’ mi prestò un paio di bilance vecchie e dua ancudine e tre martelletti piccoli, le qual masserizie oggi son passati quindici giorni che io dissi al suo Giorgio da Cortona che mandassi per esse; il perché il detto Giorgio venne per esse lui stesso; e se mai Vostra Eccellenzia illustrissima truova, che dal di’ che io nacqui in qua, io abbia mai nulla di quello di persona in cotesto modo, se bene in Roma o in Francia, faccia intender da quelli che li hanno riferite quelle cose o da altri; e trovando il vero, mi castighi a misura di carboni -. Vedutomi il Duca in grandissima passione, come Signor discretissimo e amorevole mi si volse e disse: - E’ non si dice a quelli che non fanno li errori; sí che, se l’è come tu di’, io ti vedrò sempre volentieri, come ho fatto per il passato -. A questo io dissi: - Sappi l’Eccellenzia Vostra che le ribalderie di Bernardone mi sforzano a domandarla e pregarla, che quella mi dica quel che la spese nel diamante grande, punta schericata: perché io spero mostrarle perché questo male omaccio cerca mettermivi in disgrazia -. Allora Sua Eccellenzia mi disse: - Il diamante mi costò 25 mila ducati: perché me ne domandi tu? - Perché, Signor mio, il tal dí, alle tal’ore, in sul canto di Mercato nuovo, Antonio di Vettorio Landi mi disse che io cercassi di far mercato con Vostra Eccellenzia illustrissima, e di prima domanda ne chiese sedici mila ducati: ora Vostra Eccellenzia sa quel che la l’ha comperato. E che questo sia il vero, domandate ser Domenico Poggini e Giampavolo suo fratello, che son qui; che io lo dissi loro subito, e da poi non ho mai piú parlato, perché l’Eccellenzia Vostra disse che io non me ne intendevo; onde io pensavo che quella lo volessi tenere in riputazione. Sappiate, Signor mio, che io me ne intendo; e quanto all’altra parte fo professione d’esser uomo da bene quanto altro che sia nato al mondo, e sia chi vuole. Io non cercherò di rubarvi otto o dieci mila ducati per volta, anzi mi ingegnerò guadagnarli con le mie fatiche: e mi fermai a servir Vostra Eccellenzia per iscultore, orefice e maestro di monete; e di riferirle delle cose d’altrui, mai. E questa che io le dico adesso, la dico per difesa mia, e non ne voglio il quarto: e gnene dico presente tanti uomini dabbene che son qui, acciò Vostra Eccellenzia illustrissima non creda a Bernardone ciò che dice -. Subito il Duca si levò in collera e mandò per Bernardone, il qual fu necessitato a correre sino a Vinezia, lui e Antonio Landi; quale Antonio mi diceva che non aveva volsuto dir quel diamante. Gli andorno e tornorno da Vinezia, e io trovai il Duca, e dissi: - Signore, quel che io vi dissi è vero, e quel vi disse delle masserizie Bernardone non fu vero; e faresti bene a farne la pruova, e io mi avviarò al bargello -. A queste parole il Duca mi si volse, dicendomi: - Benvenuto, attendi a esser omo da bene, come hai fatto per il passato, e non dubitar mai di nulla -. La cosa andò in fumo e io non ne senti’ mai piú parlare. Attesi a finire il suo gioiello; e portatolo un giorno finito alla Duchessa, lei stessa mi disse che stimava tanto la mia fattura quanto il diamante, che li aveva fatto comperar Bernardaccio, e volse che io gnene appiccassi al petto di mia mano, e mi dette uno spilletto grossetto in mano, e con quello gnene appiccai, e mi parti’ con molta sua buona grazia. Da poi io intesi che e’ l’avevano fatto rilegare a un tedesco o altro forestiero, salvo ’l vero, perché il detto Bernardone disse che ’l detto diamante mostrerrebbe meglio legato con manco opera.