La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LXXXII

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Libro secondo
Capitolo LXXXII

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Da poi che cosí male io avevo fatto la mia faccenda con Bindo Altoviti, col perdere la mia testa di bronzo e ’l dargli li mia danari a vita mia, io fui chiaro di che sorte si è la fede dei mercatanti, e cosí malcontento me ne ritornai a Firenze. Subito andai a Palazzo per visitare il Duca; e Sua Eccellenzia illustrissima si era a Castello, sopra ’l Ponte a Rifredi. Trovai in Palazzo messer Pierfrancesco Ricci, maiordomo, e volendomi accostare al detto per fare le usate cerimonie, subito con una smisurata maraviglia disse: - Oh tu sei tornato! - e colla medesima maraviglia, battendo le mani, disse: - Il Duca è a Castello - e voltomi le spalle si partí. Io non potevo né sapere né immaginare il perché quella bestia si aveva fatto quei cotai atti. Subito me n’andai a Castello, ed entrato nel giardino, dove era ’l Duca, io lo vidi di discosto, che quando ei mi vide, fece segno di meravigliarsi, e mi fece intendere che io me n’andassi. Io che mi ero promesso che Sua Eccellenzia mi facessi le medesime carezze e maggiore ancora che ei mi fece quando io andai, or vedendo una tanta stravaganza, molto malcontento mi ritornai a Firenze; e riprese le mie faccende, sollicitando di tirare a fine la mia opera, non mi potevo immaginare un tale accidente da quello che e’ si potessi procedere: se non che osservando in che modo mi guardava messer Sforza e certi altri di quei piú stretti al Duca, e’ mi venne voglia di domandare messer Sforza che cosa voleva dire questo; il quale cosí sorridendo, disse: - Benvenuto, attendete a essere uomo dabbene, e non vi curate d’altro -. Pochi giorni appresso mi fu dato comodità che io parlai al Duca, ed ei mi fece certe carezze torbide e mi domandò quello che si faceva a Roma: cosí ’l meglio che io seppi appiccai ragionamento, e gli dissi della testa che io avevo fatta di bronzo a Bindo Altoviti, con tutto quel che era seguito. Io mi avvidi che gli stava a ’scoltarmi con grande attenzione: e gli dissi similmente di Michelagnolo Buonaroti il tutto. Il quale mostrò alquanto sdegno; e delle parole del suo Urbino, di quello ’scorticamento che gli aveva detto, forte se ne rise; poi disse: - Suo danno - e io mi parti’. Certo che quel ser Pierfrancesco, maiordomo, doveva aver fatto qualche male uffizio contra di me cone il Duca, il quale non gli riuscí: che Iddio amatore della verità mi difese, sí come sempre insino a questa mia età di tanti smisurati pericoli e’ m’ha scampato, e spero che mi scamperà insino al fine di questa mia, se bene travagliata, vita; pure vo innanzi, sol per sua virtú, animosamente, né mi spaventa nissun furore di fortuna o di perverse stelle: sol mi mantenga Iddio nella sua grazia.