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La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LXXXIII

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Libro secondo
Capitolo LXXXIII

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Or senti un terribile accidente, piacevolissimo lettore. Con quanta sollicitudine io sapevo e potevo, attendevo a dar fine alla mia opera, e la sera me n’andavo a veglia nella guardaroba del Duca, aiutando a quegli orefici che vi lavoravano per Sua Eccellenzia illustrissima; ché la maggior parte di quelle opere che lor facevano si erano sotto i mia disegni: e perché io vedevo che ’l Duca ne pigliava molto piacere, sí del vedere lavorare come del confabulare meco, ancora e’ mi veniva a proposito lo andarvi alcune volte di giorno. Essendo un giorno in fra gli altri nella detta guardaroba, il Duca venne al suo solito e piú volentieri assai, saputo Sua Eccellenzia illustrissima che io v’ero; e subito giunto cominciò arragionar meco di molte diverse e piacevolissime cose, e io gli rispondevo approposito, e lo avevo di modo invaghito, che ei mi si mostrò piú piacevole che mai ei mi si fussi mostro per il passato. Innun tratto e’ comparve un dei sua segretarii, il quale parlando all’orecchio di Sua Eccellenzia per esser forse cosa di molta importanza, subito il Duca si rizzò e andossene innun’altra stanza con el detto segretario. E perché la Duchessa aveva mandato a vedere quel che faceva Sua Eccellenzia illustrissima, disse il paggio alla Duchessa: - Il Duca ragiona e ride con Benvenuto, ed è tutto in buona -. Inteso questo, la Duchessa subito venne in guardaroba e non vi trovando ’l Duca, si messe a sedere appresso a noi; e veduto che la ci ebbe un pezzo lavorare, con gran piacevolezza si volse a me e mi mostrò un vezzo di perle grosse, e veramente rarissime, e domandandomi quello che e’ me ne pareva, io le dissi che gli era cosa molto bella. Allora Sua Eccellenzia illustrissima mi disse: - Io voglio che il Duca me lo comperi; sí che, Benvenuto mio, lodalo al Duca quanto tu sai e puoi al mondo -. A queste parole io, con quanta reverenzia seppi, mi scopersi alla Duchessa, e dissi: - Signora mia, io mi pensavo che questo vezzo di perle fussi di Vostra Eccellenzia illustrissima; e perché la ragione non vuole che e’ si dica mai nessuna di quelle cose che saputo el nonnessere di Vostra Eccellenzia illustrissima ei mi occorre dire, anzi e’ m’è di necessità il dirle; sappi Vostra Eccellenzia illustrissima che, per essere molto mia professione, io conosco in queste perle di moltissimi difetti, per i quali già mai vi consiglierei che Vostra Eccellenzia lo comperassi -. A queste mie parole lei disse: - Il mercatante me lo dà per sei mila scudi: che se e’ non avessi qualcuno di quei difettuzzi, e’ ne varrebbe piú di dodici mila -. Allora io dissi, che quando quel vezzo fussi di tutta infinita bontà, che io non consiglierei mai persona che aggiugnessi a cinque mila scudi; perché le perle non sono gioie; le perle sono un osso di pesce e in ispazio di tempo le vengono manco; ma i diamanti, e i rubini e gli smeraldi nonninvecchiano, e i zaffiri: queste quattro son gioie, e di queste si vuol comperare. A queste mie parole, alquanto sdegnosetta la Duchessa mi disse: - Io ho voglia or di queste perle, e però ti priego che tu le porti al Duca, e lodale quanto tu puoi e sai al mondo; e se bene e’ ti par dire qualche poco di bugie, dille per far servizio a me; ché buon per te -. Io che son sempre stato amicissimo della verità e nimico delle bugie, ed essendomi di necessità, volendo non perdere la grazia di una tanto gran principessa, cosí malcontento presi quelle maledette perle, e andai con esse in quell’altra stanza, dove s’era ritirato ’l Duca. Il quale subito che e’ mi vide, disse: - O Benvenuto, che vai tu faccendo? - Scoperto quelle perle, dissi: - Signor mio, io vi vengo a mostrare un bellissimo vezzo di perle, rarissimo e veramente degno di Vostra Eccellenzia illustrissima; e per ottanta perle, io non credo che mai e’ se ne mettessi tante insieme, che meglio si mostrassino innun vezzo; sí che comperatele, Signore, che le sono miracolose -. Subito ’l Duca disse: - Io nolle voglio comperare, perché le non sono quelle perle né di quella bontà che tu di’, e le ho viste, e non mi piacciono -. Allora io dissi: - Perdonatemi, Signore, che queste perle avanzano di infinita bellezza tutte le perle che per vezzo mai fussino ordinate -. La Duchessa si era ritta, e stava dietro a una porta e sentiva tutto quello che io dicevo; di modo che, quando io ebbi detto piú di mille cose piú di quel che io scrivo, il Duca mi si volse con benigno aspetto, e mi disse: - O Benvenuto mio, io so che tu te ne ’ntendi benissimo: e se coteste perle fussino con quelle virtú tante rare che tu apponi loro, a mme non parrebbe fatica il comperarle, sí per piacere alla Duchessa, e sí per averle; perché queste tal cose mi sono di necessità, non tanto per la Duchessa, quanto per l’altre mia faccende di mia figliuoli e figliuole -. E io a queste sue parole, dappoi che io avevo cominciato a dir le bugie, ancora con maggior aldacia seguitavo di dirne, dando loro il maggior colore di verità, acciò che ’l Duca me le credessi, fidandomi della Duchessa, che attempo ella mi dovessi aiutare. E perché ei mi si preveniva piú di dugento scudi, faccendo un cotal mercato, e la Duchessa me n’aveva accennato, io m’ero resoluto e disposto di non voler pigliare un soldo, solo per mio scampo, acciò che ’l Duca mai nonnavessi pensato che io lo facessi per avarizia. Di nuovo ’l Duca con piacevolissime parole mosse addirmi: - Io so che tu te ne intendi benissimo: imperò se tu se’ quell’uomo dabbene, che io mi son sempre pensato che tu sia, or dimmi ’l vero -. Allora, arrossiti li mia occhi e alquanto divenuti umidi di lacrime, dissi: - Signor mio, se io dico ’l vero a Vostra Eccellenzia illustrissima, la Duchessa mi diventa mortalissima inimica, per la qual cosa io sarò necessitato andarmi con Dio, e l’onor del mio Perseo, il quale io ho promesso a questa nobilissima Scuola di Vostra Eccellenzia illustrissima, subito li inimici miei mi vitupereranno; sí che io mi raccomando a Vostra Eccellenzia illustrissima.