La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XI

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Libro secondo
Capitolo XI

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Partitomi dal Cardinale, me ne andai al mio alloggiamento tre miglia lontano di quivi, insieme con un segretario del Cardinale che al medesimo alloggiamento ancora lui veniva. Tutto quel viaggio quel segretario mai restò di domandarmi quel che io volevo far di me, e quel che saria stato la mia fantasia di volere di provvisione. Io non gli risposi mai se none una parola, dicendo: - Tutto mi sapevo -. Di poi giunto allo alloggiamento, trovai Pagolo e Ascanio che quivi vi stavano; e vedendomi turbatissimo, mi sforzorno a dir loro quello che io aveva; e veduto isbigottiti i poveri giovani, dissi loro: - Domattina io vi darò tanti danari che largamente voi potrete tornare alle case vostre; e io andrò a una mia faccenda inportantissima, sanza di voi; che gran pezzo è che io ho aùto in animo di fare -. Era la camera nostra a muro a muro accanto a quella del ditto segretario, e talvolta è possibile che lui lo scrivessi al Cardinale tutto quello che io avevo in animo di fare; se bene io non ne seppi mai nulla. Passossi la notte sanza mai dormire: a me pareva mill’anni che si facessi giorno, per seguitare la resoluzione che di me fatto avevo. Venuto l’alba del giorno, dato ordine ai cavagli e io prestamente messomi in ordine, donai a quei dua giovani tutto quello che io avevo portato meco, e di piú cinquanta ducati d’oro: e altre tanta ne salvai per me, di piú quel diamante che mi aveva donato il Duca; solo due camicie ne portavo e certi non troppi boni panni da cavalcare, che io avevo addosso. Non potevo ispiccarmi dalli dua giovani, che se ne volevano venire con esso meco a ogni modo; per la qual cosa io molto gli svili’ dicendo loro: - Uno è di prima barba e l’altro a mano a mano comincia a ’verla, e avete da me imparato tanto di questa povera virtú che io v’ho potuto insegnare, che voi siete oggi i primi giovani di Italia; e non vi vergognate che non vi basti l’animo a uscire del carruccio del babbo, qual sempre vi porti? Questa è pure una vil cosa! O se vi lasciassi andare sanza danari, che diresti voi? Ora levatevimi d’inanzi, che Dio vi benedica mille volte: a Dio -. Volsi il cavallo, e lascia’ li piangendo. Presi la strada bellissima per un bosco, per discostarmi quella giornata quaranta miglia il manco, in luogo piú incognito che pensar potevo. E di già m’ero discostato incirca a dua miglia; e in quel poco viaggio io m’ero risoluto di non mai piú praticare in parte dove io fussi conosciuto, né mai piú volevo lavorare altra opera, che un Cristo grande di tre braccia, appressandomi piú che potevo a quella infinita bellezza che dallui stesso m’era stata mostra. Essendomi già resoluto affatto, me n’andavo alla volta del Sepulcro. Pensando essermi tanto iscostato che nessuno piú trovar non mi potessi, in questo io mi senti’ correr dietro cavagli; e mi feciono alquanto sospetto, perché in quelle parte v’è una certa razza di brigate, li quali si domandan venturieri, che volentieri assassinano alla strada; e se bene ogni ’n dí assai se ne impicca, quasi pare che non se ne curino. Appressatimisi piú costoro, cognobbi che gli erano un mandato del Re, insieme con quel mio giovane Ascanio; e giunto a me disse: - Da parte del Re vi dico che prestamente voi vegniate a lui -. Al quale uomo io dissi: - Tu vieni da parte del Cardinale; per la qual cosa io non voglio venire -. L’uomo disse che da poi che io non volevo andare amorevolmente, aveva autorità di comandare a’ populi, i quali mi merrebbono legato come prigione. Ancora Ascanio, quant’egli poteva, mi pregava, ricordandomi che quando il Re metteva un prigione, stava dappoi cinque anni per lo manco a risolversi di cavarlo. Questa parola della prigione, sovvenendomi di quella di Roma, mi porse tanto ispavento, che prestamente volsi il cavallo dove il mandato del Re mi disse. Il quale, sempre borbottando in franzese, non restò mai in tutto quel viaggio, insinché m’ebbe condutto alla Corte: or mi bravava, or mi diceva una cosa, ora un’altra, da farmi rinnegare il mondo.