La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo X

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Libro secondo
Capitolo X

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Il cardinal di Ferrara sopra ditto veduto che il Re aveva preso grandissimo piacere del mio arrivo; ancora lui veduto che con quel poco dell’opere il Re s’era promesso di potersi cavar la voglia di fare certe grandissime opere, che lui aveva in animo; però in questo tempo, che noi andavamo drieto alla Corte, puossi dire tribulando (il perché si è che il traino del Re si strascica continuamente drieto dodici mila cavalli; e questo è il manco: perché quando la Corte in e’ tempi di pace è intera, e’ sono diciotto mila, di modo che sempre vengono da essere piú di dodici mila; per la qual cosa noi andavamo seguitando la ditta Corte in tai luoghi, alcuna volta, dove non era dua case a pena; e sí come fanno i zingani, si faceva delle trabacche di tele, e molte volte si pativa assai): io pure sollecitavo il Cardinale che incitassi il Re a mandarmi a lavorare; il Cardinale mi diceva che il meglio di questo caso si era d’aspettare che il Re da sé se ne ricordassi; e che io mi lasciassi alcuna volta vedere a Sua Maestà, in mentre ch’egli mangiava. Cosí faccendo, una mattina al suo desinare mi chiamò il Re: cominciò a parlar meco in taliano, e disse che aveva animo di fare molte opere grande, e che presto mi darebbe ordine dove io avessi a lavorare, con provvedermi di tutto quello che mi faceva bisogno; con molti altri ragionamenti di piacevoli e diverse cose. Il cardinal di Ferrara era alla presenza, perché quasi di continuo mangiava la mattina al tavolino del Re; e sentito tutti questi ragionamenti, levatosi il Re dalla mensa, il cardinal di Ferrara in mio favore disse, per quanto mi fu riferito: - Sacra Maestà, questo Benvenuto ha molto gran voglia di lavorare; quasi che si potria dire l’esser peccato a far perder tempo a un simile virtuoso -. Il Re aggiunse che gli aveva ben detto, e che meco istabilissi tutto quello che io volevo per la mia provvisione. Il qual Cardinale la sera seguente che la mattina aveva aùto la commessione, dipoi la cena fattomi domandare, mi disse da parte di Sua Maestà come Sua Maestà s’era risoluta che io mettessi mano a lavorare; ma prima voleva che io sapessi qual dovessi essere la mia provvisione. A questo disse il Cardinale: - A me pare, che se Sua Maestà vi dà di provvisione trecento scudi l’anno, che voi benissimo vi possiate salvare; appresso vi dico che voi lasciate la cura a me, perché ogni giorno, viene occasione di poter far bene in questo gran regno e io sempre vi aiuterò mirabilmente -. Allora io dissi: - Sanza che io ricercassi Vostra Signoria reverendissima, quando quella mi lasciò in Ferrara, mi promise di non mi cavar mai di Italia, se prima io non sapevo tutto il modo che con Sua Maestà io dovevo stare; Vostra Signoria reverendissima, in cambio di mandarmi a dire il modo che io dovevo stare, mandò espressa commessione che io dovessi venire in poste, come se tale arte in poste si facessi: che se voi mi avessi mandato a dire di trecento scudi, come voi mi dite ora, io non mi sarei mosso per sei. Ma di tutto ringrazio Idio e Vostra Signoria reverendissima ancora, perché Idio l’ha adoperata per istrumento a un sí gran bene, quale è stato la mia liberazione del carcere. Per tanto dico a Vostra Signoria, che tutti e’ gran mali che ora io avessi da quella, non possono aggiungere alla millesima parte del gran bene che da lei ho ricevuto, e con tutto il cuore ne la ringrazio, e mi piglio buona licenzia, e dove io sarò, sempre infin che io viva, pregherò Idio per lei -. Il Cardinale adirato disse in còllora: - Va’ dove tu vuoi, perché a forza non si può far bene a persona -. Certi di quei sua cortigiani scannapagnotte dicevano: - A costui gli par essere qualche gran cosa, perché e’ rifiuta trecento ducati di entrata -. Altri, di quei virtuosi, dicevano: - Il Re non troverrà mai un par di costui; e questo nostro Cardinale lo vuole mercatare, come se ei fusse una soma di legne -. Questo fu messer Luigi Alamanni, che cosí mi fu ridetto che lui disse. Questo fu innel Delfinato, a un castello che non mi sovviene il nome: e fu l’ultimo dí d’ottobre.