La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo IX

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Libro secondo
Capitolo IX

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Andai la sera innanzi piú di dieci miglia, sempre trottando; e quando l’altro giorno io fu’ fuora dal ferrarese, n’ebbi grandissimo piacere, perché da quei pagoncelli, che io vi mangiai, causa della mia sanità, in fuora, altro non vi cognobbi di buono. Facemmo il viaggio per il Monsanese, non toccando la città di Milano per il sospetto sopraditto; in modo che sani e salvi arrivammo a Lione. Insieme con Pagolo e Ascanio e un servitore, eramo in quattro con quattro cavalcature assai buone. Giunti a Lione ci fermammo parecchi giorni per aspettare il mulattiere, il quale aveva quel bacino e boccale d’argento insieme con le altre nostre bagaglie: fummo alloggiati in una badia, che era del Cardinale. Giunto che fu il mulattiere, mettemmo tutte le nostre cose in una carretta e l’avviammo alla volta di Parigi: cosí noi andammo in verso Parigi, e avemmo per la strada qualche disturbo, ma non fu molto notabile. Trovammo la corte del Re a Fontana Beleò: facemmoci vedere al Cardinale, il quale subito ci fece consegnare alloggiamenti, e per quella sera stemmo bene. L’altra giornata comparse la carretta; e preso le nostre cose, intesolo il Cardinale, lo disse al Re, il quale subito mi volse vedere. Andai da Sua Maestà con il ditto bacino e boccale, e giunto alla presenza sua, gli baciai il ginocchio e lui gratissimamente mi raccolse. Intanto che io ringraziavo Sua Maestà dell’avermi libero del carcere, dicendo che gli era ubrigato, ogni principe buono e unico al mondo, come era Sua Maestà, a liberare uomini buoni a qualcosa, e maggiormente innocenti come ero io; che quei benifizii eran prima iscritti in su’ libri de Dio, che ogni altro che far si potessi al mondo; questo buon Re mi stette a ’scoltare finché io dissi, con tanta gratitudine e con qualche parola, sola degna di lui. Finito che io ebbi, prese il vaso e il bacino, e poi disse: - Veramente che tanto bel modo d’opera non credo mai che degli antichi se ne vedessi: perché ben mi sovviene di aver veduto tutte le miglior opere e dai miglior maestri fatte, di tutta la Italia; ma io non viddi mai cosa che mi movessi piú grandemente che questa -. Queste parole il ditto Re le parlava in franzese al cardinale di Ferrara, con molte altre maggior che queste. Di poi voltosi a me mi parlò in taliano, e disse: - Benvenuto, passatevi tempo lietamente qualche giorno, e confortatevi il cuore e attendete a far buona cera; e intanto noi penseremo di darvi buone comodità al poterci far qualche bell’opera.