La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XXIII

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Libro secondo
Capitolo XXIII

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Volse la mia mala fortuna che io non fui avvertito di fare altretanta commedia con madama de Tampes, che saputo la sera tutte queste cose, che erano corse, dalla propia bocca del Re, gli generò tanta rabbia velenosa innel petto che con isdegno la disse: - Se Benvenuto m’avessi mostro le belle opere sue, m’arebbe dato causa di ricordarmi di lui al tempo -. Il Re mi volse iscusare, e nulla s’appiccò. Io che tal cosa intesi, ivi a quindici giorni - ché, girato per la Normandia a Roano e a Diepa, dipoi eran ritornati a San Germano de l’Aia sopra ditto - presi quel bel vasetto che io avevo fatto a riquisizione della ditta madama di Tampes, pensando che, donandoglielo, dovere riguadagnare la sua grazia. Cosí lo portai meco; e fattogli intendere per una sua nutrice, e mòstrogli alla ditta il bel vaso che io avevo fatto per la sua Signora, e come io gliene volevo donare, la ditta nutrice mi fece carezze ismisurate, e mi disse che direbbe una parola a Madama, qual non era ancor vestita, e che subito dittogliene, mi metterebbe drento. La nutrice disse il tutto a Madama, la qual rispose isdegnosamente: - Ditegli che aspetti -. Io inteso questo, mi vesti’ di pazienzia, la qual cosa mi è difficilissima; pure ebbi pazienzia insin doppo il suo desinare: e veduto poi l’ora tarda, la fame mi causò tanta ira, che non potendo piú resistere, mandatole divotamente il canchero nel cuore, di quivi mi parti’ e me n’andai a trovare il cardinale di Loreno, e li feci presente del ditto vaso, raccomandatomi solo che mi tenessi in buona grazia del Re. Disse che non bisognava, e quando fussi bisogno, che lo farebbe volentieri: di poi chiamato un suo tesauriere, gli parlò nello orecchio. Il ditto tesauriere aspettò che io mi partissi dalla presenza del Cardinale; di poi mi disse: - Benvenuto, venite meco, che io vi darò da bere un bicchier di buon vino - al quale io dissi, non sapendo quel che lui si volessi dire: - Di grazia, Monsignore tesauriere, fatemi donare un sol bicchier di vino e un boccon di pane, perché veramente io mi vengo manco, perché sono stato da questa mattina a buon’otta insino a quest’ora, che voi vedete, digiuno, alla porta di madama di Tampes, per donargli quel bel vasetto d’argento dorato, e tutto gli ho fatto intendere, e lei, per istraziarmi sempre, m’ha fatto dire che io aspettassi. Ora m’era sopraggiunto la fame, e mi sentivo mancare; e, sí come Idio ha voluto, ho donato la roba e le fatiche mie a chi molto meglio le meritava, e non vi chieggo altro che un poco da bere, che per essere alquanto troppo colleroso, mi offende il digiuno di sorte che mi faria cader in terra isvenuto -. Tanto quanto io penai a dire queste parole, era comparso di mirabil vino e altre piacevolezze di far colezione, tanto che io mi recreai molto bene: e riaúto gli spiriti vitali, m’era uscita la stizza. Il buon tesauriere mi porse cento scudi d’oro; ai quali io feci resistenza, di non gli volere in modo nissuno. Andollo a riferire al Cardinale; il quale, dettogli una gran villania, gli comandò che me gli facessi pigliar per forza, e che non gli andassi piú inanzi altrimenti. Il tesauriere venne a me crucciato, dicendo che mai piú era stato gridato per l’addietro dal Cardinale; e volendomegli dare, io che feci un poco di resistenza, molto crucciato mi disse che me gli farebbe pigliar per forza. Io presi li dinari. Volendo andare a ringraziare il Cardinale, mi fece intendere per un suo segretario, che sempre che lui mi poteva far piacere, che me ne farebbe di buon cuore: io me ne tornai a Parigi la medesima sera. Il Re seppe ogni cosa. Dettono la baia a madama de Tampes, qual fu causa di farla maggiormente invelenire a far contro a di me, dove io portai gran pericolo della vita mia, qual si dirà al suo luogo.