La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XXXVIII

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Libro secondo
Capitolo XXXVIII

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Sollecitavo l’opere mie, e l’avevo molto tirate innanzi: il Giove era quasi che alla sua fine, il vaso similmente; la porta cominciava a mostrare le sue bellezze. In questo tempo capitò il Re a Parigi; e se bene io ho detto per la nascita della mia figliuola 1544, noi non eramo ancora passati il 1543; ma perché m’è venuto in proposito il parlar di questa mia figliuola ora, per non mi avere a impedire in quest’altre cose di piú importanza, non ne dirò altro per insino al suo luogo. Venne il Re a Parigi, come ho detto, e subito se ne venne a casa mia, e trovato quelle tante opere innanzi, tale che gli occhi si potevan benissimo sattisfare; sí come fecero quegli di quel maraviglioso Re, al quale sattisfece tanto le ditte opere quanto desiderar possa uno che duri fatica come avevo fatto io; subito da per sé si ricordò, che il sopra ditto cardinale di Ferrara non m’aveva dato nulla, né pensione né altro, di quello che lui m’aveva promesso; e borbottando con il suo Amiraglia, disse che il cardinale di Ferrara s’era portato molto male a non mi dar niente; ma che voleva rimediare a questo tale inconveniente, perché vedeva che io ero uomo da far poche parole; e, da vedere a non vedere, una volta io mi sarei ito con Dio sanza dirgli altro. Andatisene a casa, di poi il desinare di Sua Maestà, disse al Cardinale, che con la sua parola dicessi al tesauriere de’ risparmi che mi pagassi il piú presto che poteva settemila scudi d’oro, in tre o in quattro paghe, secondo la comodità che a lui veniva, purché di questo non mancassi; e piú gli replicò, dicendo: - Io vi detti Benvenuto in custode, e voi ve l’avete dimenticato -. Il Cardinale disse che farebbe volentieri tutto quello che diceva Sua Maestà. Il ditto Cardinale per sua mala natura lasciò passare a il Re questa voluntà. Intanto le guerre crescevano; e fu nel tempo che lo Imperadore con il suo grandissimo esercito veniva alla volta di Parigi. Veduto il Cardinale che la Francia era in gran penuria di danari, entrato un giorno in proposito a parlar di me, disse: - Sacra Maestà, per far meglio, io non ho fatto dare danari a Benvenuto; l’una si è perché ora ce n’è troppo bisogno; l’altra causa si è perché una cosí grossa partita di danari piú presto v’arebbe fatto perdere Benvenuto; perché parendogli esser ricco, lui se ne arebbe compro de’ beni nella Italia, e una volta che gli fussi tocco la bizzaria, piú volentieri si sarebbe partito da Voi; sí che io ho considerato che il meglio sia che Vostra Maestà gli dia qualcosa innel suo regno, avendo voluntà che lui resti per piú lungo tempo al suo servizio -. Il Re fece buone queste ragioni, per essere in penuria di danari; niente di manco, come animo nobilissimo, veramente degno di quel Re che gli era, considerò che il detto Cardinale aveva fatto cotesta cosa piú per gratificarsi che per necessità, che lui immaginare avessi possuto tanto innanzi le necessità di un sí gran regno.