Ladin! 2013/8

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Franco Vivian

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Zoppè e il suo Tiziano cadorine della Valle del Boite
7 Ladin! 2013

Zoppè e il Sasso di Pelmo (Disegno di Josiah Gilbert)

Franco Vivian

Zoppè e il suo Tiziano cadorine della Valle del Boite

. Poiché quest’ultima valle è situata a nord dei crinali naturali che fanno da confine all’attuale territorio di Zoppè, è lecito pensare che, in tempi molto lontani, qualche famiglia proveniente dal vicino Cadore (probabilmente da Vodo o da Venas), sia andata a cercare nuovi territori di pascolo, per poi insediarsi stabilmente nel luogo dove oggi sorge il nostro piccolo Zoppè, circa 250 abitanti e 1460 metri di altitudine, è situato entro i confini geografici della Valle di Zoldo, nelle Dolomiti bellunesi. La posizione è incantevole, ai piedi del Caregón, il Monte Pelmo, che da lassù si mostra in tutta la sua imponenza. Tuttavia, da un punto di vista amministrativo, il Comune di Zoppè (uno dei più piccoli d’Italia) non appartiene allo Zoldano, ma alla “Magnifica Comunità del Cadore”, tanto che il suo vero nome è “Zoppè di Cadore”. Percorrendo la strada che da Bragarezza (una frazione del comune di Forno di Zoldo) risale la valle del Ru Torto, giunti in corrispondenza di una curva (Ponte della Fratta) ci si imbatte in un cartello con la scritta: “Il Cadore saluta i suoi ospiti”: un “biglietto da visita” del piccolo comune cadorino.

Dunque il paese di cui stiamo parlando fa parte del Cadore. La cosa può avere una spiegazione se si pensa che in tempi storici (dopo il Mille) sorse un vero e proprio “bisogno di pascoli” fra le comunità “Il Monte Bosconero da Zoppè” (Josiah Gilbert) comune.

In realtà, data la sua collocazione geografica, Zoppè è sempre stato unito per affinità naturali alla Valle di Zoldo, anche perché da quel lato le comunicazioni erano certamente più brevi e più facili. Inoltre si determinò, fin dai primi tempi della formazione della comunità, una dipendenza ecclesiastica dalla Pieve di Zoldo (quindi dalla diocesi di Belluno). Si tratta, come afferma Giovanni Angelini, di un avvenimento unico nel Cadore il quale invece, nel suo insieme, rimase unito al Friuli fino al 1846, dipendendo dal vescovo di Julium Carnicum (Zuglio di Carnia) sotto il Patriarcato di Aquileia, diocesi di Udine. Quanto ad affinità linguistiche, scrive ancora Angelini, Zoppè ha sì delle particolarità dialettali proprie, “ma per qualche forma anche intermedie con il dialetto di Zoldo”, il che non può destare meraviglia, per i motivi dianzi detti.1

Veniamo ora alla chiesa parrocchiale dedicata a Sant’Anna.

Essa risale al 1530, anno in cui fu edificata per volontà testamentaria di un certo Matteo Palatini, notaio di Pieve di Cadore, proprietario di un maso e di altri beni nel villaggio di Zoppè. Detto Palatini aveva infatti disposto un lascito di oltre cento ducati d’oro, a condizione che si provvedesse alla costruzione di una chiesa sul luogo dove prima era una semplice cappella “aggiunta” alla Diocesi di Belluno. Inoltre, secondo le sue intenzioni, la chiesa doveva essere abbellita con una pala d’altare raffigurante Sant’Anna.

La parte più importante del testamento recita infatti così: “[Il notaio Matteo Palatini] comandò, volle e ordinò che gli infrascritti suoi eredi siano obbligati di far costruire una chiesa nel sito di Zoppè, in luogo per quanto più comodo e più conveniente apparisca ai suoi coloni di Zoppè, sotto il titolo e col nome di Sant’Anna e nel costruirla si paghino cinquanta ducati d’oro per la maestranza della fabbrica della detta chiesa ed altri ducati cinquanta si paghino, a mezzo degli eredi infrascritti, per adornare detta chiesa fa- 1 1

cendosi fare: una piccola pala per l’ammontare di due ducati, sotto l’immagine di Sant’Anna, e si provvedano tovaglie e due candelieri di bronzo...”2 .

La chiesa costruita nel 1530,

in origine molto piccola, sostituì un precedente piccolo sacello detto “Cappella di Zoppedo”. In seguito fu ampliata ed affidata ai pievani della Pieve di San Floriano di Zoldo che la curarono fino al 1843, anno della sua costituzione in parrocchia autonoma3 . La pala d’altare pure realizzata a seguito delle stesse volontà testamentarie e nota come “pala di Sant’Anna”, ha invece una lunga storia ed è tuttora custodita a Zoppè. Datata dal terzo al quinto decennio del Cinquecento, raffigura la Vergine col Bambino, Sant’Anna e i santi Gerolamo e Matteo4 . La tradizione vuole che la tela sia stata dipinta per mano di Tiziano Vecellio, tanto che sul posto essa è da sempre indicata come la “pala del Tiziano”, nonostante le vicissitudini e il dubbio, mai del tutto sopito, che possa essere un’opera della sua scuola. Vale la pena soffermarsi su qualche significativo evento che ha accompagnato la storia della pala nel corso degli ultimi due secoli.

Nella seconda metà dell’Ottocento tale era la fama del dipinto, che l’inglese Josiah Gilbert, girovagando in lungo e in largo per le valli dolomitiche, volle salire fino al villaggio di Zoppè per vedere “il Tiziano” della cui esistenza gli era giunta notizia. Egli ne parla diffusamente nel suo famoso libro “Cadore or Titian’s Country” (Cadore, terra di Tiziano) pubblicato a Londra nel 1869: “Appoggiato ad un verde pendio, proprio sotto gli alti stupendi dirupi del Pelmo, - così scrive il Gilbert, - spicca un grappolo di case rosse fra le quali una chiesetta. Quel villaggio è Zoppè dove è conservato gelosamente un tesoro di inestimabile valore: una pala d’altare che Tiziano dipinse nel 1526 per volontà di un membro della famiglia Palatini, durante una visita occasionale in quei luoghi mentre a Venezia e in Cadore infuriava la peste.[…]. Il quadro da solo, - prosegue l’autore, - potrebbe costituire lo scopo di una gita, ma anche il villaggio di Zoppè merita una visita per la sua posizione pittoresca e romantica, ai piedi delle grandi rocce del Pelmo” 5 .

Un’altra famosa inglese, Amelia Edwards (Londra 1831- 1892), scrittrice, giornalista ed egittologa, seguendo le orme di Gilbert, arrivò dopo qualche anno nelle Dolomiti. Anch’essa raggiunse Zoppè a dorso di mulo, con l’intento di ammirare il famoso Tiziano. Tornata in Inghilterra, la Edwards pubblicò quel bellissimo libro che ha per titolo “Untrodden Peaks and unfrequented Valleys” (Cime inviolate e Valli sconosciute) uscito a Londra nel 1891. “Da Bragarezza, - scrive la Edwards, a proposito della sua salita a Zoppè, - la strada corre in mezzo ai monti coperti di foreste. […]. Il Pelmo appare improvvisamente, enorme, rosato, con la cima coperta di neve. […]. Final- 2 Traduzione dall’originale in latino a cura di Elia Menini di Padova, 1906. 3 Per inciso, la chiesa di Zoppè, prima di diventare parrocchia autonoma, fu dichiarata “mansioneria” nel 1726 e “curazia” nel 1774. 4 Altri dicono trattarsi (probabilmente a torto) di San Marco e non di San Matteo (compresa Amelia Edwards citata nel seguito). 5 Traduzione dall’inglese di Anna Luisa Samoggia, edizione “Nuovi Sentieri”, 1990.

mente ecco Zoppè, scuro villaggio aggrappato a un verde pendio in fondo alla valle, dove termina un ripido sentiero. Fra le case spicca la chiesa bianca dove è custodito il quadro di Tiziano che costituisce la gloria e l’orgoglio della piccola comunità. […]. Rappresenta la Vergine col bambino sul trono, San Marco6 e San Girolamo e, seduta sui gradini del trono, Sant’Anna”. Dunque la pala di cui stiamo parlando era ben nota nell’Ottocento e pare che a quei tempi nessuno mettesse in dubbio la paternità dell’autore. Ma è la stessa Amelia Edwards che, forse per prima, manifestò qualche perplessità sul nome di Tiziano. Infatti l’autrice del libro (che peraltro non era certo una sprovveduta in materia7 ) così prosegue nel suo racconto: “Nel complesso, quest’opera lascia alquanto perplessi: la Madonna ed il bambino sono dipinti nello stile rigido della Scuola Germanica primitiva e non sembrano affatto una creazione del pennello del Tiziano; le figure di San Girolamo e di Sant’Anna si elevano di poco al di sopra della mediocrità; ma la testa e le mani di San Marco sono veramente stupende e, da sole, redimono tutta l’altra parte dell’opera. Il colore è dovunque ricco e intenso. […]. La mia opinione personale, per quanto possa valere, è che in questa tela il Maestro abbia dipinto soltanto la testa e le mani di San Marco”8 . 6 Cfr. precedente nota n° 4. 7 Ricordiamo qui che Amelia Edwards fu una giornalista ed esploratrice di temperamento e doti non comuni, tant’è che, qualche tempo dopo il viaggio nelle Dolomiti, partì per l’Egitto per dedicarsi all’archeologia egizia dimostrando di essere una profonda conoscitrice. Ella percorse tutto il Nilo in battello dal Cairo fino ai siti di Philae e di Abu Simbel posti ai limiti meridionali della Nubia Egiziana. Ad Abu Simbel si fermò sei settimane per studiare uno dei luoghi più misteriosi dell’antico Egitto. Tornata in Inghilterra, pubblicò il libro “A Thousand Miles up the Nile” corredato di suoi disegni, libro che ebbe un grande successo e che la inserì nel novero dei più famosi egittologi del tempo. 8 Traduzione dall’inglese di Anna Luisa Samoggia, edizione “Nuovi Sentieri”, 1985. La pala di Sant’Anna attribuita a Tiziano

Troppo lungo sarebbe citare le vicende legate alla storia di Zoppè, al ruolo svolto dal Palatini e al successivo sviluppo del piccolo villaggio che conservò sempre la sua autonomia e appartenenza al Cadore. Tornando però ancora un istante alla pala attribuita al Tiziano, forniremo qualche altro interessante particolare sulle traversie che l’hanno accompagnata nei secoli passati. Bisogna infatti sapere che quando anche nelle valli dolomitiche arrivarono i soldati di Napoleone, il dipinto corse il pericolo di essere prelevato dai francesi, come purtroppo accadde per moltissime opere d’arte italiane. Fu in quell’occasione che gli abitanti di Zoppè, che per la tela di Sant’Anna avevano una ormai consolidata venerazione, la staccarono dalla cornice e la arrotolarono attorno ad un cilindro di legno che, richiuso dentro una cassa, venne poi sotterrato nel bosco ai piedi di un albero. Naturalmente, a seguito di questo fatto ed anche della successiva precaria conservazione, la tela rimase gravemente danneggiata. Penso si possa ritenere, per inciso, che le cattive condizioni in cui si trovava il dipinto parecchi anni dopo, possano aver influito sul poco entusiastico commento manifestato dalla Edwards all’epoca della sua venuta a Zoppè. Ad aggravare le condizioni della pala di Sant’Anna contribuì anche un rovinoso incendio avvenuto il 15 ottobre 1896, incendio che devastò il paese, la chiesa e il campanile. La tela poté fortunatamente essere messa al sicuro, assieme ad altri oggetti sacri, in una casa privata, ma probabilmente non fu del tutto esente dai danni del fumo. Un primo restauro e altri successivi ritocchi e ridipinture non fecero che aggravare lo stato di degrado che portò, nel 1921, ad un nuovo ripristino. Dopo altri trent’anni, ecco che con un ulteriore restauro (questa volta eseguito forse con maggior perizia rispetto ai precedenti), si pensò bene di rimuovere il denso strato di pittura ad olio che mascherava le lacune, riportando in tal modo alla luce quanto restava dell’originale. Ed eccoci finalmente all’ultimo recente restauro avvenuto nel 2007, eseguito in occasione della mostra su Tiziano inaugurata a Belluno e Pieve La chiesa di Sant’Anna a Zoppè

di Cadore e che intese restituire (almeno in parte) la pala di Sant’Anna alle condizioni originarie, sottoponendola nel contempo ad un accurato esame degli studiosi. Circa l’attribuzione dell’autore, alcune importanti conclusioni sono riportate in una recente pubblicazione dal titolo “Lungo le vie di Tiziano” a cura di Marta Mazza9

dove

la pala è riprodotta dopo il restauro e catalogata come “opera di Tiziano Vecellio e Bottega”. Ciò può voler dire, ritengo, che certamente l’opera fu concepita dal Tiziano che avrebbe anche dipinto con le sue mani alcune parti, lasciando probabilmente alla sua bottega il compito di completarla. E non è poco! A suffragare l’ipotesi che Tiziano Vecellio ne sia stato comunque coinvolto, credo sia importante il contributo dato all’argomento dallo studioso don Floriano Pellegrini che esaminò scrupolosamente il famoso testamento di Matteo Palatini, del quale è conservata una copia nell’archivio parrocchiale di Zoppè10. Innanzitutto si fa notare che il notaio Matteo Palatini, compaesano di Tiziano, fu capitano dei cadorini nel 1508 durante la resistenza contro le truppe di Massimiliano d’Asburgo combattendo a fianco del nonno di Tiziano, Conte Vecellio11. Inoltre, come è sottolineato anche in una nota dello stesso Pellegrini, uno dei due esecutori testamentari fu il notaio Antonio Vecellio, uno zio di Tiziano. Ma non basta. Fra i testimoni dell’atto notarile è indicato anche Gregorio Vecellio, il padre di Tiziano. E dunque il sommo artista era membro di una famiglia molto legata a quella del Palatini. Quanto basta, secondo il Pellegrini, perché vi siano i presupposti per confermare la tradizione che vorrebbe la paternità tizianesca della pala di Sant’Anna.

Lo scrivente non ha certo la competenza per esprimere giudizi in merito alla questione dell’autenticità dell’autore (“Tiziano”, “Tiziano e Bottega” o ancora più semplicemente “Bottega di Tiziano”?). Mi limito ad osservare in proposito che la critica non pare abbia fugato tutti i dubbi. In queste poche righe ho voluto soltanto riportare qualche spunto riguardante la storia del dipinto ed esporre le opinioni di persone molto più autorevoli di me.

Chi sarà attratto dalla curiosità, potrà in qualunque momento salire fino a Zoppè di Cadore per ammirare la pala di Sant’Anna. Zoppè è oggi un grazioso borgo di montagna. La strada che porta lassù è attorniata da boschi per una decina di chilometri: verso la fine degli ultimi tornanti appaiono le case del paese, accoccolate sotto i pendii del Col de Sant’Anna e del Col de Viza. Sono case bianche o giallo pallide, divise l’una dall’altra da tabià di legno, molti dei quali traforati con disegni di fiori o animali. Sotto le case si stendono i prati e, al di sopra, il verde del bosco. Sullo sfondo appare il Pelmo con l’enorme circo sommitale del “Valón”, al cui cospetto tutto appare piccolo.

La minuscola piazza del paese è un belvedere sulla valle; da un lato fa capolino un grazioso ristorante dal nome che sa di tempi lontani: “Antica Locanda al Pelmo”.

Quanto alla pala di Sant’Anna, quali che siano le opinioni della critica, per gli abitanti di Zoppè il dipinto è e sarà sempre la “pala del Tiziano”. E, siatene certi, ne sono molto fieri. 9 Ed. Skira, Milano 2007. 10 “Il testamento di Matteo Palatini del 1528”, a cura di don Floriano Pellegrini, 2007. 11 Le forze cadorine, unite in quel frangente a quelle di Bartolomeo d’Alviano, vinsero gli imperiali nella piana di Tai.

  1. G. Angelini, “Zoppè di Cadore: la strada e il cimitero dei pagani”, Ed. Le Dolomiti Bellunesi, 1981.