Le Mille ed una Notti/Il saggio Koulai o l'Arte di risuscitare i morti

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Il saggio Koulai o l'Arte di risuscitare i morti
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NOTTE DXLII

Scheherazade, per mantenere la fatta promessa, si raccolse alcuni istanti, e cominciò la storia seguente:

IL SAGGIO KOULAI

O L’ARTE DI RISUSCITARE I MORTI.

— Feridun, re di Persia, aveva veduto morirsi fra le braccia la bella Irandotta, la più cara delle sue mogli, e voleva seguire nella tomba quella tenera e virtuosa sposa. Aveva già passati tre giorni e tre notti senza cibo, senza sonno, e senz’altra compagnia che la propria disperazione. Già la morte alzava la tremenda falce a colpire la nuova vittima.

«Quel monarca amava la virtù, governava saggiamente, ed era stimato e rispettato dai vicini. Appena il popolo conobbe lo stato di languore del suo re, fu colto dal timore di perderlo: tutte le feste cessarono, furono ordinate pubbliche preci, e le moschee erano piene d’immensa moltitudine, che chiedeva con fervore a Dio la salute d’un re sì giustamente amato.

«In mezzo alla generale costernazione, un filosofo indiano, di nome Koulai, che il monarca persiano [p. 347 modifica] onorava della sua fiducia, entrò di repente nel lugubre luogo prescelto a dimora da quel principe. — Re dei re,» gli disse quel saggio amico, «degnatevi ascoltarmi un momento. Io non vengo ad irritare il vostro dolore con frivole consolazioni, ma ad annunziarvi il prossimo ritorno del bene che più non isperate. Fra poco, siatene certo, fra poco la regina in persona asciugherà le lagrime che fa scorrere: essa vivrà, e formerà la vostra e nostra letizia. Io veggo la sorpresa cagionatavi dalle mie parole; ma sappiate, o sire, che ho scoperto negli scritti di un antico sapiente il mezzo di richiamare in vita la bella Irandotta, mezzo sicuro, e che sembra altrettanto semplice, quanto facile. Non si tratta che di trovare tre persone perfettamente felici, e scolpirne i nomi sulla tomba della regina. La sola virtù di questi tre nomi basterà per rendere a voi la vostra augusta sposa, ed ai vostri sudditi la loro regina e madre.

«— Voglio vivere,» gridò il re, «voglio vivere ancora per tentare il maraviglioso esperimento. Cercate, scegliete voi stesso, o saggio Koulai, i tre fortunati mortali di cui avete bisogno; se mi restituiscono la mia cara Irandotta, sarò più felice io solo di quello che potranno esserlo lutti e tre assieme. —

«Fece tosto pubblicare per tutto l’impero che chiunque godesse d’una vera felicità, dovesse presentarsi al saggio Koulai, rispondesse sinceramente a tutte le di lui domande, e gli lasciasse il proprio nome esattamente scritto; che alla pronta obbedienza di costoro in ogni punto, il cielo aveva collegata la vita del re e la risurrezione della regina. Si promettevano quindi grandi onori e ricompense a quelli pei cui mezzo si otterrebbe il lieto evento.

«Appena fatta quella proclamazione sulla gran piazza di Estekar, un giovane arrivò tutto ansante dal filosofo indiano, e gli disse bruscamente: — Io mi [p. 348 modifica] chiamo Kobad... ecco il mio nome scritto chiaro... risuscitate la regina.» Fiatato alquanto, aggiunse: «Ma subito, se fia possibile; io vi avverto che forse domani il mio nome non avrebbe lo stesso potere.

«— E perchè questa premura?» chiese Koulai.

«— Signore,» riprese Kobad, «io adoro la vezzosa Menulon, la più leggiadra creatura fatta dal cielo! ma oserò io dirvelo? posso proferire tal bestemmia? La divina Menulon non va esente dai capricci che si rimproverano al di lei sesso. Ieri essa mi scacciò inumanamente dal suo cospetto; oggi mi richiama. Io sono ora il più felice degli uomini; chi sa se domani....

«— Intendo,» lo interruppe il saggio; «voi siete il più felice degli uomini finchè siete amato dalla divina Menulon, ed essa vi ama o vi scaccia secondo il tempo che corre; ecco una strana felicità davvero! per me preferirei una febbre intermittente: gli accessi ne sono regolari, e si sa come trattarli. Io ve lo dico schiettamente, signor Kobad, portate via il vostro nome: esso nulla può per la risurrezione della regina. —

«Due amanti si presentarono pochi giorni dopo, e furono ricevuti in modo migliore. Già da quattro anni, Zalzer e Balkis avevano concepita l’un per l’altra una ben fondata stima ed il più ragionevole e tenero amore, e questo amore, sempre contrastato, aveva finalmente vinti tutti gli ostacoli: essi eransi sposati in quello stesso giorno, e fu dal piede dell’altare, ove avevano assicurata la propria felicità, che vennero a farne una viva e toccante pittura al saggio ministro. Il filosofo ne parve giulivo; ma fece intendere agli sposi che bisognava sottomettere a qualche prova una felicità di data sì recente. — La prova,» disse loro, «non sarà lunga, nè penosa; godete per otto giorni del piacere di vedervi e [p. 349 modifica]possedervi; ma godetene senza interruzione, senza distrazioni, in una perfetta solitudine. Uno basti all’altra: per due cuori innamorati, il resto del mondo è ben poca cosa. —

«Lieti di quei consigli, i due sposi corsero a gustare tutte le delizie d’una solitudine di otto giorni. Quanto furono dolci e vive il primo giorno! All’indomani lo furono meno; il dì dopo si annoiarono; il seguente cominciarono le querele, ed il quinto si divisero.

«Dopo i due sposi, due uomini di poca apparenza e di mesto aspetto, vennero a domandare a Koulai un istante di udienza. Erano fratelli, e fu il maggiore che prese la parola. — Noi siamo oscuri di nascita,» disse, «senza amici, e quasi senza averi, e nella piccola città che abitiamo, siamo appena conosciuti dai nostri vicini; in una parola, signor Koulai, noi non siamo felici, e molto ci manca; ma se piacesse al re, noi lo saremmo in breve, ed anche molto più che non abbisognerebbe per risuscitare la regina. Non si tratta che di affidare a mio fratello il governo della nostra piccola città, ed a me, le cui inclinazioni sono meno nobili e più sensuali, basterà darmi ventimila pezze d’oro.

«— Ciò che voi domandate è assai facile,» rispose Koulai,» ed io ne farò parola al re, il quale non vi rifiuterà sì piccola cosa; ma lasciate che v’imponga una condizione. Bisogna che mi conduciate, voi un uomo possessore di ventimila pezze d’oro, e voi, il governatore d’una città, piccola o grande, e che queste due persone siano perfettamente contente del loro stato. Io asseconderò allora i vostri desiderii, e la risurrezione della regina è immancabile; in vece di tre felici che cerchiamo, ne avremo quattro, il che sarà assai meglio.» [p. 350 modifica]

NOTTE DXLIII

— I due fratelli incaricaronsi volontieri della commissione, e promisero di tornar presto, ciascuno con un compagno; ma non furono più veduti, non avendo trovato, dice la storia, che opulenti bramosi d’arricchire sempre più, e governatori di città che cercavano governi di province.

«Fu con tali espedienti che Koulai si sbarazzò di una folla di visionari, i quali promettevano d’essere felici se potevano avere una terra, una carica, un titolo onorifico; ma fra tante anime, vane od interessate, gli capitò finalmente dalla Persia un galantuomo, il quale non voleva, nè bramava cosa alcuna.

«— Signore,» gli disse quel fortunato mortale, «io amo soltanto il piacere, ma l’amo saggiamente, e per gustarlo meglio, so variarlo, moderarlo, e talvolta eziandio privarmene. Io sono ancor giovane, godo un’eccellente salute e ragguardevole fortuna: aggiungete un umore benigno ed allegro, amici che non m’importunano, una bellissima amante che amo nè troppo, nè troppo poco; e da tuttociò giudicate se non ho ragione di credermi perfettamente felice.

«— Avete ragione, senza dubbio, e confesso che, al vostro posto, avrei una gran paura di morire.

«— Eh! ma.... ne ho anch’io qualche paura: i beni della vita sarebbero troppo poca cosa ai nostri occhi, se non si temesse di perderli, e se codest’idea non venisse di tanto in tanto a spargere un po’ di amarezza sui loro godimenti. [p. 351 modifica]«— Va bene,» disse Koulai, «ma quando vi si pensa, i piaceri della vita sono dessi puri? Son dessi veri beni quando questo timore li avvelena?

«— Io penso alla morte il meno che posso,» replicò il voluttuoso:

«— Fate ancor meglio, non pensatevi del tutto,» disse il saggio filosofo; «o, ciò che non è pur meno difficile, trovate il segreto di non morire. Io potrò allora far iscrivere il vostro nome sulla tomba d’Irandotta... e sarei fors’anco incerto. —

«Il voluttuoso se ne andò, cercando di non più pensare alla morte; ma ciò stesso era il pensarvi. Koulai si decise infine di por termine a quella specie di commedia, in cui rappresentava già da tre mesi una parte sì stucchevole. Recossi dal re, il cui dolore erasi già mitigato, e non temè di confessargli l’infruttuosità delle sue ricerche.

«— Ma alla fin fine,» disse il principe, «che bisogno abbiamo mai di tante indagini e tanti interrogatorii? Perchè non ponete voi sulla tomba della regina i nomi di due vostri confratelli, ed il vostro pel primo?

«— Ah! signore, i filosofi sono uomini come gli altri: essi s’ingannano sovente e mentono talvolta. Per quanto mi riguarda, io ho lavorato trent’anni ad acquistare la saggezza e la vera felicità; ma è pur troppo vero che non posseggo nè l’una nè l’altra.

«— Ma,» riprese il re, «nessuno è adunque compiutamente felice?

«— No, signore, giacchè bisogna confessarvelo: nessuno può essere felice su questa terra maledetta dal cielo. L’eroina che voi piangete, o sire, comprese di buon’ora tale verità, triste e salutare nello stesso tempo, e si sottomise coraggiosamente ai decreti del cielo. Facendo buon uso di una vita sparsa di piacere e di pene, essa ne meritò, senza [p. 352 modifica]dubbio, una migliore. O re dei re, imitate la vostra augusta sposa, e cessate dall’affliggervi della sua felicità. — «Il re, dopo aver riflettuto, ringraziò il filosofo dello strattagemma e della sua intenzione, e non pensando più a risuscitare la regina, si consolò come di solito accade: il tempo, i divertimenti e nuove pene gli fecero scordare le pene trascorse.»

— Questa storiella è graziosa,» disse Schahriar alla sultana delle Indie, «e lungi dall’annoiarmi, come voi credevate, essa m’interessò assai. Ma,» soggiunse il sultano, «la notte è poco inoltrata, e se la vostra memoria può fornirvi un altro racconto, io l’ascolterò con piacere.» Scheherazade, lieta che il sultano la invitasse egli medesimo a raccontare una nuova storia, cominciò la seguente in codesti termini: