Le Mille ed una Notti/Storia di Chadul, principessa dell'India

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Storia di Chadul, principessa dell'India
Storia di Naz-Rayyar, governatore di Babilonia, e d'un principe del Korassan Il saggio Koulai o l'Arte di risuscitare i morti
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STORIA

DI CHADUL, PRINCIPESSA DELL’INDIA.

«— Io era schiava della principessa Chadul (è la schiava che parla, disse Edrenok) fin dalla più tenera infanzia, e per la simpatia ch’ella sentiva per me, mi aveva non solo ammessa al più intimo servizio, ma io possedeva altresì tutta la sua fiducia, e sarei morta vicino a lei, se, per un avvenimento inutile a sapersi, non fossi stata rapita e venduta ai mercanti dai quali mi comperaste. Quando Chadul ebbe quindici anni, la vivacità del suo carattere si sviluppò, e le faceva cercare di continuo ciò che potesse divertirla; spesse volte anche si travestiva per recarsi al bagno.

«Un giorno, appunto nel tornarne, vide un giovane sarto, il quale le fece tanta impressione, e le parve sì bello, ch’essa mi ordinò di seguirlo e condurlo nel di lei appartamento al più presto. Volli invano farle alcune rimostranze: il modo col quale mi parlò mi astrinse ad ubbidirla. Seguii il sarto, e lo indussi facilmente a venir meco, proponendogli di farmi un abito. Quando fu nell’appartamento della principessa, questa gli fe’ portar da mangiare, gli sedè al fianco, e gli disse mille appassionate cose; ma l’imbarazzo del giovane era sì grande, ed il suo pudore, la sua vergogna o debolezza sì forte, che ne rifiutò le carezze, respingendole inoltre con una specie di disdegno.

«La principessa, almeno dietro quanto sempre mi asserì, finse di montar sulle furie e spinse la mano contro di lui, senza pensare che teneva ancora il coltello da lei preso per servirlo a tavola. Il [p. 319 modifica] giovane ne fu sgraziatamente colpito nel cuore, e sì addentro, che cadde morto sull’atto. La principessa mi chiamò per aiutarla in quel caso fatale: nostra prima cura fu di nascondere il cadavere; poscia mi raccomandò di cercar ogni mezzo per farlo portar via. Tali commissioni erano delicate, e non mi confacevano molto; sperai però che quell’avvenimento l’avrebbero resa più circospetta: essa me lo promise nei primi momenti del suo imbarazzo. Dopo aver pensato molto, io non trovai espediente migliore, per isbarazzarmi del sartore, che di rivolgermi ad un Arabo chiamato Ubulok: era un soldato della guardia, del quale io aveva udito citare la forza ed il carattere vivace, pronto alle risposte; io sperava che il suo impiego ed il suo spirito avrebbergli somministrati i mezzi di deludere la vigilanza delle altre guardie.

«Trovai infatti ii mezzo di farlo entrare nel palazzo e condurlo dalla mia padrona, la quale gli regalò cinquanta zecchini, e gli disse: — Porta via questo forziere,» mostrandogli quello in cui era rinchiuso il sartore. — Io non posso ubbidirvi,» rispose colui, «se non mi fate veder prima ciò ch’esso contiene; l’appartamento delle donne è cosa di troppa importanza, per esporre giorni preziosi come i miei. —

«Invano la principessa raddoppiò le sue preghiere; cinquanta altri zecchini ch’essa gli donò non produssero miglior effetto: fu d’uopo aprir il forziere.

«— La tua curiosità è ora soddisfatta; vattene, prendi questo baule, e parti. — Non sono ancora abbastanza informato,» rispose Ubulok, sedendo senza cerimonie; «comincio a dubitare, e più vedo questo morto, più voglio sapere circostanziatamente a che cosa m’espongo; alla fin fine, se devo portarlo via, io non posso ignorare di chi sia questo cadavere, in [p. 320 modifica] qual modo e perchè si trova qui, e soprattutto chi lo ha ridotto in questo stato. — Tu lo vedesti, ora si tratta di portarlo altrove,» riprese la principessa con impazienza.»

NOTTE DXXXVI

— «Ubulok lo lasciò dire, come anche a me, tutto ciò che ci parve capace di persuaderlo; ma non ne fu smosso, e quando ebbimo cessato di parlare: — O soddisfate alla mia domanda,» soggiuntegli, «o qui lo lascio. —

«La principessa fu adunque costretta a confessargli ogni cosa — Va bene,» le disse l’Arabo; «io non farò ciò che volete da me, se non m’avrete prima concesso quanto esigevate dal sartore. — Insolente,» gridò la principessa, «non temi il mio furore? — No,» le rispos’egli freddamente; «voi siete già imbarazzata del sartore; che fareste di me nello stesso caso? — Ciò può essere,» replicò la principessa; «ma con qual viso osi tu farmi una simile proposta? — Voi non credeste umiliarvi,» rispose Ubulok, «prendendo un sarto; che cosa aveva egli più di me? Io sono anzi di condizione più nobile. —

«Chadul, vedendosi tra due pericoli eguali, mi pregò di trarla di quell’impaccio, soddisfacendo l’Arabo. Io ricusai. — Ubulok ha ragione,» le dissi; «quest’affare riguarda unicamente voi sola, o principessa; a voi dunque tocca trarvi d’imbarazzo. —

«Chadul si vide costretta ad appagare i desiderii del brutale, ed il soldato, avvolto il baule in alcuni [p. 321 modifica] cenci, trovò il mezzo di deludere la vigilanza dei compagni, e sbarazzarsi del cadavere, del quale non udimmo più parlare.

«Ubulok, non contento di aver disonorata la figlia del suo re, volle renderne palese a tutti la vergogna. Un giorno che stava ubbriacandosi con altre guardie del palazzo, riscaldato dal vino, si vantò di possedere, un’amante superiore d’assai a quelle che avevano avuto o che potessero avere. Più si burlavano di lui, più si riscaldava, e venne al punto di scommettere cinquanta zecchini; ma quand’ebbe nominata la figlia del re, i suoi compagni, sorpresi, gli dissero: — Bada a quello che dici, e pensa alla distanza che passa fra lei e te. — Non volete credermi?» rispose; «scommetto altri cinquanta zecchini che la farò venir qui. —

«La scommessa fu accettata: egli allora entrò nel palazzo, e trovata la mia padrona, la pregò di seguirlo per fargli guadagnare la scommessa. Il re, sgraziatamente, si trovava in una camera tanto vicina, che Ubulok, avendo minacciato di alzar la voce, il che bastava a perderla, se continuava a resistere alle sue domande, essa si vide costretta d’acconsentirvi. La rabbia onde si sentiva accesa contro un uomo così pericoloso non facendole respirar che atroce vendetta, prese un grosso pezzo d’oppio, e lo seguì.

«Trovò infatti molti uomini i quali, malgrado lo stato in cui li aveva messi il vino, si maravigliarono di vederla comparire, e vollero alzarsi per rispetto.

Ma Ubulok, che faceva gli onori, disse loro di non incomodarsi per lei, e quando ebbe ricevuti i cento zecchini della scommessa, li pregò di continuar a bere.

«Fu allora che la principessa, non potendo più soffrire tanta insolenza, colse il momento opportuno per gettar l’oppio nella bottiglia che le venne presentata. [p. 322 modifica] Il vino da coloro già bevuto ne rese l’effetto più pronto, e la mise in istato di assicurarsi della vendetta che meditava, trafiggendo a tutti il cuore, specialmente al perfido Ubulok.

«Dopo questa giusta esecuzione, la principessa tornò al palazzo, senza aver dato il menomo sospetto della sua assenza. Al domani, si seppe con istupore la nuova di quella strage, ma non si riuscì a scoprirne l’autore. Poco tempo dopo il padre di Chadul conchiuse il matrimonio della figlia con un principe vicino, e la giovane, non potendo rifiutare quelle nozze, fe’ fare molte copie del suo ritratto... Ed è,» aggiunse Edrenok, «una di queste copie che la schiava avevano fatto mirare.

«— La principessa m’ordinò,» proseguì la donna, «di dar queste copie a vari mercanti di schiave, promettendo loro il prezzo che vorrebbero d’una schiava vergine, della sua età circa, e che le somigliasse. La speranza d’una ricompensa illimitata produsse il suo effetto. Un mercante me ne presentò una, la cui somiglianza mi colpì; gli fu dato tutto ciò che volle, dopo averla esaminala e trovata qual si desiderava. La principessa la nascose poi con estrema cura agli sguardi delle schiave e degli eunuchi; io sola era a parte del segreto, e per evitar ogni sinistro, essa non ebbe altro letto che il mio.

«Chadul, intanto, non tralasciò nulla per guadagnarsene l’amicizia, e quando credette opportuno, le svelò il segreto, pregandola d’occupare il di lei posto nel talamo del marito, la prima notte delle sue nozze. La schiava acconsentì, e fu messa ai fianchi del re, che ne rimase soddisfatto. Pochi momenti dopo, la principessa, attenta a quanto succedeva, veduto il marito addormentato, si avvicinò al letto, e disse alla schiava: — Alzati, ora basta; ti darò tutto quello che t’ho promesso, e ti sarò grata del servigio che mi [p. 323 modifica] facesti.— Io sono vicina a mio marito; che cosa volete da me?» rispose la schiava. — Come! perfida,» ripigliò la principessa a bassa voce; «è così che tu m’inganni? — «Invece di continuare il discorso, la schiava abbracciò il principe, e le sue carezze risvegliandolo, costrinsero la mia padrona a ritirarsi. Chadul, in quel frangente, vedendo che aveva da fare con una donna ch’essa non avrebbe potuto scacciare senza proprio danno, appigliossi subito ad un partito, scese nelle cucine, raccolse tutta la legna che potè trovare, ed appiccovvi il fuoco.

«L’incendio si propagò rapidamente; si accorse da tutte le parti per ispegnerlo, ed il re, alzatosi per dar gli ordini necessari, salì su d’un terrazzo seguito dalla schiava. La principessa, che stava osservandoli, si avvicinò ad essi, e trovò il momento di scongiurare il consorte a non esporsi, assicurandolo che la sua presenza era inutile in un luogo già preda alle fiamme. Persuaso da’ suoi consigli, il principe si ritirò, e la donna diè un urto alla perfida schiava tanto a proposito, che colei cadde tra le fiamme e vi perì.

«Chadul finse di essere afflittissima della morte della schiava; il re affrettossi ad asciugar le sue lagrime. Si spense il fuoco, e nulla più impedì a Chadul di godere delle delizie del sonno tra le braccia del suo sposo. Da quel dì ella visse tranquilla, e diede tre maschi al consorte, il quale non ebbe alcun sospetto di ciò che era accaduto alla moglie prima di sposarla, avendola giudicata dalla fisonomia.— Ecco, signore,» soggiunse allora il visir, «qual fu il suo errore, e come i giudizi degli uomini ponno essere fallaci. — «Seifulmulok non fu menomamente smosso da quella storia, e non degnò farne applicazione alcuna ai pericoli che poteva incorrere; non v’ha amante, il [p. 324 modifica] quale non si creda eccettuato dalla legge comune, e la prevenzione dell’amore non è uno de’ suoi menomi inconvenienti.»

NOTTE DXXXVII

— Intanto i duecento messi spediti dal re Hasm in tutte le parti del mondo, tornarono spirato l’anno. Alcuni avevano visitata la Grecia, la Kiovania; altri percorsa l’Asia e l’Africa: ma le loro fatiche erano riuscite inutili, non riportandone che un circostanziato rapporto delle più belle fanciulle trovate nei loro viaggi. Lo spasimo del principe crebbe di molto quando vide che tutte le ricerche erano state infruttuose, e stimò rovinate le proprie speranze.

«— Io nulla risparmiai per contentarvi,» gli disse il più tenero dei padri; «è da presumere che voi amiate un fantasma, un oggetto ideale; la beltà da voi sognata non esiste sulla terra, e non v’ha in tutte le parti del mondo la menoma conoscenza del paese d’Irem. In qual modo adunque pervenirvi? Come ottenere questa beltà immaginaria? Quello ch’è certo si è, che nè le lagrime, nè la disperazione sono i mezzi di riuscire. Ecco, mio caro figlio, la nota dell’età e delle doti di tutte le bellezze del mondo conosciuto: scegliete quella che vi piace di più. — Nulla può farmi dimenticare Bedihuldgemal,» riprese il principe con vivacità; «quand’anco quelle che mi offrite fossero più leggiadre del sole, esse non me la possono cancellare dalla memoria, e preferisco l’idea della mia principessa, al possedimento di tutte le [p. 325 modifica] altre. Ma, signore, ho ancora speranza di trovarla, e sono perciò a domandarvi una sola grazia; se me la accordate, non avrò più nulla a desiderare dal migliore dei padri. Questa grazia m’è necessaria per non morire,» aggiunse il giovane dolente.

«Il re, vedendolo così crudelmente afflitto, gli promise di accondiscendere alle sue brame. — Permettetemi,» gli disse il principe, «di percorrere il mondo in persona; sarò forse più fortunato dei vostri messi, il cuore me lo dice.» Indarno il re volle opporsi: ei fu costretto di dare gli ordini opportuni alla partenza del giovane. Non è da esprimere il cordoglio del padre abbracciando l’amato figliuolo. Il lutto dell’Egitto fu universale e sincero, perchè il principe era generalmente amato, e meritava di esserlo. Infine, egli s’imbarcò sul mar Rosso su d’una superba flotta che Hasm aveva fatta equipaggiare. La più brillante gioventù, i soldati più agguerriti ed i migliori astrologhi partirono con lui.

«La flotta traversò felicemente il mar Rosso, e dopo qualche tempo di navigazione, approdò in un porto della China. Fakkefur, che in allora vi regnava, saputo l’arrivo del principe, gli rese tutti gli onori dovuti al suo grado, e non contento della magnifica accoglienza fattagli nel suo palazzo, mostrò molta fiducia accettando una festa che Seifulmulok volle dargli sul proprio vascello. Fakkefur, maravigliato della tristezza che oscurava le grazie e la beltà del principe, volle saperne la cagione. Il giovane gli chiese notizie di Bedihuldgemal, figlia del sovrano d’Irem. Il re protestò che la principessa ed il paese gli erano sconosciuti. — Ma,» aggiunse, «esiste ne’ miei stati un uomo di circa centosettant’anni, il quale solo può soddisfare la vostra curiosità. — «Ordinò tosto che si andasse a cercarlo. Il vecchio fu condotto alla presenza del re, il quale, davanti al [p. 326 modifica] giovane, gli fece alcune domande sull’Irem e sulla principessa. Il vecchio confessò non essergli rimasta se non un’idea confusa di quel paese, onde aveva udito parlare in sua gioventù. — Ma,» soggiunse poi, «andate a Kebr, il porto più frequentato dai negozianti di tutti i paesi dell’universo; vi troverete un certo Madehor, il quale potrà appagare la vostra curiosità.» Il vecchio insegnò la strada per recarsi a Kebr, ed aggiunse che abbisognavano trenta giorni per arrivarvi.

«Con questi schiarimenti, il principe d’Egitto prese congedo dal re, e si lasciarono giurandosi eterna amicizia. Dopo una felice navigazione di venticinque giorni, alzossi una furiosa tempesta, ed il principe ebbe non solo il dolore di veder perire il fiore della nazione egiziana, ma ancor quello d’essere spettatore della perdita del vascello sul quale Said era passato il dì prima: lo vide inghiottito dai flutti.

«Quel funesto caso lo rese insensibile al piacere della propria salvezza; immerso in profondo dolore, non s’accorse che il suo vascello, migliore o più fortunato, era il solo che avesse resistito alla burrasca. Fu tratto infine dall’abisso de’ suoi pensieri dall’attacco d’una nave scambiata sulle prime da’ suoi ufficiali per un bastimento mercantile, ma ch’era un legno di corsari neri. Questi, approfittando del disordine cagionato dalla bufera sul vascello pericolato, l’attaccarono, e lo presero malgrado il valore del principe e di tutti quelli che si trovavano con lui. Seifulmulok si vide fatto prigioniero con uno solo del suo seguito, essendo tutti gli altri periti nel combattimento.

«Il principe, incatenato, fu dai negri condotto su d’una montagna e presentato al loro re. Era costui un uomo di gigantesca statura, i cui occhi brillavano come stelle. Stava seduto sul trono; il giovane gli parve un boccone sì delicato (quei negri erano [p. 327 modifica] antropofagi), che lo mandò col seguace a sua figlia, consigliandola di conservarli amendue come atti a ristabilire la di lei salute, e scacciar la nausea che da qualche tempo la tormentava.

«La principessa negra fu sensibile alle grazie ed alla beltà del giovane, e la sua vista produsse sulla di lei salute il medesimo effetto che il cuore occupato produce sul temperamento; ella l’amò dunque e risanò in breve, malgrado l’austero digiuno osservato per conservar l’uno, perchè l’amava, e l’altro, pel timore che l’oggetto della sua passione non si annoiasse.

«Alcuni giorni dopo, il re suo padre le chiese come avesse trovati gli schiavi di cui erasi privato per lei; ella rispose di averli trovati eccellenti, e che sovrattutto uno l’aveva guarita da’ suoi mali. Intanto la principessa non cercava che di piacere al suo nuovo schiavo; ma quand’anche fosse stata più amabile, il giovane non ne sarebbe stato più commosso; anzi ci volle assai tempo perchè si accorgesse dell’impressione da lui prodotta sul cuore della negra, avvedendosene soltanto un giorno in cui la donna gli si presentò col viso imbiancato di calce e le sopracciglia annerite col carbone, Essa aveva immaginato quello strattagemma per piacergli, ma non vi riuscì.

«Finalmente, vedendo il principe insensibile, fu varie volte in procinto d’immolarlo alla vendetta de’ suoi spregiati vezzi; ma contentossi di condannarlo a lavorare nelle opere più faticose. I suoi ordini furono eseguiti con tal rigore, e gli si fecero portare carichi sì pesanti, che in un momento il suo dorso non fu che una sola piaga.

«Il principe risolse di morire piuttosto cho soffrire più a lungo simili tormenti. Egli ed il suo compagno, lavorando vicino al mare, pervennero a costruire [p. 328 modifica] una zattera, sulla quale s’imbarcarono, dopo essersi muniti delle necessarie provvigioni.

«Approdati in un’isola, e trovativi frutti con altri viveri, si coricarono appiè d’un albero. Giunta la notte, videro uscir dal mare un’infinità di pesci di vari colori e grandezze, che, avendo mangiato frutti, e giuocato sulla sabbia, sul far dell’alba tornarono nel loro elemento.

«Il principe, vedendo che in quell’isola non poteva saper notizie di Bedihuldgemal, risolse d’affidarsi ancora alle onde. Alcuni giorni dopo il suo imbarco, il compagno morì. Oppresso da quella nuova sciagura, sbarcò nell’isola di Sandalo e d’Aloè. Era il maggior pericolo che poteva incorrere. Quell’isola è piena di formiche che l’avrebbero inevitabilmente divorato, se per fortuna non fosse stato il tempo in cui quei terribili animali si ritirano.

«Queste formiche sono grosse come doghi e molto più carnivore; divorano tutto ciò che trovano, ed i mercanti i quali giungono in quell’isola, trascinati dall’avidità del guadagno, per pigliarvi i preziosi legni di cui abbonda, sono costretti, per aver il tempo di tagliarli e portarli via, ad andarvi prima della stagione che obbliga le formiche a ritirarsi.»

NOTTE DXXXVIII

— Essi percorrono l’isola su agilissimi corsieri, gettando pezzi di carne a quelle che li inseguono, per aver la libertà di segnare le piante più convenienti, e che vengono poscia a prendere, quando l’isola è sbarazzata di quegl’incomodi abitatori. [p. 329 modifica]

«Seifulmulok, in un’isola così pericolosa, oppresso di tristi pensieri, desolato di non poter ritrovare l’oggetto delle sue ricerche, dolente della perdita dell’amico Said, era in procinto d’abbandonarsi alla disperazione. Un giorno scorse un uccello grande come un camello, la cui testa era nera, le gambe verdi, e che pasceva come i quadrupedi. Deciso di non più avventurarsi in mare, attaccossi pian piano ad un piede dell’uccello, e chiuse gli occhi pel timore che l’altezza del volo non gli facesse girar la testa.

«L’uccello infatti spiegò i vanni, sollevando seco il principe. Egli ha sempre ignorato la strada che fece, ma gli accadde appunto ciò che temeva, perchè, aprendo gli occhi, fosse fatica, o mancanza di respiro, la debolezza gli fe’ allentar le mani, la corda che tenevalo legato si ruppe, ed è certo che sarebbe perito, se l’uccello, vedutolo, non fosse calato con maggior rapidità ch’egli non credesse, ricevendolo sul dorso senza fargli alcun male. Quell’uccello aveva interesse di conservare il giovane, giacchè lo portò su d’un albero immenso, contenente il suo nido, e diedelo in cibo a’ suoi nati, che già si preparavano a divorarlo.

«Era finita pel principe, se non fosse sopraggiunto un enorme serpente, il quale rovesciò il nido, divorando tutti i piccini. Seifulmulok, benchè stordito dalla caduta, non tralasciò d’alzarsi troppo felice d’essere sfuggito a certa morte. Dopo aver camminato alcun tempo, scorse un alto monte, il cui piede era bagnato dal mare, e sulla cui vetta ergevasi un palazzo brillante per magnificenza. Con infinito stento s’arrampicò su pel monte, e trovossi davanti la porta del castello. Fece grandi sforzi per distaccare una chiave che gli sembrava quella del palazzo, e che pure pendeva soltanto da un semplice chiodo. Finalmente toccò coll’anello il talismano senza accorgersene, e nulla gl’impedì più di prendere la chiave. [p. 330 modifica]

«Schiusa la porta, vi entrò, od i suoi occhi rimasero abbagliati dalle ricchezze che racchiudeva. Percorse un immenso appartamento, in fondo al quale trovò una bellissima fanciulla adagiata su d’un trono coperto d’un magnifico tappeto. Il principe la osservò per alcuni istanti, ma sorpreso di non averla svegliata col rumore de’ suoi passi, non dubitò che una pietra incisa, su cui appoggiava la testa, non fosse, qualche altro talismano che le cagionasse un sonno sì profondo; egli toccò la pietra, e subito la fanciulla si alzò a sedere.

«— Che cosa volete ancora, crudele Sedifbach?» diss’ella, risvegliandosi per metà «perchè tormentarmi sempre?» Ma poco dopo, riconoscendo l’errore: «Chi siete?» chiese al principe; «come mai vi trovate qui?

«— Bella giovane,» rispose Seifulmulok, «io sono un infelice che l’amore perseguita ancor più della fortuna; degnatevi spiegarmi la ragione di quanto veggo in questo palazzo, che voi sola sembrate occupare.

«— Io sono figlia del re di Serendib. Questo principe ha tre sole figlie: noi avevamo, le mie sorelle ed io, un giardino per unico nostro divertimento, in cui una vasca di marmo, che riceveva una fontana, ci serviva sovente a prendere i piaceri del bagno. Sarà circa un anno (giacchè il sonno m’arreca qualche confusione nelle date) che ci eravamo spogliate per bagnarci, quando s’innalzò d’improvviso un vento terribile, cagionando una polvere sì densa, che non distinguevasi più alcun oggetto.

«In quel punto comparve un uomo il quale, presami, malgrado le mie grida, mi trasportò in questo palazzo. Quando vi fummo, mi disse ch’era figlio d’un re degli spiriti, e fratello di Kilsem, oggidì sul trono. — Io vi ho veduta,» aggiunse, «e nel [p. 331 modifica] medesimo istante vi amai. — Voi non potete sperare di piacermi,» gli risposi, «finchè non mi riportate al luogo d’onde mi toglieste. — Fin quando v’amerò, bella Melika (questo è il mio nome), nulla potrà separarmi da voi!» ripigliò egli con vivacità; «avrò così almeno la soddisfazione di tenervi in mio potere! —

«I miei preghi riuscirono vani, e vedendo che io non voleva corrispondere al suo amore, m’addormentò nella situazione in cui mi trovaste. Il genio viene una volta al mese a svegliarmi come faceste voi, ed allora io credo d’aver dormito una sola notte. Ma, principe, siete un altro spirito, ed avete tanto potere come Sedifbach? Oimè! è forse lui che vuol conoscere i miei sentimenti sotto sì gradevole aspetto? Ebbene, sappiatelo, io non l’amerò mai. — No, principessa, io sono quel che già vi dissi,» rispose il giovine, «e non sono capace di cambiar forma, quand’anche ne avessi il potere: le mie disgrazie m’hanno condotto qui, ed ignoro come abbia potuto vincere gl’incantesimi che mi circondano. —

«Per convincere del tutto la fanciulla, Seifulmulok le raccontò la sua storia in succinto, pel timore dell’arrivo dello spirito, non potendo sapere la principessa la precisa data del suo ultimo viaggio. Quando il giovine ebbe finito il racconto, Melika gli disse: — Io posso darvi notizie di Bedihuldgomal. —

«L’altro, a tali parole, baciò la terra in rendimento di grazie, e trasportato dalla più viva gioia, pregò Melika di trarlo dalla maggior pena che uom potesse provare.

«— Durante la gravidanza di mia madre,» riprese la giovinetta, «si sparse un odore di muschio, onde lutto il palazzo fu imbalsamato: quando si avvicinò il momento del parto, mio padre fece piantare una tenda in un luogo delizioso del parco [p. 332 modifica] per farla sgravare e sollevarla dell’incomodo del calore, o sopratlutlo per evitare il pericolo dell’odore di cui il palazzo era tutto invaso.

«Un istante dopo il parto, mia madre rimase sola, e vide scendere da un albero una vezzosa donna, la quale le disse: — Io vi debbo grandi obbligazioni, onde non potrò mai abbastanza esservi grata. È molto tempo che una mal fondata gelosia di mio marito lo indusse a legarmi con un incanto su questo albero. Mio marito ed io siamo spiriti; eppure non posso comprendere come siasi lasciato trasportare da un’idea tanto irragionevole. Infine, il progetto di farvi lasciare il palazzo mediante l’odore di muschio è riuscito, ed il fumo delle vostre vivande ha rotto un incantesimo che, senza la circostanza del vostro parto appiè di questa pianta, sarebbe stato d’infinita lunghezza: mio marito non poteva più romperlo egli stesso, e fe’ invano ogni sforzo a tal uopo, poichè ho da lunga pezza la consolazione di vedere che mi rese giustizia. Ma prima di tornare nell’Irem, mio paese, datemi la piccola Melika, di cui vi siete sgravata; io stesso voglio nutrirla, e per assicurarvi del desiderio che ho di portarvela quando l’avrò divezzata dalle mammelle, vi lascio mia figlia Bedihuldgemal, che misi alla luce su codest’albero. —

«Mia madre acconsentì: lo spirito femmina mi accolse nelle proprie braccia, e rimise la sua bambina alla regina in una culla di rubini. La mia genitrice prese tanta affezione alla giovane Bedihuldgemal, che non volle restituirla alla madre se non dopo averle fatto giurare di condurgliela più volte all’anno.

«Bedihuldgemal merita d’essere amata, perchè creatura compita. Voi vedete, principe, che se potessi tornare da mio padre, mi sarebbe facile mostrarvela, e convincervi delle sue grazie!

«— La cosa non sarà difficile,» sclamò il giovane; «partiamo! [p. 333 modifica]

«— Questa partenza mi sembra difficilissima,» rispose la fanciulla, «perchè non so come voi stesso potrete uscire di qui. Ora ne giudicherete; se quest’isola non fosse inaccessibile, Sedifbach non l’avrebbe scelta per rinchiudermivi; egli ebbe cura d’accertarsene in prima, ed il modo onde vi giungemmo mi conferma in tale idea. Quando gli chiesi se il paese degli uomini fosse molto lontano di qui, mi rispose non esservi per lui che una mediocre distanza, ma considerevole secondo i calcoli dei mortali. Benchè abbia risposto a stento alle interrogazioni che gli volsi, ecco ciò che ho potuto sapere: gli domandai la sua età, e mi disse d’avere settecento anni. — Ma dove celasi l’anima vostra,» gli dissi, «per vivere tanto tempo?» Tal domanda lo mise in collera, e mi rispose brutalmente che ciò doveva essermi indifferente. Allora dissi piangendo: — Non mi faceste abbastanza male separandomi dai miei genitori, perchè non mi dimostriate almeno un po’ di fiducia? Che cosa temete dalla mia curiosità?»

NOTTE DXXXIX

— «Sedifbach s’accorse che il rifiuto non era un mezzo di piacermi, e mi disse dunque: — Per quanto inutile esser vi possa di sapere ove si ritiri la mia anima, per provarvi l’eccesso del mio amore e della mia fiducia, sappiate esservi in un feretro di cristallo un piccione nel quale ella è racchiusa, e che questo feretro sta nel fondo del mare. L’anello di Salomone, presentato alla superficie di questo elemento, [p. 334 modifica] può solo farnelo uscire. Chi avrà l’anello, sarà padrone della mia sorte.

«— Ah! principessa,» sclamò Seifulmulok,» voi sarete libera, ecco l’anello. È desso senza dubbio che ha distrutto i talismani, i quali m’avrebbero impedito di vedervi. L’amore di cui sono unicamente occupato, me ne fece dimenticare la virtù. Andiamo, principessa, non perdiamo tempo, e temiamo tutto da sì pericoloso nemico. —

«La donzella lo seguì, e giunti alla riva del mare, appena l’anello fu presentato, il feretro di cristallo comparve; il giovane l’aprì, e preso il piccione, gli tagliò la testa dicendo: — Piacesse a Dio di poter trattare così tutti gli spiriti maligni. —

«Appena finita quell’azione, si sollevò un turbine terribile, e videro cadersi sangue ai piedi, con un corpo ed una testa separati. Melika la riconobbe con piacere per quella di Sedifbach; il suo liberatore costruì allora con maggior tranquillità una zattera, sulla quale portò uva, melagrani, e quante provvigioni potè raccogliere. Poi, approfittando d’un vento favorevole, si imbarcò colla donzella, allontanandosi dalla riva, mediante una vela di cui si era provveduto.

«Dopo alcuni giorni di navigazione, incontrarono un vascello che venne alla volta loro per soccorrerli. Melika riconobbe con piacere ch’esso veniva da Vafir, ed apparteneva al re Tadjermulok, uno de’ suoi zii.

«L’equipaggio la riconobbe per la nipote del suo sovrano, si prosternò, e seguendone gli ordini, si diresse a Vafir. Melika vi fu ricevuta con infiniti trasporti di gioia, e quando disse le obbligazioni che doveva al principe d’Egitto, questi partecipò alla buona accoglienza fatta a Melika.

«Il re di Vafir spedì un corriere a quello di Serendib per renderlo consapevole del ritorno di sua figlia. Quel buon padre partì sull’atto per venirla a [p. 335 modifica] cercare, colmò di doni il principe d’Egitto e gli diè una superba pelliccia.

«Il re di Serendib non soggiornò a lungo in Vafir, e ne partì subito per tornare a’ propri stati; nè potendo più dipartirsi da Seifulmulok, lo condusse seco a Serendib, e non trascurò nulla per rendergliene dilettevole il soggiorno.

«Un giorno, Seifulmulok, tornando da caccia, vide fra la gente un giovine che somigliava al suo amico Said. Fattolo venire, gli domandò di qual paese fosse. — Io son Egiziano, e mi chiamo Said; sono tre anni che soffro lungi dal mio paese.» Il principe fu sì lieto d’aver ritrovato l’amico, e sentì si vivamente il rimprovero che lo stato in cui vedevalo faceva al suo cuore, che non potè trattenersi di saltargli al collo e stringerselo al seno, provando amendue la più viva gioia di rivedersi.

«Allorchè il principe ebbe raccontato a Said le proprie avventure, questi gli disse, a sua volta, che, lorquando la tempesta ebbe infranta la nave su cui trovavasi, egli s’era salvato su d’alcuni rottami, che il mare spinse contro un’isola.

«— Io era disperato di vedermi diviso dal mio principe; pure la speranza di ritrovarlo un giorno, non mi abbandonò, e tale speranza mi diede nuove forze. I frutti dell’isola erano eccellenti, e mi sollevarono dalla fatica provata in mare; ma non fui molto a pentirmi del soggiorno che vi feci.

«Non aveva notato che quell’isola era piena di scimie, e quando me n’accorsi, esse non mi cagionarono verun timore, nè diffidenza alcuna. I loro salti e l’agilità loro mi offrivano uno spettacolo gradito. Un giorno, esse approfittarono del mio sonno per rinchiudermi in una gabbia di legno che sospesero ad un albero, intorno al quale facevano guardia, danzando e mandando urla orribili. Sulle prime [p. 336 modifica] mi diedero erba da mangiare; ma la gabbia essendo caduta un giorno di gran vento, io passai un braccio fuor dalle sbarre per cogliere qualche frutto.

«Le scimie, vedendo che le frutta mi piacevano, non me ne lasciarono più mancare. Alfine, si annoiarono di custodirmi, ed essendosi allontanate affatto, io ruppi la gabbia e fuggii. Mi caricai di tutti i frutti che potei raccogliere per via, e mi diressi verso il lido, ove trovai ancora i rottami che mi avevano colà portato. Ne approfittai per rimettermi in mare. La mattina dopo vidi un vascello; feci segno all’equipaggio, e mi fu mandata una scialuppa per prendermi.

«Quella nave era montata da negri che mi parvero ferocissimi. Un vento contrario li spinse sulla costa di Human, ove quasi tutti perirono. La gente del paese fecero schiavi i superstiti, e mi liberarono. Io vissi più d’un anno, ridotto a lavorare per vivere. Finalmente, trovata una carovana di mercanti che venivano in questa città, la seguii conducendo i camelli. Era risoluto di correre l’universo per ritrovarvi, e non tornare in Egitto senza vostre notizie. —

«Il principe, dopo quel racconto, abbracciò Said, lo vestì de’ suoi più begli abiti, e lo condusse dal re di Serendib, il quale volle udirne anch’egli la storia. Seifulmulok presentò quindi il suo amico a Melika, la quale sentì, appena lo vide, que’ moti segreti e quella dolce illusione che il principe degli spiriti non aveva mai potuto inspirarle. Said provò il medesimo sentimento per lei.

«Seifulmulok fu lieto di vedere l’amico amare la sorella di Bedihuldgemal; non potevagli succedere cosa più gradita: il loro amore cresceva di giorno in giorno, ed il principe, vedendo la loro felicità senza invidia, ne desiderava ardentemente una simile.

«Infine, Melika gli annunciò che la sorella doveva [p. 337 modifica] arrivare al domani. Qual gioia per un principe tanto innamorato! ma diffidava di sè stesso, temendo di non poter piacere a Bedihuldgemal. Questa giunse finalmente, e quand’ebbe abbracciata la regina sua nutrice, e Melika, cui chiamava col dolce nome di sorella, le giovani principesse s’intertennero in particolare. Melika raccontò a Bedihuldgemal tutti i mali patiti dal genio, e le obbligazioni che doveva al principe d’Egitto. — Ma ciò che m’induce ad amarlo di più, «aggiunse, «è l’amore che sente per voi. —

«Allora le narrò, colla vivacità della gratitudine, i patimenti dal principe sofferti per di lei amore.

«Bedihuldgemal fu commossa da quel racconto, ma non acconsentì a mostrarsi al principe. — Che direbbe Chesbal, mio padre,» ripigliò, «se lo sapesse? Io sono grata al principe di tutto ciò che ha patito per me; sono commossa dei servigi che vi ha resi, ma non vi spiaccia se respingo il colloquio che mi chiedete per lui; sapete pure che non potrei sposarlo. —

«Tutto ciò che Melika potè ottenere dalla sorella, fu ch’essa vedrebbe il principe senza esserne veduta. — Vi acconsento,» soggiunse Bedihuldgemal, «purchè egli lo ignori. —

«Melika glielo promise, ed ecco cosa fece per ottener l’intento. In alcune stagioni, si abbandonano le case della città per abitar tende che racchiudono tutti i comodi della vita. La corte era allora accampata in un gran parco. Melika venne a cercare il principe d’Egitto nella sua tenda, e lo fece passare abbastanza vicino a quella della germana, per esserno veduti e sentiti. Il giovane parlava a Melika del suo amore per Bedihuldgemal con tanta tenerezza e sincerità, che questa ne fu commossa, ed il suo spirito cominciò a non esercitar più che deboli diritti sul proprio cuore.» [p. 338 modifica]

NOTTE DXL

— «Questi sentimenti erano affatto nuovi per la principessa; gli spiriti ne sentono pochi di simili; ella ne fu commossa, ma stette molto tempo prima di lasciarsi vedere dal giovane. Fece però viaggi più frequenti di prima a Serendib, ed acconsentì a ricevere le lettere del principe, che la dilettarono, perchè piene di sentimento.

«II dolore di non vedere l’amata donzella cagionò una malattia a Seifulmulok, e lo ridusse in uno stato di cui Melika seppe fare alla principessa una pittura sì viva, che questa uscì di notte dalla tenda per avvicinarsi a quella dell’infermo. Ella lo vide in fatti piangere d’amore, rimirando il suo ritratto; la tenera pietà che precede di solito l’affetto la colse: fu allarmata di vedere che amava suo malgrado, e la lotta del suo cuore coll’intelletto la fece cadere svenuta.

«Il grido ch’ella mandò cadendo, fe’ accorrere il giovane con una face. Che divenne egli mai riconoscendo la bella Bedihuldgemal? S’assise al suo fianco, ed alzatale dolcemente la testa, se la posò sulle ginocchia; le sue guance, lucenti come la luna, lo trasportarono in guisa che l’abbracciò spargendo lagrime di gioia.

«La principessa riprese i sensi, e sorpresa della situazione in cui si trovava, calò il velo per nascondere il rossore. — Ah, principe, che avete mai fatto?» disse poi ella, — Beltà del mondo,» rispos’egli, «perdonate all’amore il più tenero; [p. 339 modifica] permettetemi di ammirarvi, e lasciarmi parlare. — Io non debbo ascoltarvi,» rispose la giovane. Seifulruulok la pregò in nome dell’amicizia che aveva per la sorella, e le sue istanze furono sì commoventi, che ella gli diede udienza. Quando le ebbe dichiarata la sua passione, Bedihuldgemal rispose: — Mi fu assicurato che la figlia del re Zimpar vi amava. — Non la conosco,» riprese il principe con vivacità; «non date retta a ciò che vi diranno gli spiriti, se volete essere felice in amore; essi sono bugiardi: i sentimenti teneri lor sono non solo ignoti, ma pare che ne siano invidiosi, e che non si occupino se non dei mezzi di distruggerli. — Si dice,» replicò la principessa, «che tutti gli uomini sono infedeli. — Si può esserlo amandovi?» rispose il principe.

«Bedihuldgemal fece altre riflessioni, e manifestò nuovi timori sullo difficoltà che s’opporrebbero alla loro unione, cui Seifulmulok pervenne a distruggere; la principessa, a metà persuasa, spandeva nonostante torrenti di lagrime pei vari contrastanti pensieri che venivanle nell’animo.

«Quelle lagrime fecero disperare Seifulmulok. Finalmente, Bedihuldgemal, commossa da tante prove d’affetto, gli disse: — Principe, io v’amo malgrado tutte le ragioni che sembrano doverosi opporre; ma provo le più vive inquietudini per voi; sappiate che settemila spiriti hanno giurata la vostra perdita, non lasciandovi riposo alcuno, se non quando avranno vendicata la morte di Sedifbach. — Io non temo nulla giacchè mi amate,» rispose il principe, «quand’anche milioni di spiriti fossero accaniti contro di me. — Bisogna,» diss’ella, «che andiate dalla mia ava Sarochanuam; ella sola può ottenere il consenso de’ miei parenti. —

«A tali parole, essa accommiatossi dal principe d’Egitto; i loro saluti furono dei più commoventi, e [p. 340 modifica] Seifulmulok entrò nella sua tenda pieno di speranza e di gioia; la donzella, invece, non poteva rinvenire dallo stupore che quel nuovo suo passo e gl’impegni presi le cagionavano.

«Melika la rassicurò su tutti i suoi timori. — Voi non dovete stupirvi d’amare,» le disse; «pensate che una mortale v’ha nudrita, accostandovi così all’umanità. Consolatevi, voi amate Seifulmulok, ed io amo Said; noi abbiam fatto una buona scelta; non pensiamo che a renderli felici. —

«Bedihuldgemal incaricò alcuni spiriti schiavi di condurre il principe d’Egitto nella città di Simina, al di là del mare di Diochan, ove Sarochanuam risiedeva d’ordinario. I loro addii furono teneri, e Melika ottenne che Said rimanesse alla corte di Serendib.

«Il principe, giacchè gli spiriti viaggiano rapidamente, giunse in pochi giorni a Simina. Gli spiriti schiavi lo abbandonarono appena vi entrò. La città gli parve la più brillante di quelle da lui vedute fin allora: la terra era d’argento, le case fabbricate di smeraldi e rubini; vi si vedevano soltanto legni di sandalo e d’aloè; le tende d’ogni colore, e formate colle più ricche stole, erano, in quella stagione, frammiste ai magnifici palazzi. Egli ne distinse uno più stupendo degli altri, e compreso esser quello della regina madre, rivolse colà i passi. Vi trovò quella principessa seduta sur un trono d’oro massiccio, e vestita d’abiti sparsi de’ più bei diamanti. Chinatosele dinanzi: — Chi vi diede il permesso di venir fin qui?» gli diss’ella; «voi siete il primo mortale che abbia avuto tale audacia. —

«Il principe, spaventato d’un’accoglienza sì severa, le narrò le disgrazie ed i pericoli incorsi pel solo ritratto della di lei pronipote.

«La regina rispose: — Il vostro matrimonio è impossibile, e non ve n’ebbe neppur mai alcun [p. 341 modifica] esempio.» L’incostanza degli uomini, d’altronde, aggiunse, vi porrebbe sempre un ostacolo ch’essa non potrebbe a meno di rappresentare al re suo figlio, se mai avesse la debolezza di favorire una tale unione.

«Il principe, come colpito dal fulmine alle terribili parole, cadde svenuto. È necessario sapere che Bedihuldgemal aveva avvertita l’avola, e che questa parlava al giovane in quel modo sol per provarne la passione, essendo ella la miglior donna del mondo e d’ottima indole; talchè si pentì tosto di avere spinta tropp’oltre la prova; lo fece rinvenire con acqua di rose, e gli disse: — Principe, il vostro amore per mia nipote mi ha commossa, come pure il racconto de’ pericoli incorsi per lei; voi ne siete degno, e lungi dall’oppormi al vostro matrimonio, io cercherò ogni mezzo per effettuarlo. Venite nell’Irem, e giudicherete della sincerità delle mie parole. —

«Essi infatti partirono, ed il loro viaggio non fu nè lungo, nè faticoso. Arrivando, la donna disse al compagno d’aspettarla nei giardini del palazzo, mentr’ella recavasi a trovare il re Ghesbal, suo figlio. La regina gli fece un esatto racconto di quanto avevale detto il principe, e non gli nascose i teneri sentimenti che la figliuola sentiva per lui. — Infine,» aggiuns’ella, «se voi trovate che il suo spirito corrisponda ai sentimenti elevati che scopersi in lui, non potete stringere una miglior parentela: un giovane come questo mortale deve, secondo me, vincerla sui principi degli spiriti che potrebbero chiedervi la di lei mano. —

«Ghesbal volle vedere in persona il giovane, giacchè Sarochanuam avevagli confessato di averlo condotto seco. Il re ordinò che venisse in sua presenza; ma gli spiriti incaricati di quell’ordine cercarono invano il principe d’Egitto.

«La regina madre e suo figlio furono vivamente [p. 342 modifica] afflitti della scomparsa del giovane. Bedihuldgeraal, la quale aveva lasciato Serendib dopo la di lui partenza, ne fu in breve informata; essa giurò di ritrovarlo, o non tornar mai più ne propri stati.

«Tutte le ricerche furono dapprima inutili, giacchè i tre fratelli dello spirito ucciso dal principe l’avevano incontrato nei giardini del palazzo di Chesbal, solo, mentre pensava al suo amore, e pascevasi delle più lusinghiere speranze. —

NOTTE DXLI

— Il principe non si accorse che l’anello di Salomone eragli caduto dal dito; privo di quel soccorso, che avealo fin allora protetto da ogni insulto, i geni, suoi nemici, incontratolo, gli chiesero se fosse l’uccisore di Sedifbach.

«Il principe, riconoscendoli per enti soprannaturali, coi quali giudicava inutile la finzione, convenne della verità. Allora lo trasportarono per aria su di un monte, ove, dopo averlo legato, ed annunziatagli la sua condanna, mille spiriti si radunarono per assistere al di lui supplizio. Non vollero farlo morire sull’atto, nella tema di diminuirne i patimenti; ma accontentaronsi di farlo custodire a vista da quattro spiriti i più malvagi dell’inferno, i quali preparavano sotto a’ suoi occhi gli strumenti che dovevano servire alla sua morte; ma la cosa più crudele per lui era di sentire da essi che non rivedrebbe mai più Bedihuldgemal, incarcerata, secondo essi, da suo padre per punirla della debolezza avuta d’amare un semplice mortale. [p. 343 modifica]

«Frattanto Chesbal mandò da ogni parie spie per sapere ciò che fosse accaduto del principe. Infine scoprì il luogo in cui era stato trasportato. Le principesse indussero facilmente il re a raccogliere un esercito di quattrocentomila spiriti, per marciare contro il re di Kilsem.

«Questo monarca, dal canto suo, venuto in cognizione di tali preparativi, radunò numerose schiere. Quelle due formidabili armate essendosi poste in viaggio pei campi aerei, il re di Kilsem mandò a Chesbal un ambasciatore a domandargli per qual motivo gli movesse guerra. — Voi avete preso,» rispose quegli, «un uomo ne’ miei stati, senza sapere se ne fossi contento: lasciando da parte che quell’uomo m’è caro, io mi lagno del vostro procedere; talchè or voglio che mi venga restituito quel prigioniero, e mi sia resa soddisfazione della violenza onde vi faceste colpevole verso di me.

«— Egli ha ucciso il fratello del nostro re,» rispose l’ambasciatore; «nulla può indurci a restituirlo, e noi vogliamo vendicarne la morte. —

«Chesbal fu afflitto da quella risposta, la quale, a dir vero, meritava qualche riflessione. Ma Bedihuldgemal, postasi alla testa dell’esercito, cominciò la zuffa senza aspettare l’esito della negoziazione. Le schiere nemiche si cozzarono: terribile fu il primo urto: i tuoni ed i fulmini rischiaravano l’aerea battaglia. Il re di Kilsem fu preso e condotto davanti a Chesbal. — Crudele,» gli disse quel principe, «se tu hai fatto perire il mortale che ti chiesi, preparati a provare tutto il peso della mia collera. —

«Il re di Kilsem, commosso dello stato in cui gli parve trovarsi Bedihuldgemal, lo rassicurò sulla sorte del principe d’Egitto, fece tosto partire un genio, al quale consegnò il suo anello, per prova dell’ordine [p. 344 modifica] recava, e pochi momenti dopo lo si vide ricomparire con Seifulmulok.

«Chesbal, Sarochanuam, e soprattutto Bedihuldgemal, gli dimostrarono il loro piacere pel suo ritorno. — Io vi trovo fedele,» le rispose il principe; «tuttociò che soffersi non è nulla per me. —

«Il re vincitore volle mettere alla prova il futuro genero, e giudicare se meritava, pel suo spirito, di diventargli parente: disse perciò al re di Kilsem d’interrogarlo. Questi ricusò dapprima; ma cedendo infine allo preghiere di Chesbal, chiese al principe d’Egitto qual fosse la cosa più naturale all’uomo. — La morte,» rispose il giovane. — Qual cosa è a desiderarsi più d’ogni altra al mondo? — La salute. — Sono in maggior quantità gli uomini o le donne sulla terra? — Le donne, essendovi un numero infinito di uomini che loro assomigliano per la mollezza. — Quando arriverà il dì dei giudizio? — Iddio solo lo sa,» rispose Seifulmulok.

«I sovrani, sorpresi da quelle risposte, lodarono moltissimo il giovane. Alla fine, Chesbal, vedendo che nulla opponevasi alla felicità di sua figlia ed al desiderio della madre, acconsentì alle nozze dei due amanti. Il re di Kilsem fu rimandato libero con ricchi doni. Il matrimonio si celebrò con molto splendore in mezzo a tutti i grandi della corte, che Seifulmulok aveva sedotti colle sue grazie sciolte e naturali.

«Trascorsi i primi giorni di matrimonio, Chesbal disse al genero: — Vostro padre è assai vecchio, e vorrebbe vedervi prima di morire; inoltre voi dovete consacrarvi ad un regno affidatovi dal cielo; partite adunque per andar a governarlo. Noi potremo rivederci quando ne piacerà: i viaggi più lunghi non sono per noi penosi. — [p. 345 modifica]

«Si caricarono mille spiriti subalterni d’oro, di diamanti e d’ogni sorta di ricchezze, ed il principe e Bedihuldgemal partirono, seguiti da numerosa e brillante scorta. Il viaggio fu felice, e giunsero in breve a Serendib, ove soggiornarono il tempo necessario ad ottenere da quel re la mano di Melika per Said. Quando vollero recarsi in Egitto, il re di Serendib diede loro un magnifico seguito por accompagnarli, dopo averli presentati de’ più rari donativi.

«Giunti finalmente in Egitto, Seifulmulok trovò il padre, il quale aveva appena un soffio di vita. Questi fu presso a morire di gioia udendo l’arrivo ed il matrimonio del figliuolo, mandò tosto loro incontro tutto il popolo egizio, ed abdicò quindi la corona in favore del giovine, nel momento in cui se lo strinse al seno. — Il cielo è testimonio,» gli disse, «esser già da molto tempo che la serbava per te. —

«Edrenok consegnò parimenti al figlio Saul i suggelli dell’impero. Il re Hasm morì pochi giorni dopo la sua abdicazione; Seifulmulok ebbe una numerosa posterità, e visse più di centocinquant’anni nella maggior unione con Bedihuldgemal.»

L’aurora cominciava a comparire nel punto in cui Scheherazade terminava la storia del principe d’Egitto. — Essa mi ha dilettato assai,» disse il sultano delle Indie,» per la varietà degli avvenimenti. «Dinarzade attestò lo stesso alla sorella, lodando molto la fecondità della sua memoria. — Sire,» rispose la sultana, «se vostra maestà lo permette, io le racconterò, nella ventura notte, in qual modo un re di Persia, disperato della perdita d’una carissima sposa, trovò un sollievo al proprio dolore per la saggezza d’un filosofo indiano. Questa storia è tutta morale e spoglia d’ogni maraviglioso; ma è corta, e non istancherà lunga pezza vostra [p. 346 modifica]maestà, che i miei racconti avvezzarono a vedere la morale abbellita da tutte le attrattive del soprannaturale e dell’immaginazione.» Il sultano aderì, e lasciò l’appartamento.