Le Ricordanze (Rapisardi 1894)/Parte terza/Ad A. T. G.

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Parte terza - Ad A. T. G.

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AD A. T. G.



Sarà, poich’altri il crede,
     Ohe nel mio ferreo seno
     Come sovr’alpe siede
     Il mio genio sereno,
     E di superbe immagini
     Fatto a sè un mondo intorno,
     Vive con esse, e spazia
     Nel tranquillo dell’Arte aureo soggiorno.

Forse altri il sa: diverso
     Fui già più tempo; assai
     Piansi, ed al flebil verso
     Tutto il mio cor fidai;
     Or, fatto esperto e libero,
     Democritèo fantasma,
     Seguo miei casi; e agl’idoli
     Di fango o d’òr, che il vulgo reo si plasma,

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Nitidi come scuri
     Vibro sul capo i miei
     Scherni, e i regni futuri
     Lascio ai santi pigmei.
     Sol fra la ridda ignobile
     D’alme e di carni a prezzo,
     Re di me stesso, i floridi
     Che mi nascono in cor sogni accarezzo.

Mormora quindi al mio
     Dorso la turba, e il torto
     Strale e il velen natio
     Su me lancia dal corto
     Arco dell’alma; io, fattomi
     Del mio disprezzo usbergo,
     Di lei rido, e nel placido
     Lume dell’arte mia tutto m’immergo.

Nè voce altra, nè alcuna
     Beltà che il cor mi desti,
     Fuor che la tua sol una,
     Può richiamarmi a questi
     Lidi, ove sola e splendida
     Sì come Espro da’ mari,
     Cinta di strane tenebre
     Sorgi; e sei bella ed orgogliosa al pari.

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Non io giù dai lucenti
     Regni, ove Iddio languisce
     Fra l’essenze impotenti,
     E nell’ozio basisce
     La Fè grulla, con trepido
     Labbro dirò che sei
     Scesa a parlar degli angioli,
     Che annojano con l’arpe uomini e Dei.

Te, della terra figlia
     Fra quante il Sol ne veda,
     Te la storpia famiglia
     Dell’empireo non leda;
     Te non tocchi la stupida
     Fiaba, che in detti vieti
     Lusinga il volgo, e scivola
     Dal chitarrin dei vergini poeti.

Donna, non dea, gli alteri
     Petti inchinar tu godi;
     Tu fra’ rosei e leggeri
     Diti le fila annodi,
     Le fila occulte e magiche
     Da cui deboli e forti
     Pendono insani, e aspettano
     Dal tuo vario piacer varie le sorti.

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Pur di’: mestizia o riso,
     Iride o lampo è questo
     Che ti guizza nel viso?
     Vi tal raggio o funesto
     Sei tu per noi? Ti bollono
     Chiuse nel sen le avare
     Febbri del mondo, o gelido,
     Come un idol di marmo in su l’altare,

Vive il tuo cor? Di noi
     Che ti ronziam da lato
     Dotti e patrizj eroi
     Piangi o sorridi? Ingrato
     Peso è per te quest’umile
     Vita, o piacer? Divine
     Voluttà provi o tedio,
     Se baci il capo delle tue bambine?

Nol so; ma allor che intento
     Io siedo a te da presso,
     Sotto al tuo sguardo sento
     Mutar tutto me stesso;
     Ed or sorgo, e con l’anima
     Vasta il ciel vasto abbraccio;
     Or, d’ogni altezza immemore,
     Chino la fronte e nel mio nulla io giaccio!