Le amanti/L'amante sciocca/III

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III

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L'amante sciocca - II Sogno di una notte d'estate
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III.

A un tratto, nel cuore innamorato di Adele Cima, e battuto e mortificato dal sentimento di non essere una donna degna dell’amore di Paolo Spada, surse una volontà improvvisa, che si maturò nell’ombra e nel silenzio, che fu covata e si schiuse al calore della passione, di cui ella ardeva per il grand’uomo. Ella si decise, così, senz’altro, a diventare una donna intelligente e colta; perchè, almeno, non tutto il mondo dove l’artista viveva le fosse vietato; perchè ella, almeno, potesse seguirlo in un discorso, in una divagazione, perchè ella non restasse più sola e abbandonata ad amarlo, mentre egli se ne andava negli orizzonti dei sogni e delle visioni a cui ella, misera, non partecipava. Ella concepì questo audace disegno nelle ore di solitudine e anche d’infinita mestizia in cui cadeva, [p. 275 modifica] quando Paolo Spada lavorava e si scordava assolutamente di lei: ella accarezzò entusiasticamente il suo disegno, nel tempo in cui maggiormente l’esistenza con Paolo le diventava grave e tormentosa, sentendovisi come una povera creatura perduta e senza guida; ella ostinatamente studiò questo disegno, quanto più amara e più insopportabile le pareva la sua inferiorità. Non disse nulla a Paolo. Era taciturna, sempre: e non avendo mai trovato modo di raccontargli la sua lunga miseria, la miseria della sua stupidaggine e della sua ignoranza, non volle neppure rivelargli il rimedio che il suo cuore aveva trovato o credeva di aver trovato. Con l’eroismo muto dei cuori che sanno amare e amare soltanto, ma che dall’amore traggono ogni coraggio e ogni luce, ella si accinse allo scopo, sebbene lo sentisse arduo, lontano, forse inaccessibile.

La prima cosa che ella tentò, per aprire la sua intelligenza, fu la lettura dei libri di Paolo Spada. Dopo pranzo, quando egli, fumate nervosamente quattro o [p. 276 modifica] cinque sigarette, si levava come mosso da un impulso automatico, per sedersi a scrivere, ella si levava e spariva. Nella sua borsa da lavoro, accanto al merletto all’uncinetto, delizia borghese di altri tempi, ella aveva sempre un volume, dei varii fra romanzi e novelle scritte da Paolo Spada: e in camera sua, si metteva a leggere. Lo stile prezioso, ricercato con quella tortura mentale che era una delle grandi qualità di Paolo Spada, le produceva la prima impressione d’incomprensibilità: vi erano delle parole che non aveva mai lette o udite e dei giri di frase, il cui senso le sfuggiva: talvolta, delle frasi ripetute le davano fastidio, come il ronzìo di un moscone nell’orecchio. Non so come, ella aveva udito a parlare del vocabolario: e finì per ricorrervi, per conoscere il senso vero delle parole strane adoperate da Paolo Spada. Con molta gravità, teneva il libro aperto sul tavolino e con l’altra sfogliava il vocabolario: alla ricerca della parola, lasciava perdere il filo del racconto e, dopo, non si raccapezzava più. E, spesso, il vocabolario [p. 277 modifica] non le spiegava bene, tutto: ella restava sospesa, pensando troppo per la sua piccola mente, affaticata, e non trovando più nulla. Se contrariamente, erano i soggetti di quei romanzi, di quelle novelle che la turbavano immensamente. Ella aveva letto, come tutte le donnine della sua levatura, dei romanzi di Montépin e di Ponson du Terrail, qualche romanzo di Dumas padre e qualcuno, italiano, di Guerrazzi: ma le istorie di Paolo Spada erano così stranamente diverse da quanto era stato il poco pascolo della sua fantasia! Tutti i protagonisti di Spada le sembravano degli ammalati o dei pazzi: spesso la inorridivano per il cinismo: e quando s’interessava a qualcuno, più simpatico, ecco, egli moriva. In quanto alle protagoniste, ebbene, ebbene, malgrado che qualcuna di esse fosse buona e virtuosa, malgrado che quasi tutte fossero immensamente infelici, per le lotte con sè stesse, col mondo e con l’amore, ebbene, Adele Cima le odiava, tutte! La innamoratissima donna leggeva i romanzi e le novelle, più col cuore che con la [p. 278 modifica] mente: e la sua curiosità d’ignorante, era anche fatta di gelosia. Con quanta carezzosa voluttà Paolo Spada dipingeva certe figure di donna e Adele Cima vi ricercava, quasi, i ritratti delle donne che egli aveva amate: con quanta crudeltà egli ne disegnava delle altre ed erano forse quelle che lo avevano respinto, o, accettandolo, lo avevano reso infelice! Ella aveva troppo partecipato alla vita di Paolo Spada e dei suoi amici artisti, per non avere capito, a forza di udirlo dire, che quanto essi raccontavano nei loro libri, era loro accaduto: non aveva visto Paolo Spada copiare le lettere di amore, nelle novelle? Così, la lettura di questi volumi lenta, ma continua, produsse sullo spirito di Adele Cima, come una rivelazione sempre più triste, sempre più torturatrice, del passato di Paolo Spada. Ah egli aveva palpitato, e pianto, e sofferto, e spasimato, il suo amante, non per lei, ma per altre donne, egli aveva molto e troppo vissuto, il suo amante, e non con lei; egli aveva avuto delle scene di passione e di disperazione come giammai [p. 279 modifica] con lei! Quante volte in quelle eterne veglie, in cui ella aspettava che Paolo Spada si levasse dal tavolino e, chiamandola, le dicesse che era ora di riposarsi, quante volte ella posò il libro, pallida, disgustata, avvelenata, sentendo di essere giunta troppo tardi, quando già la vita aveva detto tutto al suo amante! Quante volte ella si sentì inutile, inutile a quest’uomo, adesso più che mai, adesso che conosceva o che le pareva di conoscere tutto il passato, e come pensò, spesso, che sarebbe stato meglio liberarlo della sua sciocca presenza! Le si ripeteva, nell’anima, fatidicamente, l’impressione della prima visita, quando aveva trovato le fotografie delle altre amanti e aveva tanto sofferto: perchè non era fuggita via, in quel giorno? Pure, un accanimento la teneva, di legger tutto, di saper tutto. Involontariamente, qualche parte del suo segreto le sfuggiva:

— Perchè hai fatto morire quel povero Attilio Venturi? — ella chiese un giorno, al suo amante.

— Attilio Venturi? Chi? [p. 280 modifica]

— Il protagonista del tuo racconto: L’ucciso.

— Tu hai letto il racconto?

— .... sì — diss’ella, profondamente sconvolta.

— E perchè l’hai letto?

— Mah.... perchè era scritto da te....

— Non vi era obbligo, anima mia.

— Ho fatto tanto male? Sono dunque così sciocca, da non poter aprire un tuo libro? — e quasi piangeva.

— Non importa, cara — diss’egli, indulgentemente — se ciò ti diverte, fa pure. Ti è proprio dispiaciuto tanto, che Attilio Venturi sia morto?

— Oh, tanto!

— Egli doveva morire — pronunziò Paolo Spada, col tono dogmatico dello scrittore.

— Oh! — mormorò ella, senz’altro, sentendo il peso della sua ignoranza più forte, sulle spalle.

Altri dialoghi simili, consecutivamente, accaddero. Un giorno, un amico di Paolo Spada aveva elogiato vivamente il volume delle Storie crudeli, in presenza di [p. 281 modifica] Adele Cima: e Paolo Spada aveva sorriso alle lodi. Ella riprese il discorso e arrossendo, disse:

— Tutti i tuoi libri sono così belli e mi piacciono tanto, Paolo! Ma perchè sei così cattivo, nelle Storie crudeli?

— Perchè la vita è cattiva, mia cara — disse lui, con un lieve rammarico nella voce.

— Oh no, Paolo!

— Che ne sai, tu? Tu non sai nulla.

— Hai ragione — ella disse, soffocando un singhiozzo.

E un’altra volta:

— Non pensavi che la vita era cattiva, Paolo, quando hai scritto L’amore di Maria?

— Quella storia è bruttissima.

— Oh, no!

— Bruttissima, ti dico.

— A me è piaciuta — soggiunse ella, con timidità.

— Questo è il segnale più certo della bruttezza — disse lui, duramente.

Poi quando la vide piangere, cercò di consolarla, carezzandola, baciandola. [p. 282 modifica]

— Tu leggi troppo, ti fa male, Adele.

— Perchè, mi fa male?

— La tua testa è debole, non leggere tanto.

— Come, neppure i tuoi libri?

— I miei meno degli altri. Già, non valgono niente.

— Non dire questo, non dirlo. Perchè li hai scritti, se li disprezzi?

— Così, Adele — rispose lui, enigmaticamente, chiudendosi nel suo silenzio.

Ma, oramai, il male era fatto. Nel cervello confuso di Adele Cima turbinavano le frasi e i fatti in disordine: ed ella non afferrava più il nesso delle cose, ella imbrogliava i nomi dei personaggi e delle città, ella spesso faceva a Paolo Spada delle domande, dove appariva anche più chiaramente che ella aveva letto e non aveva inteso nulla. Due o tre volte egli la redarguì, vivamente offeso nel suo amor proprio di artista: ed Adele che non conosceva la sensibilità sempre raccapricciante delle vanità di scrittore, due o tre volte giunse a ferirlo: e il modo come egli le si rivoltò contro, modo [p. 283 modifica] insolito, di animale irritato e ingiusto, la sgomentò talmente che, per un pezzo ella smise di parlargli delle sue letture. Ma il male era fatto. La serenità della mente di Adele Cima era smarrita, per sempre. Ella era entrata in una via d’intrichi e di spine che la pungevano e la soffocavano: nè conosceva più il sentiero per tornare indietro. In quella confusa e incerta rivelazione di un mondo per lei incomprensibile e in cui ella intravedeva le perfidie della menzogna, le malvagità del cuore freddo e duro, le perversità dei sensi non governati da nessuna delle schiette e fluide correnti del sentimento, la ingenua anima di Adele si arretrava, compresa di spavento: ma i suoi occhi avevano intravisto e il fiore del suo candore sentimentale era per sempre appassito. Sovra tutto, il maggior tossico le veniva da quelle donne ignote a lei, che Paolo Spada aveva conosciute e amate, che erano rimaste così impresse nella memoria dell’uomo, che l’artista aveva voluto renderle nelle sue storie.

Tutte diversamente belle e attraenti [p. 284 modifica] sotto la viva penna dello scrittore, tutte dotate del fascino della vita che vibra, più forte, nei ricordi e par vita, tutte variamente strane e seducenti, tutte quante davano al cuore innamorato di Adele Cima le trafitture, e i sussulti, e i pallori, e gli scoramenti di una gelosia invincibile. Con curiosità tormentatrice, ella ritornava a rileggere quelle pagine dove la natural poesia dell’arte ingrandiva e affinava quelle creature muliebri: e nella loro essenza, nella loro forma, Adele Cima le invidiava, sentendosi da loro così diversa, così lontana, sentendosi a loro tanto inferiore da soffrirne come per persone umane che l’avvilissero con la loro superiorità, ogni giorno, ogni ora:

— Tu hai conosciuto quell’Angelica, del tuo romanzo? — disse, in uno dei momenti di più forte pena.

— Sì.

— L’hai amata?

— Sì.

— Era molto seducente?

— Molto. [p. 285 modifica]

La povera semplice donna tacque. Ah che egli era una persona troppo sincera, mentre avrebbe potuto risparmiarle queste verità così atroci!

— Perchè hai finito di amarla?

— Mi ha tradito.

— Ah! E se non ti tradiva?

— Io tradiva lei.

— Così.... tutti questi vostri amori.... finiscono col tradimento?

— Quasi tutti.

— Finirà anche il nostro, così? — chiese lei, desolatamente, mordendosi le labbra per non iscoppiare in singhiozzi.

— Speriamo di no.

— Speriamo? Non è che la speranza?

— In fatto di amore, tutto è fallace. Ma perchè continui a chiedere di cose spiacevoli? Che ti importa? A che scavi nel passato? Quando mai tu hai scavato? Amami e basta.

— Anche io ho un cuore e una mente — ella mormorò, mortificata di essere sempre respinta nelle sue umili e taciturne funzioni di donna innamorata.

— Credilo, il cuore ti è sufficiente — [p. 286 modifica] egli concluse, un po’ sul serio, un po’ ironicamente.

Ella sentì l’ironia e non sentì la serietà del consiglio. Una gran voglia di rassomigliare a qualcuna di quelle donne, di essere meno monotona, meno semplice, meno limpida, adesso le sconvolgeva l’anima. I suoi vestiti, dapprima graziosi e carini, ma di una grande povertà d’invenzione, cominciarono a diventare più ricercati: ella ebbe una vestaglia di lana bianca, con merletti pioventi e un grosso cordone di seta bianca che la serrava: ella portò delle camicette insaldate, da uomo, con una cravatta maschile: ella tentò di tagliarsi i capelli, ma il parrucchiere la consigliò di non farlo. Queste nuove fogge, però, la mettevano in imbarazzo e la rendevano goffa. Alle pareti quasi nude delle sue due camerette ella attaccò dei vecchi ventagli giapponesi, dei pezzetti di stoffa antica racimolati fra le cianfrusaglie del quartierino di Paolo Spada e vi sospese dei quadretti che erano stati donati a lui, e che egli aveva dichiarati orribili; e questo scemo tentativo di [p. 287 modifica] adornamento artistico contrastava con la semplicità e anche con la volgarità del resto dei mobili. Adele Cima non aveva mai voluto fumare; anzi il fumo della sigaretta e dei sigari di Paolo Spada, dei suoi amici, le dava gran fastidio. Si forzò a imparare: ebbe tre o quattro emicranie feroci, accompagnate dal mal di stomaco, ma fumò. Soltanto si scolorava come una morta, fumando: e faceva sforzi enormi per esser disinvolta. Non aveva mai bevuto liquori, con un disgusto tutto borghese: ella provò il cognac, e siccome aveva inteso parlare del gin, come di un liquore singolare, assaggiò anche quello. Paolo Spada, malgrado le sue profonde distrazioni, i suoi egoistici assorbimenti, notò a poco a poco tutte queste fittizie manifestazioni di bizzarria: e il sorriso con cui le accoglieva, aveva della bontà compassionevole. Due o tre volte, egli rise della goffaggine di Adele Cima: ed ella fu colpita da quel riso come da una pugnalata. Una sera, quando più ella era stata tentata di essere eccentrica e raffinata, e quando meno vi era riescita, [p. 288 modifica] quando più era stata ridicola nei suoi esperimenti, Paolo Spada, le aveva detto, con durezza:

— Smetti.

Ella si era fatta di mille colori e aveva abbassato gli occhi.

— Non fumare più, smetti; smetti di vestirti come ti vesti; non bere cognac e non parlare di amore col terzo e col quarto. Smetti, smetti, Adele.

— Che ho fatto di male?

— Nulla: ma sei ridicola. Chi te lo fa fare?

— Così — diss’ella, con voce fievole, a capo basso.

— Vi è una ragione, a queste stravaganze. Dilla subito. — replicò improvvisamente.

— L’idea di piacerti.... — balbettò l’infelicissima.

— Hai sbagliato. Mi dispiaci enormemente.

— La paura del tuo disprezzo.... hai amato tante donne intelligenti e fini.... io sono una creatura volgare....

— Mi sei piaciuta come eri: non ti [p. 289 modifica] guastare. Smetti tutte queste buffonate. Tu non ti puoi cangiare.

— Oh Dio! — singhiozzò la poveretta.

— E ringrazia il Signore, invece, che non ti cambia. Se ti cambiasse, non ti amerei più.

— Perchè mi dici questo?

— Perchè è la verità. Ritorna alla tua semplicità, mia cara, o ci lasciamo per sempre.

Come ritornarvi totalmente? Ella obbedì, con la devozione della persona assolutamente innamorata, a quanto le aveva detto Paolo Spada; ella ritornò, tristemente, alle sue vesti di gusto borghese e ai suoi cappellini insignificanti: ella lasciò le sigarette e il cognac: ella schiodò tutti i ventagli vecchi e tutti i brandelli scoloriti delle stoffe, dalle pareti delle sue stanzette. Ma tutti questi atti, consecutivi, le rammentavano la inanità della sua persona: le ripetevano, mandando il rosso della vergogna al viso, che ella non poteva elevarsi, in nessun modo, dalla mediocrità dove era sempre vissuta: le replicavano, in tutte le forme, che una donna [p. 290 modifica] semplice o anche sciocca, sempre tale rimane e che non vi era speranza, per lei, di essere considerata da Paolo Spada salvo che per una donnetta di casa, scema, ignorante, che gli dava dell’amore senza fantasia e senza drammi, quando egli aveva voglia di essere amato. Lo scorno dell’esperimento fatto e mancato le ritornava sempre, massime quando era sola: ed ella chiedeva al Signore, nelle sue preghiere, per qual ragione era stata slanciata e poi chiusa in un amore dove tutte le sue facoltà soffrivano, dove soffocava nel silenzio ogni suo dolore e dove ella non avrebbe mai più trovato la felicità, giammai.

Le sue sofferenze si acuivano. Ella frequentò molto la chiesa, in quel tempo. Cercava la liberazione, o cercava la pace; ma non otteneva nè l’una, nè l’altra, giacchè ella era legata a Paolo Spada per la vita e per la morte, giacchè ella era sempre in un profondo spostamento morale e materiale. Paolo Spada, giusto in quel tempo, fu preso da un accesso di mondanità. Ogni sera indossava la marsina, [p. 291 modifica] metteva un fiore all’occhiello, arricciava e profumava i suoi baffi e partiva. Ella lo aiutava a vestirsi, avendo per lui le cure minute di una madre: non gli chiedeva neppure dove andasse e a che ora ritornasse. Lo aspettava. Quando aveva chiusa la porta; alle sue spalle, cominciava per Adele una lunga veglia. Ella riordinava la casa, tutta quanta, dandole il suo assetto notturno; lavorava all’uncinetto, alla coltre fatta a disegno di stelle, poichè aveva rinunziato alla lettura: sonnecchiava; si addormentava sulla sedia. Talvolta si svegliava, di soprassalto, a un rumore: non era nessuno. Talvolta lo stridore della piccola chiave inglese di Paolo Spada che schiudeva la porta del quartierino, la scuoteva. Lo vedeva riapparire bene spesso pallido e stanco, senza voglia di aprir bocca.

— Fai male ad aspettare — le diceva, brevemente.

— Non importa, Paolo.

Non le diceva più nulla, lui, assorto nella stanchezza: non le faceva una carezza non le dava un bacio: si [p. 292 modifica] addormentava di un sonno pesante. Ella restava sveglia, nervosa, piangendo chetamente talvolta. Vi erano notti in cui egli rientrava eccitatissimo. Le raccontava tutto, mettendo in burletta i tipi ridicoli della società, ridendo dei buffi spettacoli, elogiando fugacemente qualche donna incontrata. Adele tendeva l’orecchio, a queste lodi:

— Era molto bella, donna Maria Vargas?

— Bellissima: pareva Monna Lisa del Giocondo.

L’amante sciocca, dai capelli castani insignificanti, dai grandi occhi limpidi e meravigliati, ammutoliva. Egli continuava a chiacchierare, fumava, si faceva fare del tè che ella aveva imparato ad apprestare benissimo, mentre le mani le tremavano, nel suo ufficio di donnetta di casa. E, spesso, tornando da questa casa luminosa, da questi teatri scintillanti, dove aveva visto delle donne bellissime, dove il suo animo di artista aveva esaltato la sua ammirazione di uomo, egli era con Adele Cima così carezzoso e così appassionato che, malgrado la piccola intelligenza di lei, ignara delle mistificazioni umane [p. 293 modifica] dell’amore, ella intendeva donde venisse questo rinnovellamento passionato; e tutto il suo essere inorridiva alla mistificazione. Vagamente, ma ostinatamente, ella era gelosa di tutte queste donne mondane, signore e attrici, grandi dame e grandi avventuriere che, preso da un furore di esteriorità tutto estetico, Paolo Spada ricercava ogni giorno e ogni sera: ma Adele Cima non arrivava a precisare la propria gelosia. Non diceva nulla: ma fiotti di veleno le inondavano le vene. Si consumava, dentro, e non voleva dare un sol dolore a Paolo, sentendo anche che era inutile e dannoso fargli delle scene. Qualche indizio di tradimento, molto tenue, forse ancora ingiusto le s’ingrandiva nel cuore appassionato, col dubbio di qualche fatto compiuto. Paolo Spada aveva cambiato fiore all’occhiello: era una rosa bianca, adesso, quella che portava ogni giorno. Una copia dell’Amore di Maria era partita, avvolta in una stoffa medievale, a rose bianche su fondo rosa pallido, e diretta a un indirizzo sconosciuto. Un giorno, uscendo per alcune spesuccie, [p. 294 modifica] aveva incontrato Paolo Spada sotto l’atrio della Posta, a San Silvestro: egli aveva avuto innanzi ad Adele Cima, una leggiera fiamma al viso. Poi, finalmente, un giorno, Adele ebbe la prova precisa e netta del tradimento: un biglietto di convegno, di donna Maria Vargas: un biglietto cascato dalla tasca di Paolo Spada. Era impossibile il dubbio. Egli rientrò: trovò Adele Cima gittata sul letto, vestita, col viso verso la parete.

— Che hai? Ti senti male?

— Sì.

— Dove hai male?

— Alla testa.

— Ora ti do l’antipirina. Vado a chiamare il medico?

— È inutile: è un male che passa.

Veramente, egli aveva udito qualche cosa di cambiato nella voce di Adele Cima: ed aveva esitato a ritornare nella sua stanza. Prima di uscire, andò da lei, di nuovo:

— Come vai?

— Meglio: grazie.

— Vuoi qualche cosa? [p. 295 modifica]

— .... No

— Io torno subito.

— Va bene.

Veramente non si era voltata a lui e la voce era più tronca e più velata che mai. Ma egli attribuì alla nevralgia tutti quei fenomeni e uscì. Quando rientrò, alle undici di sera, la trovò ancora sul letto, supina, in uno stato di abbattimento immenso, con orribili crampi allo stomaco. Aveva bevuto della morfina per avvelenarsi: l’aveva trovata in una boccettina che Paolo Spada teneva in serbo, per iniettarsi ogni tanto. Egli non le strappò questa verità che a furia di affannose domande, di richieste strazianti, giacchè tutto l’essere di Paolo era trangosciato all’idea che una povera creatura umana avesse potuto morire per lui. Ella lo guardava, con occhi così disperati e amorosi, insieme, che egli non resisteva a quello sguardo. Al medico accorso Paolo non disse nulla, non seppe neppure ricordarsi la misura della morfina che Adele aveva potuto ingoiare: e tutta la notte la sciocca amante che tutto aveva sopportato, ma [p. 296 modifica] non aveva saputo resistere al tradimento, tutta la notte ella fu in pericolo mortale, attaccata al collo di Paolo Spada, guardandolo con gli occhi stralunati dal male e dall’amore, toccandolo con le mani gelide e bagnate di sudore, senza poter pronunziare una parola sola, quasi strozzata, soffrendo come una dannata o cadendo in prostrazioni che parean simili alla morte. Accanto a lei, egli agonizzava. Aveva ritrovato il biglietto perduto di donna Maria Vargas, sotto l’origliere di Adele Cima ed aveva inteso la ragione di quel suicidio, la ragione immediata e invincibile.

— Perchè hai fatto questo? Perchè? — le gridò, indignato contro sè stesso, contro i capricci mondani e contro tutte le donne mondane.

La inferma non rispose, ma lo guardò con tale espressione di silenzio!

— Non dovevi farlo. Non ne valeva la pena — le disse ancora lui, esaltatissimo.

Alla morente gli occhi si sbarrarono in un infinito stupore, come se ella si [p. 297 modifica] meravigliasse, sentendo che un tradimento non è un tradimento.

— Sei una scema; non capisci niente; io non amo che te; sei una scema — le continuò a dire lui, in preda a una indomabile agitazione.

Adele Cima, a quell’aggettivo che si veniva ripetendo, con tanta ostinazione e tanta crudeltà, insieme a tanto amore, nella sua agonia, chiuse gli occhi per morire.

Ma non morì. La salvarono il medico e Paolo Spada. Fu molto tempo malata, ma guarì. Il suo fu un suicidio mancato, come erano state mancate varie altre cose della sua vita. Spesso, nella convalescenza, in un effluvio di tenerezza, innamorato più che mai della sua stupidina, Paolo Spada le veniva ripetendo:

— Perchè hai voluto morire?

— Per donna Maria di Vargas.

— Ti giuro che non ne valeva la pena, anima mia.

— Oh sì!

— No, no, sei sempre la stessa, non capisci nulla. Se morivi, vedi, Adele, era perchè non hai mai capito niente. [p. 298 modifica]

— È vero — mormorava lei, assorta.

Dopo quel tentativo di suicidio, inutile, che non le aveva dato la liberazione, ella non domandò a Dio neppure più la pace. Il suo destino era di vivere, di amare, e di soffrire per l’amore, giacchè il Signore le aveva inflitto il castigo di amare un uomo diverso da lei per istinti, per temperamento, per carattere, giacchè sul suo amore pesava la fatalità del dissidio intellettuale, lo stato di oppressione della creatura meno nobile e meno spirituale, accanto a un’anima che saliva nei cieli dell’arte. Ella doveva soffrire e non doveva trovare rimedio alle sue sofferenze, giacchè le anime alte e squisite trovano mille vie per isfuggire ai contrasti della vita quotidiana, mentre le piccole anime li subiscono tutti, senza scampo e senza rifugio.

Poi, più tardi, quando ella fu bene guarita e Paolo Spada fu bene sicuro che quella donna gli fosse vincolata per sempre, egli scherzò anche sul tentato suicidio. Chi manca un suicidio, non corre un’avventura buffa? L’amante sciocca ne [p. 299 modifica] rise anche lei, per celare la vergogna di quella ridicolaggine. Più tardi ancora, Paolo Spada tornò a tradirla, come si tradisce una buona moglie fedele, con altre donne: ella lo seppe, ma non trovò la forza di voler morire, temendo troppo di esser chiamata la più scema fra le donne. Anzi, egli finì per confessarle le sue scappate, convincendola che erano necessarie alla sua vita d’arte, ma che egli amava sempre la sua cara sciocca. La quale sciocca donna non si convinse punto, di questa necessità del tradimento: vi si rassegnò, piuttosto, poichè voleva il suo destino, così, che ella, che sarebbe stata felice con un uomo limitato e buono e onesto come lei, fosse infelicissima con un grande artista.