Le avventure di Saffo/Libro II/Capitolo II

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Libro II - Capitolo II. Lo speco di Stratonica

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CAPITOLO II.


Lo speco di Stratonica.


Andavano pertanto, siccome si è narrato nella fine del precedente libro, Saffo e la seguace fuori della porta orientale; e giunsero alla foresta ch’era alle falde del monte, in cui vedeasi lo speco. S’immersero in quelle ombre oscure quanto i loro pensieri, e null’altro udivano per quel tratto di via, se non le grida di uccelli selvaggi, il romor delle foglie scosse dall’aura sulle piante e da’ loro piedi, quelle, che divenute aride ne ingombravano il sentiero. Apparve loro innanzi l’adito della grotta segreta, non più spazioso di quanto è sufficiente all’ingresso di un uomo. Era questa una fessura nel macigno del monte, ricoperta nelle labbra di serpeggiante edera, entro le foglie della quale esalava denso fumo, [p. 132 modifica]indizio manifesto, che la divinatrice era intenta a i consueti sagrifizj. L’orrore del bosco, la tristezza della solitudine, la riverenza del luogo facevano palpitare il cuore di Saffo, ma l’ancella prendendola con la mano trasse lei, che ritrosa e timida ricusava di seguirla, dentro l’angusta bocca dell’antro. Ivi non mai penetrava il raggio del Sole, ma eterna caligine vi manteneva perpetua notte; Solo le sacre faci e il fuoco di quegli arcani riti, discoprivano lo squallore delle interne pareti affumicate dall’antico vapore; e le fonti sotterranee vi stillavano in lente goccie, che rilucevano a quel tetro splendore. Era l’adito per lungo tratto oscuro, ma poi vi penetrava da lungi un dubbioso lume di interne faci, e insieme s’udiva nell’approssimarsi, confuso mormorio di canto lugubre, che viepiù ingombrava di religioso terrore il perplesso animo di Saffo. Ma la provetta condottiera, a cui già erano noti per la fama antica que’ recessi orrendi, la [p. 133 modifica]traeva seco, precedendola e confortandola. Imperocchè Stratonica era appunto occupata ne’ suoi riti, circostanza favorevole a’ loro desiderj, quandochè talvolta abbandonando ella le sue arti, fuggiva nella più remota parte della foresta inaccessibile a tutti, laddove se ritornava all’antro, concedeva que’ conforti che le venissero sommessamente richiesti. Ma se taluno, incredulo a que’ misterj, avesse ardito penetrarvi; le ombre abitatrici di quelle sacre foreste atterrivano l’audace cogli spettri e minacciose larve, per le quali egli era costretto deporre dall’animo l’empia arroganza, e fuggire tremando. Mentre s’inoltravano viepiù le donne in quei cupi recessi, cadeva loro sulle vesti qualche stilla delle interne fonti, le quali rendevano anche sdrucciolante il mollo sentiero; ond’esse involgendo il capo nel manto, con lenti passi, cautamente progredivano verso il lontano splendore, il quale però gradatamente cresceva, e insieme più distinte si udivano le voci e [p. 134 modifica]i canti di quei riti misteriosi. Quando ecco uscirono dall’angusta via, e si allargò loro d’avanti un vasto speco, in mezzo di cui Stratonica celebrava gli occulti sacrifizj. Si trattennero in disparte con timido rispetto, ma quella a loro rivolta con imperiosa voce esclamò: »Potenze temute degli abissi profondi, larve che errate nelle eterne caligini, sorgete, e periscano gli ospiti, se mal animo quì gli ha spinti»! Così dicendo rotò tre volte in larghe e veloci orbite una nera verga che impugnava nella destra, e insieme profferì non intese parole, al di cui suono risonò l’aria di ululati, e la terra muggì. Tutta si raccolse d’orrore la tremante fanciulla, aspettando che su di lei rovinasse il monte, e si spalancasse l’abisso, non potendo manifestare in gridi l’interno spavento, che le avea chiuse le fauci. Ma Rodope rivolta alla Divinatrice; Siamo, disse, sommessi alla tua potenza, e quì veniamo supplichevoli, siccome vedi, timide e sole in que[p. 135 modifica]sti antri orrendi, onde non accrescere il nostro terrore, minacciando vendetta, mentre imploriamo pietà. Alle quali espressioni di animo subordinato, ricompose Stratonica le sembianze turbate dal tumulto, con cui celebrava que’ tremendi misterj, e il crine ch’avea sparso sugli omeri e sulla fronte, in modo che le velava gran parte del volto, gettò dietro colla mano, e dall’una, e dall’altra parte, scoprendo la faccia severa, ma bella. Perchè non era già ella consunta e rugosa, come ne viene narrato che sieno la maggior parte delle incantatrici, le quali provette e cadenti si credono dal volgo; errore, al certo ben manifesto, giacchè se potessero operare tante maraviglie fuori del corso consueto dei naturali avvenimenti, è ben ragione di presupporre che porrebbero in effetto, per propria utilità, le più benigne incantazioni. Fra tutti i mali, il più grave a cui soggiaccia l’umana miseria, è il sentire gl’impulsi del tempo inesorabile che ogni giorno ci spinge con [p. 136 modifica]nuovo urto, alla tomba. Testimonj dolenti dell’inevitabile distruzione veggiamo rapidamente languire i fiori della gioventù, maturare i frutti della virilità, e quindi cadere, lasciando le reliquie della vita, come un tronco secco senza foglie e senza frutti, ricoperto di neve. Perlochè non si deve prestar fede alla scienza di quelle incantatrici, che promettono agli altri straordinarie medicine, e speranze di vita diuturna, quand’elleno dimostrano nella compassionevole deformità del loro aspetto l’insufficienza dell’arte. Ma Stratonica, benchè provetta, non aveva ceduto al tempo altro che i fiori per necessità di natura, riserbandone i frutti, di modo che mostrava una beltà matura e severa, come sogliono gli artefici rappresentare la torva Pallade, o la maestosa Giunone. Omai però sicura, che amiche erano quelle donne, non già venute a turbare gli arcani suoi, gettò il negro ammanto in cui era involta, ancor fragrante de i vapori delle arse droghe, e [p. 137 modifica]verso di quelle si accostò con lieta fronte vestita in gonna purpurea, e il seno avvolto in bianchi lini, dicendo con alito soave: Pace, pace, ospiti cortesi, vi sieno propizj questi Dei, l’impero de’ quali è benigno agli umili, ma rigoroso con gli alteri. Alle quali parole Saffo, che fino allora si era timidamente ascosa dietro il manto di Rodope, si mostrò alla divinatrice aprendo i veli, onde avea coperto il viso e il manto, che avea gettato sul capo per ripararsi dalle stille cadenti per via. Stratonica osservandola; Io credo, disse sorridendo, che non mi sia necessario, o fanciulla, l’esaminare que’ segni che la influenza degli astri abbia impressi nelle tue mani e nella tua fronte, o altro soccorso di scienza divinatoria, a penetrare la cagione che a me ti conduce, perocchè basti a ben intenderla la consueta virtù dell’intelletto umano. Ed in vero che altro può averti indotta a vincere lo spavento d’inoltrarti in questo speco tenebroso, se non se [p. 138 modifica]quella violenta brama che tutto vince, cioè l’amore? Tacque Saffo a tai parole chinando gli occhi, e le palpitava il seno come l’onda s’agita verso le rive de i limpidi ruscelli; e però sospesa nel silenzio, atterrita dallo squallore dell’antro, e dalle ammirabili congetture della divinatrice, nulla rispondendo, per lei soggiunse Rodope: Per verità, o divina Stratonica, ordinaria ed umana congettura è quella, che tu saggiamente hai concepita nell’animo intorno alla cagione che quì lei conduce, e me di lei fedele ancella; ma nè ordinario, nè umano esser può quel rimedio, il quale rechi a tanta infermità valevole conforto. Avvegnachè di quante fanciulle languenti per amorose ferite quì entrarono piangendo ad invocare questi Numi, tu vedi ora in lei la più misera di tutte. Perchè tu dei sapere... Taci, interruppe Stratonica, non fa bisogno che tu mi spieghi ciò che posso interpretare da me stessa. Dammi la tua destra, o fanciulla, te ne prego: [p. 139 modifica]e Saffo a tai parole, dopo qualche ripugnanza, siccome tuttavia sorpresa dalla voce imperiosa, e dagli atti superbi della divinatrice, a lei la distese, ripiegando però con timido contegno il grembo verginale. Ma quella impugnando una face colla destra, prese colla manca a lei la distesa mano, e da ogni parte con severissime pupille la considerò. Quindi alzandole torvamente ad esaminare la di lei fronte, dopo alcuna pausa, proruppe con impeto profetico.


          Oh diseguale amor, misera Saffo,
          Ch’ami chi non ti cura! il tuo garzone
          Rese bello e crudel la Dea di Pafo:
          Mal per te ch’il vedesti! Egli è Faone.