Le cento novelle antiche/Novella LXV

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Novella LXV

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Qui conta della reina Isotta, e di messere Tristano di Leonis.


NOVELLA LXV.


Amando messer Tristano di Cornovaglia Isotta la bionda, moglie del re Marco, si fecero tra loro un segnale d’amore di cotal guisa; che quando messer Tristano le volea parlare, si andava ad un giardino del re dove era una fontana, et intorbidava il rigagnolo che facea la fontana; et andava questo rigagnolo per lo palazzo dove stava la detta madonna Isotta. E quando ella vedeva l’acqua intorbidata, sì pensava che messere Tristano era alla fonte. Or avvenne ch’uno mal avventurato giardiniere se n’avvide, di guisa che li due amanti neente il poteano credere. Quel giardiniere andò allo re Marco, e contolli ogni cosa com’era. Lo re Marco si diede a crederlo. Sì ordinò una caccia, e partissi da’ suoi cavalieri, siccome si smarisse da loro. Li cavalieri lo cercavano erranti per la foresta; e lo re Marco n’andò in su il pino che era sopra la fontana ove messere Tristano parlava alla reina. E dimorando la notte lo re Marco sul pino, e messere Tristano venne alla fontana et intorbidolla. E poco tardante, la reina venne alla fontana. E da ventura le venne un bel pensero, chè guardò il pino. E vide l’ombra più spessa che non solea. Allora la reina dottò, e dottando, ristette, e parlò con Tristano in questa maniera, e disse: disleale cavaliere, [p. 96 modifica]io t’ho fatto qui venire, per potermi compiangere di tuo gran misfatto, chè giammai non fu in cavalier tanta dislealtade, quanta tu hai per tue parole: chè m’hai unita1 e lo tuo zio re Marco, che molto t’amava: chè tu se’ ito parlando di me intra li erranti cavalieri cose che nello mio cuore non poriano mai discendere. Et innanzi darei me medesima al fuoco, che io unissi così nobile re, come monsignor lo re Marco. Onde io ti disfido di tutta mia forza, siccome disleale cavaliere, sanza niuno altro rispetto. Tristano udendo queste parole, dubitò forte, e disse: madonna, se malvagi cavalieri di Cornovaglia parlan di me tutto, primamente dico che giammai io di queste cose non fui colpevole. Mercè, donna, per dio, elli hanno invidia di me; chè io giammai non feci nè dissi cosa che fosse disinore di voi nè del mio zio re Marco. Ma dacchè vi pur piace, ubbidirò a’ vostri comandamenti. Andronne in altre parti a finir li miei giorni. E forse avanti che io mora, li malvagi cavalieri di [p. 97 modifica]Cornovaglia avranno soffratta2 di me, siccome elli ebbero al tempo dello Amoroldo, quando io diliverai loro e loro terre di vile e di laido servaggio. Allora si dipartiro sanza più dire. E lo re Marco che era sopra loro, quando udì questo, molto si rallegrò di grande allegrezza. Quando venne la mattina, Tristano fe’ sembianti di cavalcare. Fe’ ferrare cavalli e somieri. Valletti vegnono di giù e di su: chi porta freni, chi selle: il tremuoto era grande. Il re s’adirò forte del partire di Tristano, e raunò baroni e suoi cavalieri, e mandò comandando a Tristano che non si partisse sotto pena del cuore sanza suo conmiato. Tanto ordinò il re Marco, che la reina ordinò e mandolli a dire che non si partisse. E così rimase Tristano a quel punto, e non si partì. E non fu sorpreso nè ingannato, per lo savio avvedimento ch’ebbero intra lor due.


Note

  1. che m’hai unita. Unire, lo stesso che onire, vale disonorare. Nell’edizione di Bologna è puntato così: “chè giammai non fu in cavalier tanta dislealtade, quanta tu hai per tue parole; che m’hai unita. E lo tuo zio re Marco, che molto t’amava, che tu se’ ito parlando di me intra li erranti cavalieri cose che nel mio cuore a non poriano mai discendere.„ Secondo la detta interpunzione, da queste parole io non so cavarne un buon senso. Al modo ch’io l’ho ridotta, dice la donna a Tristano: tu hai disonorata me e il re Marco tuo zio ecc.: e che sia da leggersi così, apparisce dalla risposta di Tristano giammai non feci nè dissi cosa che fosse disinore di voi nè del mio zio Marco.
  2. avranno soffratta. Avranno bisogno. Soffratta, voce antica, val mancamento, penuria, bisogno.