Le cento novelle antiche/Novella XXXIII

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Novella XXXIII

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Novella XXXII Novella XXXIV
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Qui conta una novella di messere Imberal del Balzo.


NOVELLA XXXIII.


Messere Imberal del Balzo grande castellano di Provenza vivea molto ad algura1 a guisa spagnuola; et uno filosofo, ch’ebbe nome Pitagora, fu di Spagna, e fece una tavola per istorlomia2 nella quale secondo i dodici segnali erano molte significazioni d’animali. Quando li uccelli s’azzuffano. Quando l’uomo trova la donnola nella via. Quando lo fuoco suona, e delle ghiandaie e delle gazze e delle cornacchie, e così di molti animali molte significazioni secondo la luna. E così messer Imberal, cavalcando un giorno con sua compagnia, andavasi prendendo guardia di questi uccelli, perchè si temea d’incontrare algure. Trovò una femina in cammino, e domandolla, e disse: dimmi, donna, se tu hai trovati o veduti in questa mattina di questi uccelli, siccome corbi, cornille o gazze? E la donna rispose: segnor, ie vit una cornacchia in uno ceppo di salice. Or mi dì, donna, verso qual parte teneva volta sua coda? E la donna rispose: segnor, ella avea volta verso il cul. Allora messer Imberal temeo l’algura, e disse alla sua compagnia: convenga dieu, ie non cavalcherai ni uoi3 [p. 53 modifica]ni doman a questa algura. E molto si contò poi la novella in Provenza, per novissima risposta ch’avea fatto, sanza pensare, quella femina.


Note

  1. Algura, voce antica, lo stesso che augurio. Non fu registrata nel vocabolario della Crusca.
  2. storlomia, voce antica, astronomia, o piuttosto astrologia.
  3. uoi. Il Manni legge huoi. Vale oggi.