Le mie prigioni/Cap XII

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Capo XII

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Capo XII.

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Così finì il mio romanzo con quella poveretta. Se non che le fui debitore di dolcissimi sentimenti per parecchie settimane. Spesso io era melanconico, e la sua voce m’esilarava: spesso pensando alla viltà ed all’ingratitudine degli uomini, io m’irritava contro loro, io disamava l’universo, e la voce di Maddalena tornava a dispormi a compassione ed indulgenza.

— Possa tu, o incognita peccatrice, non essere stata condannata a grave pena! Od a qualunque pena sii tu stata condannata, possa tu profittarne e rinobilitarti, e vivere e morir cara al Signore! Possa tu essere compianta e rispettata da tutti quelli che ti conoscono, come lo fosti da me che non ti conobbi! Possa tu ispirare, in ognuno che ti vegga, la pazienza, la dolcezza, la brama della virtù, la fiducia in Dio, come le ispiravi in colui che ti amò senza vederti! La mia immaginativa può errare figurandoti bella di corpo, ma l’anima tua, ne son certo, era bella. Le tue [p. 37 modifica]compagne parlavano grossolanamente, e tu con pudore e gentilezza; bestemmiavano, e tu benedicevi Dio; garrivano, e tu componevi le loro liti. Se alcuno t’ha porto la mano per sottrarti dalla carriera del disonore, se t’ha beneficata con delicatezza, se ha asciugate le tue lagrime, tutte le consolazioni piovano su lui, su’ suoi figli, e sui figli de’ suoi figli! —

Contigua alla mia, era una prigione abitata da parecchi uomini. Io li udiva anche parlare. Uno di loro superava gli altri in autorità, non forse per maggiore finezza di condizione, ma per maggior facondia ed audacia. Questi facea, come si dice, il dottore. Rissava e metteva in silenzio i contendenti coll’imperiosità della voce, e colla foga delle parole; dettava loro ciò che doveano pensare e sentire, e quelli, dopo qualche renitenza, finivano per dargli ragione in tutto.

Infelici! non uno di loro che temperasse le spiacevolezze della prigione esprimendo qualche soave sentimento, qualche poco di religione e d’amore!

Il caporione di que’ vicini mi salutò, e risposi. Mi chiese com’io passassi quella maledetta vita. Gli dissi che, sebben trista, niuna vita [p. 38 modifica]era maledetta per me, e che, sino alla morte, bisognava procacciar di godere il piacer di pensare e d’amare.

— Si spieghi, signore, si spieghi. —

Mi spiegai, e non fui capito. E quando, dopo ingegnose ambagi preparatorie, ebbi il coraggio d’accennare, come esempio, la tenerezza carissima che in me veniva destata dalla voce di Maddalena, il caporione diede in una grandissima risata.

— Che cos’è? che cos’è? gridarono i suoi compagni. — Il profano ridisse con caricature le mie parole, e le risate scoppiarono in coro, ed io feci lì pienamente la figure dello sciocco.

Avviene in prigione come nel mondo. Quelli che pongono la lor saviezza nel fremere, nel lagnarsi, nel vilipendere, credono follia il compatire, l’amare, il consolarsi con belle fantasie, che onorino l’umanità ed il suo Autore.