Le odi di Orazio/Libro quarto/XII

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Libro quarto
XII

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Quinto Orazio Flacco - Odi (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1883)
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XII.


Già d’april socie l’aure di Tracia,
    Che il mar serenano, le vele spingono;
    Nè i prati gelano, nè i fiumi strepono
        4D’invernal neve turgidi.

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Il nido fabbrica Progne la misera,
    Gemendo flebile Iti, al Cecròpide
    Eterno obbrobrio, che mal le barbare
        8Punì regie libidini.

Su l’erbe tenere i pastor’guardano
    Le pingui greggie; co’ canti e i flauti
    Il dio dilettano ch’ama le pecore
        12E i neri colli arcadici.

I dì, o Virgilio, la sete addussero;
    Ma se da Calibi calcato Libero
    Tu amico a nobili garzon’vuoi bevere,
        16Il vin col nardo merita.

Di nardo un piccolo fiaschetto un’anfora,
    Che alle sulpicie cantine or giacesi,
    Caverà prodiga di spemi e valida
        20L’amare noje a sperdere.

Se di ta’ gaudj ti preme, celere
    Vieni a comprarteli: non io de’ calici
    Miei voglio imbeverti senza ricambio,
        24Qual ricco in casa splendida.

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Lascia gl’indugj dunque e gli studj
    Lucrosi; e memore de’ fuochi funebri,
    Fin chè puoi, mescola lo scherzo al serio:
        28Scherzar giova a proposito.