Le odi di Orazio/Libro quarto/XIII

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Libro quarto
XIII

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Quinto Orazio Flacco - Odi (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1883)
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XIII.


Miei voti udirono, o Lice, udirono
    Miei voti i Superi: sei vecchia, e studj
        Di parer bella ancora;
        4Ruzzi impudica, e il gomito

Alzi, e con tremula voce solleciti
    Cupído languido. Ma della florida
        Chíota a saltar dotta
        8Su le bee guance ei vigila:

Giacchè dall’aride querci egli indocile
    S’invola, e schìvati: chè i denti luridi
        E le rughe e le nevi
        12Del capo ti deturpano.

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Nè ormai pregevoli gemme, nè porpore
    Còe ti riportano gli anni, che il celere
        Tempo ha serbati e chiusi
        16Per entro a’ fasti publici.

Dove, ahi, la grazia, il color, gli agili
    Moti fuggirono? Ahi, che più rèstati
        Di lei, di lei che amore
        20Spirava e a me toglievami,

Dopo di Cìnara beltà propizia
    E d’arti amabili chiara? Ma a Cìnara
        Diè brevi anni la sorte,
        24E serba Lice incolume,

A vetustissima cornacchia simile,
    Acciò che i fervidi garzoni vedano,
        Non senza molto riso,
        28Mutato il foco in cenere.