Le opere di Galileo Galilei - Vol. V/De situ et quiete Terrae Disputatio

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Discorso del flusso e reflusso del mare Proposte per la determinazione della longitudine

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FRANCISCI INGOLI

DE SITU ET QUIETE TERRAE

DISPUTATIO.

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AVVERTIMENTO.





Di una scrittura intorno al moto della Terra indirizzata da Francesco Ingoli a Galileo era rimasta memoria soltanto per la risposta di quest’ultimo, che nella presente edizione sarà pubblicata al posto che le spetta secondo l’ordine cronologico; del resto, gli stessi biografi dell’Ingoli1 non fanno menzione alcuna delle relazioni di lui col Nostro, le quali è molto probabile abbiano avuto principio fin dal tempo del soggiorno di Galileo in Padova, dove l’Ingoli attese in quegli anni agli studi legali.

Occasione alla scrittura dell’Ingoli, divenuto segretario della Congregazione di Propaganda Fide e che s’era reso altamente benemerito con la fondazione di quella celebre tipografia, fu una tra le dispute nelle quali, come altra volta abbiamo accennato2 le corrispondenze del tempo ci dipingono Galileo occupato in Roma durante il suo soggiorno colà sullo scorcio del 1615 e sul principio del 1616. In tale congiuntura sostenne l’Ingoli contro Galileo, alla presenza di quel Lorenzo Magalotti che più tardi fu da Urbano VIII decorato della porpora cardinalizia, la inattendibilità della dottrina copernicana; e nella disputa fu pattuito ch’egli avrebbe esposto in iscritto uno degli argomenti da lui addotti, del quale pareva ch’egli stesso fosse autore, affinchè Galileo potesse portarne più maturamente la soluzione. L’Ingoli attenne la promessa; ma a quell’argomento ne aggiunse altri, ricordandosi che il Nostro aveva detto, com’egli avrebbe udito volentierissimo chiunque adducesse ragioni contro il Copernico, perchè così fosse [p. 400 modifica]più facile venir in chiaro della verità. La scrittura dell’Ingoli fu, quasi in forma di lettera, indirizzata a Galileo, e ricevette allora una certa diffusione3.

Di questa De situ et quiete Terrae contra Copernici systema Disputatio, la quale fu data per la prima volta alle stampe pochi anni fa4 noi conosciamo due esemplari manoscritti: l’uno, a car. 55 r.-58 t. del codice Vaticano-Ottoboniano 2700; l’altro, a car. 189r.-191t. del codice Volpicelliano A, presentemente posseduto dalla R. Accademia dei Lincei5.

Il primo esemplare, che distinguiamo nelle varianti con la sigla O, fu giudicato di mano dell’Ingoli6; ma noi, dopo un diligente confronto con le lettere autografe di questo personaggio che si conservano nel codice Vaticano-Ottoboniano 2536, possiamo assicurare che quella copia non è stata scritta dall’Autore; bensì fu da lui riscontrata, ed egli v’introdusse di proprio pugno frequenti correzioni ed aggiunte, e riempì qua e là alcuni spazi lasciati bianchi dall’amanuense, che probabilmente non capiva il carattere dell’originale7. Nonostante che il cod. sia stato rivisto dall’Ingoli stesso, tuttavia questi vi lasciò passare inosservato qualche materiale errore, che noi però non attribuiremo a quel dotto uomo, tanto più che alcuno di siffatti errori non si riscontra nell’esemplare Volpicelliano8. Questo codice (da noi distinto con la lettera V) si diversifica poi dal cod. O, oltre che per alcune varianti, soprattutto per due notevolissime aggiunte scritte su’ margini, le quali nella presente edizione si leggono a pag. 406, lin. 24-29, e a pag. 410, lin. 5-9, e contengono due altri argomenti contro l’opinione copernicana. Ora, che siffatte aggiunte provengano dall’Ingoli stesso, non può cader dubbio; poichè nella risposta che alla Disputatio fece Galileo, del pari che in quella dovuta al Keplero e recentemente pubblicata per la prima volta9 si risponde anche a quei due argomenti. Di qui e da altri indizi, di cui il lettore si renderà conto esaminando le varianti da noi raccolte appiè di pagina, riesce manifesto che il cod. V, il quale, come risulta anche da altri fatti, non può derivare dal cod. O10, rappresenta la scrittura in una redazione posteriore, quasi diremmo in una nuova edizione accresciuta e corretta, a confronto di quella [p. 401 modifica]contenuta in guest’ultimo manoscritto; onde, per tale rispetto, acquista maggiore importanza dello stesso esemplare che serba traccie della mano dell’Autore.

Siffatto criterio c’indusse a prendere a fondamento della presente edizione il cod. V: siccome però ci proponevamo non soltanto di pubblicare la scrittura nella forma che a nostro giudizio è la definitiva, ma altresì di attenerci nei casi dubbi alla lezione più sicura, così accettammo dal cod. le lezioni autenticate dalla mano stessa dell’Ingoli11 e seguimmo il cod. V soprattutto in quelle varianti che ci parve potessero appunto essere frutto di modificazioni introdotte più tardi dall’Autore. Con l’aiuto di O correggemmo poi alcuni errori che non mancano neppure in V; e qualche volta abbiamo anche dovuto emendare la lezione di tutt’e due i codici12. Delle correzioni introdotte con o senza l’aiuto del cod. O, come pure delle lezioni dell’uno o dell’altro codice non accettate nel testo, è reso conto nell’apparato critico13.




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  1. Effemeride sagra et istorica di Ravenna antica, erudito trattenimento di Gerolamo Fabbri. In Ravenna, presso li stamp. Camerali et Arcivescovali, 1675, pag. 106-113. — Memorie storico-critiche degli scrittori ravennati del Rev.mo Padre D. Pietro Paolo Ginanni. Tomo primo. In Faenza, MDCCLXIX, presso Gioseffantonio Archi, pag. 437-442.
  2. Cfr. pag. 266 di questo volume.
  3. Vedi Nuovi Studi Galileiani per Antonio Favaro, nelle Memorie del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, Vol. XXIV, Venezia, tip. Antonelli, 1891, pag. 149 e seg.
  4. Favaro, op. cit, pag. 165-172.
  5. Intorno ad un altro codice della scrittura dell’Ingoli, che sospettiamo possa esistere nell’Archivio Marsigli in Bologna, vedi Favaro, op. cit., pag. 154, nota 4.
  6. Memorie istorico critiche dell’Accademia dei Lincei e del Principe Federico Cesi, secondo Duca di Acquasparta, fondatore e principe della medesima, raccolte e scritte da D. Baldassare Odescalchi, duca di Ceri. Roma, MDCCCVI, pag. 160.
  7. P. e., a pag. 409, lin. 2, il copista aveva lasciato uno spazio bianco dopo rationes; I’Ingoli lo riempì con le parole quarum prima est.
  8. Richiamiamo l’attenzione sopra gli errori (che si leggono nel cod. O, e non nel Volpicelliano) notati nell’apparato critico a pag. 406, lin. 21, pag. 407, lin. 21, pag. 409, lin. 18, pag. 410, lin. 2.
  9. Favaro, op. cit., pag. 178-184. Cfr. a pag. 176 e 182.
  10. Infatti alcuni luoghi che nel cod. O furono ritoccati, si leggono nel cod. V conforme alla lezione originale del cod. O (vedi, p. e., ciò che osserviamo nell’apparato critico a pag. 403, lin. 12-14, pag. 404, lin. 28, pag. 408, lin. 21, ecc.); altri invece si leggono in V conforme alla lezione che il cod. O presenta quando si tenga conto delle correzioni.
  11. Soltanto in un luogo non abbiamo tenuto conto delle correzioni del cod. O: cioè a pag. 403, lin. 12-14, abbiamo riprodotto le parole apud... commendatum, sebbene nel cod. O si veggano accuratamente cancellate, e non sia difficile che le abbia cassate lo stesso Ingoli, forse per un riguardo verso la persona in quelle nominata.
  12. Così a pag. 406, lin. 5-6, abbiamo corretto terrenorum, dato da tutt’e due i codici, in terrenarum (cfr. lin. 2,8, 18-19); a pag. 408, lin. 32-33, ab oriente in meridiem, pure di tutt’e due i codici, in ab oriente in occidentem, come suggeriscono, oltre alla ragione logica, il passo di Tycho Brahe al quale l’Autore si riporta (Tychonis Brahe Dani Epistolarum Astranomicarum libri ecc. Uraniburgi, cum Caesaris et Regum quorundam privilegliis. Anno CIↃIↃXCVI, pag. 189), e il confronto col luogo corrispondente della risposta di Galileo alla Disputatio dell’Ingoli; a pag. 409, lin. 9, abbiamo emendato corum in earum, ecc. Invece non abbiamo corretto nè Rehinoldus in Reinholdus (pag. 404, lin. 31), nè Rothmanus in Rothmannus (pag. 406, lin. 4; pag. 407, lin. 24; pag. 408, lin. 27), parendoci che quelle grafie, comuni ad ambedue i manoscritti, possano derivare anche dallo stesso Autore.
  13. Non notiamo però, neppure se si incontrano nel cod. V, alcune grafie che abbiamo corretto, come proemium, Ptolomeus, demonum, phisicus (accanto a physicus), deffendendas, assummens, opaccus, inotescere, Terre (pag. 407, lin. 26), de exonerantis (pag. 408, lin. 33), ecc. Mentre poi abbiamo notato quelle lezioni originali del cod. O che l’Ingoli ritoccò nello stesso codice, modificando o la sostanza o la forma del suo pensiero, non abbiamo fatto alcun cenno quando la correzione dell’Autore consistè soltanto nel riparare a un errore materiale commesso dal copista (p. e., a pag. 411, lin. 9, prima era stato scritto neget, e l’Ingoli corresse negat; alla stessa pagina, lin. 19, corresse quod afferuntur, che era la lezione originaria, in quae afferuntur, e alla lin. 34 Terrae in Terram, ecc.).