Le prose e poesie campestri.../Avvertimento
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AVVERTIMENTO
Benchè forse niun sappia meglio di me far pochissimo conto delle cose proprie, non credo però essermi lecito il disprezzar quello, che da qualche persona per me grandemente stimata viene approvato. Posso dunque perdonare a me stesso questa vaghezza, che stampate sieno di nuovo le Poesie Campestri.
Aggiungo alcune Prose pur Campestri non più stampate; confidandomi che presso coloro, che buon viso fecero ai versi anche la prosa troverà qualche grazia, come quella ch’è d’una stessa indole, e nacque nel soggiorno di Avesa la state del medesimo anno 1785, cioè mentre io era dagli oggetti fisici e morali, allora miei favoriti, così esclusivamente occupato, che tutto ciò, ch’io dettava, non potea non vestire l’indole stessa.
Resterebbe non poco deluso chi aspettasse da queste Prose insegnamenti e dottrine. Non promettono tanto. E perchè avviene spesso, che altri rimanga scontento d’un libro per non trovarvi ciò, che immaginato s’era, e che l’autore di mettervi non intese; quello dichiarerò brevemente, di che in questi scritti si tratta. Un uomo, che non odia punto lo star con sè stesso, cui piace assai l’independenza e la libertà, e che ama la campagna grandissimamente, vedesi per la prima volta libero, independente e solitario nel verde grembo d’un’amenissima villa. Costui si trova in quel disinganno, che non è gran fatto desiderabile, se si vuole; ma che sembra inevitabile dopo gli anni primi, ove tu abbia nella testa un sol grano di vera filosofia. L’umor di lui tira così un poco al melanconico, e forse la non felice salute, in cui è, lo carica di colore alquanto; ma la sua melanconia scorre molto placida e dolce, e il presentimento di quel crudo male, che lo minaccia, gli rende più care ancora quelle villerecce delizie, di cui teme che non potrà goder lungo tempo. Egli s’è già esercitato nell’arte di scrivere, della quale allora solo conobbe abbastanza la difficoltà, che il piacer dell’esercizio gli tolse la forza di abbandonarlo: quindi tutto ciò, che in quel novello suo stato gli riempie la mente, tutto ciò, che il cuore gli scalda, dalla mente, e dal cuore lo trasporta alle carte, e quivi lo ferma ora col linguaggio della poesia, e quando con quel della prosa, come più gli cade in acconcio, e secondo ch’egli vien mosso. Io era quest’uomo: ora vedrà il Lettore ciò che può essere questo libretto. Io son d’avviso, che aggradir nol possa, che un numero scarsissimo di persone: anzi non mancherà chi si faccia beffe di me, e mi fregi del titolo di visionario, se non anche di pazzo. Ma tengo per fermo; che se questo libretto cadrà nelle mani di chi si trovi, non dico in circostanze identiche, e nella stessissima disposizion morale, perchè tali identità indarno si cercherebbero, ma in circostanze somiglianti, e in una disposizion morale analoga molto alla mia, il che certo esser può, tengo per fermo, che costui non lo leggerà senza qualche gratitudine verso chi l’ha scritto.
Non niego, che troverà, massimamente prendendo insieme i versi e la prosa, qualche ripetizione, ch’era forse inevitabile in coserelle da me dettate per secondar quell’impulso, e senza il pensiero anche più lontano di pubblicarle. Questo difetto, che potrei levar via facilmente, io l’ho con ragioni, che mi parver buone, lasciato: così fosse il solo! Quanto al parlare che l’Autor fa di sè stesso, ch’è della natura di tali scritture, penso che niun buon giudice lo avrà per difetto. Ma troppo per verità intorno a un libro di così poca importanza.