Le rivelazioni impunitarie di Costanza Vaccari-Diotallevi/Considerazioni/V

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V. — Cause della persecuzione di Fausti. La Rivelante si trasforma in Denunciante

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V. — Cause della persecuzione di Fausti. La Rivelante si trasforma in Denunciante
Considerazioni - IV Considerazioni - VI

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V.

Cause della persecuzione di Fausti. — La rivelante
si trasforma in denunciante.


Fuori delle indicate cagioni, non si saprebbe quall’altra assegnarne che valesse a dare una spiegazione verosimile dell’eccesso a cui si vollero spingere le risultanze processuali. Potrebbe dirsi che il Processante sia stato tratto in inganno, sia stato allucinato dalla Diotallevi; ma Ve cose da questa dette sono tali e tante e sì poco giustificate, che se l’inganno o l’allucinazione sarebbero poco probabili in un Processante novizio, si rendono affatto impossibili in un Processante della fatta del Collemassi, scaltro quant’altri mai per natura e per arte.

Ciò per altro che si comprende facilmente si è, che poiché si era stabilito di spingere le risultanze a quel punto, che delle cose dette, e fattele dire, dalla Diotallevi si era voluto fare la base del processo; bisognava di necessità che, come nelle altre parti, così in questa degli impiegati traditori, si dimostrasse che essa aveva detto il vero. Processarli tutti era moralmente? e quasi fisicamente impossibile; conciossiachè, se fu immenso lo stupore ohe produsse nel pubblico la inaspettatissima carcerazione del salo Fausti, il procedere a numerosi arresti di quella fatta avrebbe prodotto uno scandalo immenso, messo lo scompiglio finale nel Governo pontificio, ed in ogni modo il prematuro abuso dell’intrigo l’avrebbe svelato e forse reso impossibile. Si rendeva pertanto necessario scegliere la vittima, col sacrificio di [p. 26 modifica]cui fosse dato al Processante di giustificare, o per lo meno rendere probabile, quanto alla Diotallevi si era fatto dire sul conto degli altri, contro i quali la via a procedere sarebbe stata più facile e secura dopo la riuscita del primo esperimento. A vittima fu designato il Cav. Lodovico Fausti, contro il quale aveva il Collemassi un appiglio nelle lettere che all’indirizzo di lui erano stata i rinvenute presso il Venanzi.

Di pieno accordo col presidente del Tribunale, il Processante prendeva da queste lettere le mosse per agire contro il Fausti. Si apprende infatti dalla Relazione fiscale a pag. 274, che l’esistenza di quelle lettere combinata colle deposizioni fatte fare alla Diotallevi fu l’unica ragione, per cui fu decretato l’arresto e la perquisizione del Fausti per decreto dell’intiero Tribunale il dì 12 decembre 1862.

Sulla quale risoluzione presa colla più inescusabile leggerezza, giova ricordare le giuste lagnanze che ne moveva nella Difesa il Dionisi. Egli avvertiva che siffatte risoluzioni consiliarie del Tribunale giudicante sono del lutto vietate dalla legge, la quale non le permette che in alcuni casi particolari espressi negli articoli 125, 126, 307, 447. Pel caso di mandato di arresto, come per quello di deputazioni e nuovi esami di periti, la legge ha provveduto specialmente ed espressamente negli articoli 232, 233, 327, 330, dandone la facoltà ed il potere esclusivamente all’istruttore del processo unitamente al presidente del tribunale. Ed invero la legge, già bestiale nell’immischiare nella processura il presidente del tribunale giudicante, diverrebbe peggio che bestiale, qualora l’intiero tribunale vi s’immischiasse. Dalle risoluzioni relative al merito della causa prese in pendenza del processo, sarebbe preoccupato l’animo de’ giudici, pregiudicato il giudizio definitivo.

Questa sì enorme, sì patente e tanto pregiudizievole infrazione della legge, può essa essere stata l’effetto di una delicatezza soverchia, di una soverchia circospezione del Sagretti presidente, del Collemassi processante? Temettero forse della grave responsabilità che sulle loro spalle avrebbe pesato per un mandato, di arresto così [p. 27 modifica]strano ed impensato, quale fu pel pubblico quello del Fausti? Se quella fosse l’unica violazione di legge, l’unica enormità commessa in questo giudizio; vista l’ignoranza, delle persone, potrebbersi per un eccesso di cristiana carità menar buone quelle supposizioni Ma in un processo, ma in un giudizio, che sono da cima a fondò, dal principio alla fine, un cumulo di nequizia, quelle supposizioni si rendono impossibili. La ragione di quell’eccesso si fu che, conoscendosi appunto da coloro i pessimi effetti dell’inferenza del tribunale giudicante nelle risoluzioni riguardanti il merito della causa e da prendersi pendente il processo, si volle che l’intiero tribunale lo compiesse, perchè, una volta compromesso, fosse più docile e più disposto ad ammettere le ulteriori conseguenze. Al Presidente e dal Processante bastava aver le mani libere contro il Fausti, senza troppa loro responsabilità: al resto si sarebbe provveduto in seguito. Ed ecco in fatti che, contro l’uso ed il costume, il mandato di arresto decretato sin dal giorno 12 decembre rimane sospeso ed ineseguito per due mesi e più; cioè sino al 22 febbraio 1863.

Ed era ben naturale, era anzi necessario, che cosi si facesse. Imperciocchè se le indicate lettere potevano determinare il Frocessante nella scelta, non potevano, anche secondagli criterio giuridico e la coscienza dei buoni preti componenti il tribunale della S. Consulta, non potevano costituire una prova per condannare un uomo, la cui vita antecedente, non pure non aveva dato indizio di avversione al Governo pontificio, ma per contrario moltissime prove di speciale devozione.1 Facea [p. 28 modifica]d’uopo avere delle prove ulteriori, le quali direttamente accusassero il Fausti, ed indirettamente dimostrassero [p. 29 modifica] che quella direzione posta su quelle lettere era vera e non fittizia.

È indubitato che ogni uomo di questo mondo, per quanto accorto ed astuto si voglia fingere, il quale avesse voluto accusare di liberalismo il Fausti, si sarebbe trovato di fronte a difficoltà insuperabili a poter tessere un intrigo, che mentre raggiungesse il fine, fosse ricoperto da una apparenza di verosimiglianza, di probabilità, di credibilità. Ma pel Processante signor Eucherio Collemassi, il quale aveva per sè il segreto impenetrabile dal quale è circondato il processo criminale politico, il favore di monsignor De Merode, il consenso e la cooperazione di monsignor Salvo Maria Sagretti presidente del tribunale che doveva giudicare la causa, non potevano esserci nè ci furono difficoltà. Le prove bisognavano, e le prove furono trovate. La Diotallevi non era già morta, ma anzi vivea felice, lieta e contenta; poiché non solamente dal 20 ottobre del 1862 aveva ricuperata la sua piena libertà, ma anche ottenuta da monsignor De Merode una pensione mensile di scudi dodici.2 Come da questa gentildonna aveva avuto il Collemassi quanto gli era stato necessario a compilare il processo contro nove degli inquisiti, ed i semi da far fruttificare a suo tempo contro il Fausti, da lei designato come capo della Università Romana, come uno de’ più attivi del Comitato, anzi l’anima stessa del Comitato; così poteva con tutta facilità averne ciò che gli mancava a compiere la grande opera.

Il processo Venanzi aveva avuto principio sin dal febbraio del 1862, e sin dai primordii di esso il Fisco dovette venire in sospetto del Fausti, sia per le lettere rinvenute al Venanzi colla nota direzione, sia per le notizie che sul conto del Fausti aveva dato l’inmpunitaria Diotallevi, a cui nel marzo successivo fu concesso il beneficio della impunità. È ben da credere che un [p. 30 modifica]Processante sì pieno di zelo, come il Collemassi si pregia di essere, appena venuto in sospetto del Fausti, nulla trascurasse, anzi positivamente facesse ogni sforzo ed adoprasse ogni diligenza, a fine di procurarsi prove di fatto che valessero a cangiare il sospetto, gli indizi e le presunzioni in certezza; tanto più che trattavasi di fare un bel colpo scoprendo un liberale, un attivissimo nemico del Governo pontificio, nel cav. Fausti, che tutta Roma chiamava col nome usato a designare i papalini, un fiore di brigante. Eppure dal febbraio 1862 a tutto decembre del 1862, cioè per dieci mesi, riuscì vana ogni premura, ogni fatica, ogni diligenza. Ma tutto ad un tratto la cosa cangia d’aspetto: appena decretato lo arresto, il Processante diviene sì lucido nelle indagini, sì fortunato nelle scoperte, che in un mese o poco più, cioè dai principio di gennaio 1863 al 20 del susseguente febbraio, giunge a raccogliere tante e tali prove contro il Fausti, da riuscire veramente una maraviglia non pure il considerarle nella loro essenza, ma soltanto il noverarle.

Il 3 gennaio la fatidica donna, non più impunitaria ma denunciatrice confidenziale, si presenta al suo vecchio amico sig. Eucherio Collemassi per metterlo a parte di una peregrina scoperta da essa fatta sul conto del Fausti, e sul nuovo ordinamento della setta, Questa dopo l’arresto del Venanzi essersi costituita in: quattordici Promotorie corrispondenti al numero dei quattordici Rioni nei quali Roma è divisa, ed a ciascuna Promotoria stava a capo un individuo col titolo non già di Promotore, come avrebbe dovuto dirsi in buona grammatica, ma di Promotorio, detto anche Promontorio, come con dottrina pari all’arguzia nota la Relazione fiscale a pag. 294 e la Sentenza a pag. 36. Il Fausti come abitante nei XIII Rione essere capo della Promotoria XIII, che sebbene penultima per numero, sembra che dovesse essere la prima e principalissima per importanza, mentre dalle notizie date in seguito dalla confidente, tutto si sarebbe fatto dal partito per mezzo del Fausti. Di più la confidente aggiungeva di aver saputo non solo che il Promontorio XIII tenesse corrispondenza [p. 31 modifica]settaria con l’intruso Governo italiano, ma perfino che ordinariamente ciò seguisse due volte la settimana, il martedì cioè ed il sabato.3 La corrispondenza essere in cifra e spedirsi per la posta pontificia, nè più nè meno che se si trattasse di lettera di augurio pel giorno onomastico o pel capo di un anno.

Dopo questo primo abboccamento, si può dire che non passasse giorno in cui la denunziatrice non si presentasse. al Processante con notizie e documenti importantissimi Aveva denunziato che fra il Fausti ed il cav. Mastricola passasse corrispondenza epistolare in cifra, e prima la cifra fu fatta nota al Processante, poi dato avviso puntualissimo del giorno dell’invio e del luogo ove furono impostate le quattro lettere che fanno stupenda mostra nel Processo e nella Sentenza Intanto si avvicinava il carnevale, che aveva principio col sabato, sette febbraio.

Fin dal giorno 4 il Comitato Nazionale pubblicava a stampa un proclama ai Romani, esortandoli a non prender parte ai tripudii carnevaleschi, astenendosi dall’intervenire al corso ed ai festini Quattromila copie furono tirate di questo proclama e diffuse per tutta la città; eppure si apprende dalla Relazionò fiscale, pagina 282 283, che una copia soltanto pervenne nelle mani del Processante non prima del giorno &, vale a dire 5 giorni dopo la pubblicazione. Questo fatto vuol esser citato di passaggio, lasciando, a chi volesse prendersela, la cura di dimostrare come questa ignoranza più che supina di un fatto pubblico, di un documento divulgatissimo, possa stare e stia in coerenza alla scienza più che meravigliosa di fatti per loro natura segretissimi.

Appena però quel proclama fu conosciuto e [p. 32 modifica]posseduto, immediatamente produsse largo frutto. Da quel giorno, 9 febbraio, hanno principio le gesta del cavalier Fausti perchè il carnevale riuscisse secondo le intenzioni espresse dal Comitato nell’indicato proclama. La Relazione fiscale a pag. 283 84 ci apprende che la solita confidente riferiva avere il Fausti sin dal giorno 6 fatto circolare un ordine concepito nei seguenti termini: «Comitato Romano. Si prevengono! Capi Sezione di contrassegnare chi va per il Corso ed ai festini in maschera, Promotorio XIII:» ordine che veniva comunicato al Processante non già in copia, ma in originale, cioè, secondo le parole della Relazione fiscale a pag. 283, vergato dallo stesso Fausti. Giungeva il giorno 14 febbraio, e la denunziatrice si presentava nuovamente al Processante per regalarlo d’altra gemma; vale a dire di altr’ordine, non in copia, ma autografo del Fausti, così concepito: «Comitato Romano. — Si permette al professor di fare il preparato chimico per il festino, che consegnerà ai latori della presente in separati recipienti, Promotorio XIII. Consegna al Pincio. Motto: Bruto e Roma.» Sorgeva il giorno 15, e nuovamente la denunziatrice recava altro ordine autografo del Fausti per gli ultimi tre giorni di Carnevale Quest’ordine diceva: «Comitato Romano. — Convegni: domenica al Corso, lunedì al Pincio, martedì, San Pietro e Pincio e Porta San Giovanni. Non si permette bengala, Promontorio XIII.» (Relaz. fise, pag 285). La qual Relazione alla pag. seguente ne fa’ conoscere che la stessa denunciatrice riferisse nel giorno 16, che in quel giorno stesso il Fausti aveva pagato scudi 20 in otto monete d’oro da scudi 2 50 l’una e che «un individuo appartenente alla setta, in un luogo conosciuto dal Fisco, aveva mostrato l’originale della ricevuta stesa di tutto pugno del Fausti in carta e carattere eguale a quella dei suddetti ordini, le cui precise espressioni state subito trascritte in lapis erano le seguenti: — Noi sottoscritti abbiamo ricevuto dal Promotorio decimoterzo la somma di scudi 20, quali sono per compenso dei servigi prestati al medesimo.» — Inoltre si faceva pure presente che altro [p. 33 modifica]pagamento doveva eseguire il Fausti per l’effettuato incendio del teatro Alibert, avvenuto alle ore 5 antimeridiane di domenica 15 febbraio. E coerentemente, a questa prima: notizia la denunziatrice tornava il giorno 18 innanzi al Processante per riferire ed attestare che nella sera antecedente il Fausti; «consegnava ad un suo fido scudi duecento, perchè li dipartisse in quattro parti eguali agli esecutori, con istruzione che gli si sarebbero presentati mostrando una Croce di Savoia in ottone. Si seppe: perfino (aggiunge la Relaz. fiscale, pag. 287,) che in quella stessa mattina, 18 febbraio il ripetuto Fausti avesse fatta richiesta alla persona incaricata, se, gli esecutori fossero stati a ritirare il compenso, ossia la respettiva tangente delli scudi dugento che gli aveva consegnati a tal fine, e che, avutane negativa risposta, si mostrasse dispiacente, esprimando che ciò gl’impediva di dare discarico al sotto Prefetto, di Rieti, cori la solita lettera in cifra, e che vedeva di doverla differire sino al venturo sabato 21 ripetuto febbraio.» E qui la Relaz. fisc, non omette di avvertire che sin dal giorno 14, la Giustizia aveva saputo, «che l’inquisito Fausti avesse ricercato una forte somma settaria, e precisamente nella mattina del giovedì grasso, 12 corrente mese, rimessagli dal sotto Prefetto di Rieti in due rotoli di Napoleoni d’oro, quantunque non si conoscesse la totale erogazione di questa forte somma, ma solo che dovendo servire per la difesa dei coinquisiti Venanzi, Matriali, Ferri e di un ....» Nè basta. La Relazione a pag 288 ne dice che comparsa nuovamente il giorno 21 la confidante, riferiva.: «che nel precedente di 20, il Fausti si era posto a scrivere una ricevuta, e convien ritener che qualch’altro discorso, fosse, interceduto fra esso ed il suo fido; che però dopo averla scritta, non rimanendo in quella scheda di carta spazio bastante per le firme che dovevano seguire, tornasse a farne una nuova, dando istruzioni alla persona incaricata di recarsi nel giorno appresso 21 detto sulle ore 10 del mattino al Caffè delle Convertite, precisamente al camerino che è al di dietro, ove avrebbe rinvenuto uno delli [p. 34 modifica]incendiarii; così di recarsi quindi al Caffè detto dei Scacchi al Corso, ove avrebbe trovato altri degli incendiarii; mentre gli altri due sarebbero andati a a trovarlo. Infine si portava però a cognizione della Giustìzia, che in quello stesso giorno, 21 febbraio, sarebbe stata diretta dall’inquisito Fausti altra lettera al sotto Prefetto di Rieti.» Ed infatti mentre dalla mano della denunciatrice li Processante riceveva quello stesso brano di ricevuta (autografa; non copia) che si disse scritto dall’inquisito, i cui termini precisi sono: «Mostrata, la croce ec. abbiamo ricevuto scudi 30 per Alibert dal Promotorio XIII, e più scudi ....;» rinveniva, puntualmente alla porta l’indicata lettera scritta la maggior parte in cifra, e che tradotta diceva: «XIII Ho ricevuto scudi 400, e furono dipartiti. Il Corso fu fui goduto da puttane, da preti e spie. I festini annichiliti. Gl’incendi sono cominciati. Noi non indietreggiamo, come il partito ex liberale al Pincio!!!! Il papa andò alla Sapienza!!!! - Monsignor governatore mi assicura, per ora. In caso, per la fuga ho tutto pronto. Il processo è chiuso. Per Fantini non temete; sono sgomentati. Ho dati scudi 100 a C... Addio. — Fausti

Col sequestro di questa lettera che veniva come la prima ritenuta originalmente, avevano fine le gesta liberalesche del Fausti, cioè, uscendo dalla chiesa di San Carlo ai Corso ove aveva udito Messa, veniva assalito come Cristo all’orto da una turba di birri guidata dal maggiore Eligi, e tradotto nel carcere addizionale politico alle Carceri Nuove. Il Processante a pag. 292 della Relazione non tralascia di rendere ragione di questo fatto: «Con siffatti risultati (egli dice) e segnatamente dopo il pervenimento della lettera 21 febbraio, non poteva ulteriormente sospendersi l’arresto del Fausti, che anzi era della coscienza e del dovere di chi dirigeva la processura il curarne la immediata esecuzione, sia nelle viste di troncare il filo a quei disordini, che si dicevano soltanto incominciati in quel foglio, e che il fatto stesso additava fossero temibili, sia per la responsabilità che pesava su di esso stante l’imminente e minacciata fuga.»

[p. 35 modifica]Questa è la serie dei documenti che giusta il giudizio pronunziato alla unanimità dal primo turno del Supremo Tribunale della S. Consulta, valse al Fausti la pena della galera per venti anni.4



Note

  1. Il Dionisi nel Sommario della Difesa raccolse moltissimi documenti a prova della divozione del Fausti al Governo papale. Su ciò non è inutile trascrivere quanto si legge a pag. 263, 264 della Relazione fiscale. Ad oggetto di poter presentare in atti una idea della sua condotta politica tanto passata che presente, chiese di poter esibire un dettaglio scritto di suo pugno e carattere dei fatti più notevoli, operati in favore del Governo pontificio, onde potessero i Reverendissimi signori Giudici formarsi un criterio di lui. Si legge in questo, relativamente alla sua passata condotta politica, che raccogliesse in propria casa nel l’anarchia del 1843 due RR. PP. Gesuiti: e che uno di essi lo spesasse e trattasse di tutto punto per lo spazio di tre anni; e l’altro per dieci giorni circa. — L’aver dato occulto ricetto all’epoca della partenza da Roma del Santo Padre a distinti personaggi che ha nominati, sino a che potessero assicurarsi della vita, e decidersi al partilo da prendere. — L’essersi adoperato ed aver posto in salvo in detta epoca, e sulla mezza notte circa, gli archivi, carte e mobilia che spettavano alla Santa Visita, e che si custodivano nella Casa del Gesù, e per collocare il tutto ristringesse la propria famiglia, e cedesse cinque Camere alla Segreteria della Visita, quali quantunque sieno state ritenute per cinque anni, pure ne pagasse sempre la pigione: senza entrarvi, e senza farne alcuno uso, senza averne chiesto ed ottenuto compenso, ne averne avuto alcun ringraziamento. — Che, richiesto da un impiegato della Segreteria del Ministero delle Finanze, sul che da fare, per la necessità che aveva di aderire a quella forma di Governo, si facesse a rispondergli: — «È difficile di dar consigli in tali frangenti: posso però dir cosa farei se a tali ristrettezze mi dovessi trovare anch’io. Preferirò di andare sulla strada a chieder pane per la famiglia, piuttosto che tradire il mio Sovrano.» — L’aver subito pure in quell’epoca un rigoroso perquiratur, l’aver potuti salvare molti oggetti di valore, proprietà d’insigni personaggi. — L’essere stato obbligato con le più severe minaccia a dare tutta la moneta che possedeva contro carta monetata della Repubblica alla pari, quantunque allora si cambiasse non più che al quarantacinque per cento. — L’aver senza alcuna esitazione deposto il grado di Tenente del nono Battaglione che aveva, pubblicata appena la Costituente, e ciò subito venuto a cognizione dell’Editto relativo alle Censure Ecclesiastiche.
          E per dar prova anche più positiva di ciò che egli fosse, narrando di un pacco di libri portato per equivoco in sua casa da un vetturale, disse: — Che, essendo esso ignaro di questa spedizione, sfilasse un libercolo per vedere di che si trattava, ed accortosi, od almeno supposto, che fosse un’opera del Passaglia, si recasse subito da Monsignor Direttore Generale di Polizia portando con sè questa copia. Che, raccontato il fatto accadutogli, e replicatosi dalla 1odata Eccellenza Sua che gli avesse permesso demandare nella di lui casa un agente di polizia, dovendo sicuramente farvi ritorno il vetturale, sommessamente avesse a rispondere: «Monsignor no, lasci fare a me, che farò io quello che potrebbe fare l’agente di Polizia: le do la mia parola d’onore.» Al che replicasse l’Autorità suindicata di fidarsi pienamente di lui. Che dopo due giorni, circa le 7 1|2 del mattino, tornasse il vetturale a richiedere i libercoli, che disse per equivoco aver ivi lasciato, mentre invece aven per esso due sacchi di seme di fieno, e restituitigli i dodici paoli consegnati per la vettura, riprendesti la balla. Che lo facesse allora esso inquisito seguire alla lontana, espiando i suoi passi; e conosciuto che dopo vari giri viziosi, e l’essersi introdotto in varie botteghe andasse a terminare in casa del Cugnoni, ne facesse subito rapporto a Monsignore, il quale ordinò l’immediato arresto del vetturale e la perquisizione domiciliare del Cugnoni.
  2. Il fatto è positivo.
  3. È da notare che fra le carte venute in potere del Comitato esiste una posizione relativa al famigerato Emanuele Raeli siciliano, il quale dando al Collemassi od alla Polizia romana le più strampalate notizie sulle persone e sulle cose del Comitato, indicava che precisamente in quei giorni aveva luogo una pretesa corrispoondenza col sotto prefetto di Rieti. Notiamo la coincidenza affinché si veda come il processante, anche nelle denunzie, mettesse a profitto le notizie contenute ne’ suol zibaldoni.
  4. Ad eterna infamia si registrano i nomi componenti quel Turno: — Salvo Maria Sagretti, Presidente; Gaetano De Ruggero: Giovanni Capri Galanti; Luigi Macioti Toruzzi; Girolamo Mattei; Augusto Theodoli.