Le stragi delle Filippine/Capitolo XIX - Due formidabili nemici

Da Wikisource.
Capitolo XIX - Due formidabili nemici

../Capitolo XVIII - Un eroe dalla pelle gialla ../Capitolo XX - Un supplizio spaventevole IncludiIntestazione 29 aprile 2017 75% Da definire

Capitolo XIX - Due formidabili nemici
Capitolo XVIII - Un eroe dalla pelle gialla Capitolo XX - Un supplizio spaventevole

Capitolo XIX


DUE FORMIDABILI NEMICI


Hang-tu, saltato nel cortile, aveva raccolto un ramo d'albero annodandovi sulla cima il fazzoletto di seta bianca che portava al collo, poi si era diretto verso le barricate occupate dagli spagnuoli con passo fermo, senza la menoma esitazione e colla fronte alta e serena.

Tre volte Than-Kiú lo aveva chiamato, ma il fiero capo delle società segrete e degli uomini gialli non si era nemmeno voltato ed aveva proseguito il cammino, come se fosse spinto da una implacabile, da una ferrea volontà.

Giunto a quindici passi dal primo gruppo d'alberi, si era arrestato. Una sentinella spagnuola era comparsa e l'aveva preso di mira col moschetto, dicendo:

— Alt!...

— Sono un parlamentario, — rispose il chinese.

— Che cosa vuoi?...

— Parlare col maggiore d'Alcazar.

— Sei disarmato?...

— Lo vedi: non ho nemmeno un pugnale.

— Attendi.

Il soldato scambiò alcune parole coi compagni che stavano dietro una barricata, poi dopo alcuni istanti, disse:

— Puoi avanzarti.

Hang-Tu s'avvicinò alla trincea senza battere ciglio. Due soldati armati di moschetto gli andarono incontro, lo frugarono per vedere se avesse qualche arma nascosta, senza che il chinese facesse la menoma obbiezione, poi se lo posero in mezzo e lo condussero dietro ad un folto gruppo di palme, dove s'alzava una tenda da campo guardata da due sentinelle.

Il maggiore d'Alcazar stava allora per uscire. Vedendo Hang fece un passo indietro, manifestando viva sorpresa.

— Mi conoscete? — chiese il chinese, levandosi l'ampio cappello di fibre di rotang.

— Sí, — rispose le spagnuolo. — Voi siete Hang-Tu, un dei due capi dell'insurrezione e che io una sera...

— Tacete, — disse il chinese, con voce cupa. — Certe cose è meglio non ricordarle dinanzi agli altri.

— Sia pure. Che cosa desiderate?...

— Parlarvi.

— A me solo?...

— Sí.

Poi vedendo che il maggiore pareva esitasse, aggiunse:

— Non temete: sono inerme.

— Un soldato non teme la morte. Entrate nella mia tenda.

Fece cenno alle due sentinelle di ritirarsi, poi seguí il chinese. Rimasti soli, quei due uomini si guardarono per un po' in silenzio. Parevano entrambi sorpresi di trovarsi, essi fierissimi nemici, l'uno di fronte all'altro.

— Che cosa desiderate? — chiese finalmente il maggiore.

— Una domanda, innanzi a tutto.

— Parlate.

— Credete che io valga qualche cosa?...

— Lo credo bene e ve l'ho dimostrato coll'accanimento con cui vi ho inseguito e assediato.

— Sarei adunque una buona preda per voi.

— Certo.

— Ebbene, vengo a mettermi nelle vostre mani, — disse Hang, con nobile fierezza. — Io, il capo delle società segrete chinesi e capo degli uomini gialli e vostro mortale nemico, vengo a dirvi: arrestatemi e fatemi fucilare.

Il maggiore d'Alcazar lo guardò con stupore.

— Vi arrendete?... — chiese.

— Sí, ma ad una condizione.

— E quale?...

— Che lasciate liberi gli uomini che si trovano rinchiusi in quella casa. La Spagna può essere contenta di sopprimere uno dei capi dell'insurrezione.

— No, — disse il maggiore, — È anche l'altro capo che io voglio avere in mano.

— Romero?...

— Sí, lui, — disse il maggiore, con un leggero tremito nella voce.

— Ma credete voi che gli uomini che difendono quella casa siano ridotti all'estremo? V'ingannate: hanno ancora delle cartucce e sono ancora in grado d'infliggere ai vostri soldati delle perdite dolorose.

— Ma finiranno col cedere, poiché sono deciso a dare l'assalto.

— E verrete nuovamente respinto.

— Siamo soldati e la guerra è il nostro mestiere.

— L'odiate adunque immensamente Romero? — chiese Hang, fissando il maggiore negli occhi.

— Forse meno di quello che credete, — rispose lo spagnuolo, con un sospiro. — Un giorno io ho disprezzato quell'uomo, l'ho anzi odiato, ma non perché si chiamava Romero Ruiz, ma perché sentivo che egli sarebbe diventato l'anima dell'insurrezione che covava fra le mura della capitale. Oggi quell'uomo lo stimo: i valorosi, siano pure nemici, si possono ammirare.

— Ed è per questo che cercate di averlo in mano per farlo fucilare, — disse Hang con amara ironia.

Il maggiore non rispose. Si era messo a passeggiare intorno alla tenda, con una certa agitazione e col volto alterato. Pareva che una terribile lotta si combattesse nel suo cuore.

Ad un tratto si arrestò dinanzi al chinese e posandogli le mani sulle spalle, gli disse con una certa commozione che cercava invano di nascondere:

— Credete voi che io non ami mia figlia?... È la sola che io ho e se foste un padre, comprendereste forse quanto soffre il mio cuore per non poterla fare felice ed unirla all'uomo che ama e che credo giammai dimenticherà. Ogni lotta da parte mia sarebbe vana per soffocarle l'affetto per l'uomo che ha scelto, ma quell'uomo si chiama Romero Ruiz e combatte contro la bandiera della vecchia Spagna.

«Io sono soldato, io ho giurato fedeltà alla mia bandiera, io sono stato mandato a combattere l'insurrezione che minaccia di strappare alla mia patria una delle sue ultime e piú opulente colonie.

«Il mio cuore sanguina, sanguinerà forse ancora a lungo, poiché sarò stato forse io a straziare il cuore di mia figlia, ma la patria esige che io faccia il mio dovere di soldato... e lo farò.»

— Voi dunque ucciderete l'uomo amato da vostra figlia?...

— È il destino che cosí vuole.

— L'uomo che ha salvato la vita alla vostra Teresita.

— Sono un soldato.

— Rifiutate adunque la condizione propostavi.

— È necessario. Ammiro il vostro eroismo, ma un solo capo non mi basta, quando ho la possibilità di prendere anche l'altro.

— Eppure vi sareste sbarazzato d'un mortale nemico che ha giurato di uccidervi.

— Se la sorte mi farà cadere nelle vostre mani, farete di me ciò che vorrete. I soldati della vecchia Spagna sanno morire da forti, col sorriso sulle labbra.

— Vorrei vedervi alla prova. Sta bene: addio maggiore, o meglio, arrivederci a presto.

Si avviò verso l'uscita della tenda, ma si arrestò subito vedendo quattro soldati colle sciabole sguainate. Si volse verso il maggiore con uno scatto da tigre, dicendogli:

— Forse che mi fate arrestare!...

— Ne avrei forse il diritto, non essendo voi un soldato ma un ribelle, ma il maggiore d'Alcazar sa rispettare i valorosi. Siete libero, Hang-Tu.

— Forse io al vostro posto non avrei fatto altrettanto, — disse il chinese. — Hang-Tu non perdona e mantiene i suoi giuramenti. Grazie, ma Dio vi guardi dal farvi cadere nelle mie mani.

Ciò detto uscí, attraversò il campo degli spagnuoli senza guardare né a destra né a manca, guadagnò il cortile, s'inerpicò sugli avanzi delle tettoie e rientrò nella stanza, tranquillo come era prima uscito.

Than-Kiú, vedendolo, gli era mossa incontro. La povera fanciulla era ancora pallidissima ed estremamente commossa.

— Hang, — mormorò. — Ritorni per non lasciarci piú, è vero?

— Sí, ma forse Romero è perduto per te e per l'insurrezione, — rispose il chinese, con accento scoraggiato. — Credo forse che non ci rimanga che di farci uccidere. Dorme sempre?

— Sí, ma temo che sia peggiorato... la febbre lo tormenta e poco fa parlava come un delirante.

— Veglia su di lui. Chissà?... Forse non tutto è ancora perduto.

— Che cosa...

— Taci!...

Hang-Tu aveva prese le mani della fanciulla, come per invitarla a non fare il menomo gesto, e si era curvato innanzi ascoltando attentamente. Il suo udito acutissimo aveva raccolto un lontano muggito che pareva emesso da una tromba di guerra delle bande chinesi.

Abbandonò precipitosamente Than-Kiú e s'arrampicò sulla muraglia, raggiungendo la trave del tetto, sulla quale aveva vegliato tutta la notte.

I suoi occhi, che potevano sfidare un cannocchiale, percorsero rapidamente la pianura che si estendeva al di là della grande foresta e laggiú, in mezzo alle piantagioni mezze distrutte, vide delle armi luccicanti sotto i primi raggi del sole.

— Insorti o spagnuoli? — si chiese, con estrema ansietà.

Guardò piú attentamente e vide due bande di cavalieri che si dirigevano, a briglia sciolta, verso il bosco.

Quantunque fossero ancora assai lontani, distinse in quei cavalieri dei chinesi e dei tagali.

— I soccorsi giungono!... — esclamò Hang, mentre un lampo di gioia gli balenava negli occhi. — Credo, maggiore d'Alcazar, che tu abbia perduto una gran bella carta.

Ridiscese subito nella stanza, gridando:

— Tutti in piedi. Bruciamo le ultime cartucce.

I suoi uomini si erano precipitosamente alzati, credendo che il nemico si preparasse ad assalirli. Solamente Romero era rimasto sul suo letto. La febbre lo aveva ripreso ed il disgraziato delirava, piú non ascoltando la voce di Than-Kiú.

— Amici, — disse Hang — i nostri corrieri ci conducono i soccorsi attesi e si preparano ad assalire gli spagnuoli alle spalle. Cerchiamo di tenere occupato il nemico onde non ci sfugga.

Si slanciò verso la prima finestra col fucile in mano e sparò contro le sentinelle che vegliavano sulle trincee. I suoi compagni s'affrettarono ad imitarlo, senza piú risparmiare le cariche.

Gli spagnuoli per un po' li lasciarono fare, ma vedendo che il fuoco aumentava sempre e che le palle cominciavano ad importunarli, si disposero in colonna di bersaglieri, rispondendo con pari vigore.

Quelle detonazioni avevano due scopi per Hang-Tu: attirare l'attenzione delle bande nel caso che non fossero guidate dai due meticci ed impedire al nemico di udire lo scalpitío ed i nitriti dei cavalli.

Le sue speranza riuscirono pienamente, poiché dieci minuti dopo, mentre gli spagnuoli, entusiasmati dalla lotta, cominciavano ad avvicinarsi alla casa per tentare un assalto decisivo, si udirono improvvisamente a echeggiare nella foresta urla feroci.

Poco dopo una colonna di cavalieri piombava, con una carica irresistibile, alle spalle del nemico, sciabolando i piú vicini.

Il maggiore d'Alcazar, che era accorso per organizzare la resistenza, tentò, alla testa di quindici o venti cavalieri che teneva in riserva nel bosco, di ributtarli con un contro-attacco del pari impetuoso, ma fu travolto. Duecento insorti, ben montati e meglio armati, guidati dai due corrieri, si erano precipitati in mezzo a loro.

Ogni resistenza era inutile, contro forze cosí schiaccianti. Gli spagnuoli, presi fra due fuochi, dopo un inutile tentativo di resistenza si erano sbandati in tutte le direzioni, lasciando otto o dieci di loro a terra.

Il maggiore d'Alcazar, che era stato solamente scavalcato, aveva avuto il tempo di balzare sul destriero di uno dei suoi uomini che era caduto con un colpo di lancia nel petto, e dopo d'aver respinto gli insorti piú vicini con un magnifico mulinello della sua sciabola, aveva pure cercato di battere in ritirata, scaricando la sua rivoltella, ma Hang-Tu non lo aveva perduto di vista. Con un salto da tigre era balzato nel cortile e si era precipitato sul campo della lotta.

Vedendo il suo mortale nemico in procinto di salvarsi, puntò rapidamente il fucile e fece fuoco sul cavallo.

La povera bestia, trapassata da parte a parte, s'inalberò bruscamente, poi cadde di quarto trascinando nella caduta il cavaliere.

I chinesi ed i tagali delle bande, i quali seguendo i loro sanguinari istinti avevano già decapitato i morti ed i moribondi per portarne in trionfo le teste, si gettarono sul maggiore per finirlo, ma Hang li aveva raggiunti, tuonando:

— Guai a chi lo tocca! Quest'uomo è mio!...

Poi vedendo che esitavano ad obbedirlo, timorosi che venisse strappata loro la preda, si era gettato in mezzo a quei feroci combattenti, respingendoli a colpi di calcio di fucile.

— Io sono Hang-Tu, — gridò, — capo degli uomini gialli e delle società segrete chinesi. Sventura a chi non mi obbedisce.

Poi s'avvicinò al maggiore, e mentre gl'insorti, udendo pronunciare quelle parole con un tono di minaccia, s'affrettavano a retrocedere, lo rialzò dicendogli:

— Avete perduto la partita: morrete.

Un sorriso sprezzante comparve sulle labbra del fiero soldato.

— Vi mostrerò come sanno morire gli uomini bianchi, — rispose.

— Non dubito del vostro coraggio e ho avuto occasione di ammirarlo, maggiore d'Alcazar.

— La vostra ammirazione per me non v'impedisce però di uccidermi, — rispose lo spagnuolo, con ironia.

— Apprezzo anch'io gli uomini valorosi, e se voi non vi chiamaste d'Alcazar, Hang-Tu vi avrebbe detto a quest'ora: andate, siete libero, perché siete un prode. Hang-Tu, disgraziatamente per voi, mentre i vostri soldati distruggevano le piantagioni mie e di Romero ed incendiavano le nostre case e mi costringevano a fuggire nella mia patria per salvare la vita, quando invece l'insurrezione aveva bisogno di capi risoluti, aveva giurato di uccidervi e Hang, ve lo dissi, non perdona.

— Ebbene, vendicatevi.

Il chinese pareva che non lo avesse udito, poiché poco dopo, aveva aggiunto con voce cupa:

— E poi, vi è una donna fra noi.

Il maggiore aveva rialzato prontamente il capo, guardando il chinese.

— Una donna, — disse. — Volete vendicare il rifiuto da me dato a Romero Ruiz, di accordargli la mano di mia figlia.

— Non parlo della donna bianca, — rispose Hang. — Parlo di Than-Kiú.

— Than-Kiú?... Non è forse il nome di quella giovane chinese che ho veduto nel chiosco del mio giardino, la sera che vi ho salvato?...

— Sí, — rispose Hang, la cui fronte si era oscurata a quel ricordo.

— E quella fanciulla mi odia?... — chiese d'Alcazar sempre piú stupito.

— Se non voi, vostra figlia.

— È una rivale di Teresita?...

— Che importa a voi il saperlo, se fra pochi minuti sarete morto?... — disse Hang-Tu.

— È vero, — rispose il maggiore posandosi una mano sulla fronte, come se volesse allontanare un importuno pensiero. — Fra poco mia figlia rimarrà orfana.

Hang-Tu, udendo quelle parole, aveva trasalito. Pareva che volesse pronunciare una parola, un ordine che poteva strappare alla morte il padre della fanciulla bianca, ma i suoi sguardi si erano volti lentamente verso la casa ed avevano scorto, ad una delle finestre, il pallido e leggiadro volto di Than-Kiú. Le sue labbra, pronte a lasciare sfuggire quella parola, si erano ora tosto rinchiuse.

— Orsú, uccidetemi, — disse il maggiore, rizzando l'alta statura. — I vostri uomini sono impazienti di vedere il mio sangue.

Hang-Tu non rispondeva. Pareva una lotta terribile si combattesse nel suo cuore e guardava sempre Than-Kiú che rimaneva immobile accanto alla finestra.

Ad un tratto si scosse, come se avesse preso una decisione.

— Bisogna che tu muoia, — disse. — Non sono piú io che lo desidero, è il destino che lo esige.

Poi volgendosi verso le bande che lo attorniavano, continuò:

— Vi abbandono quest'uomo.

S'allontanò di alcuni passi, si sedette sul tronco d'un albero, si prese la testa fra le mani e non parlò piú. Pareva che non avesse nemmeno udito le urla di gioia feroce lanciate dalle bande, nel ricevere quel comando, che doveva spegnere uno dei piú valorosi soldati della vecchia Spagna.