Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)/Dosso e Batista

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Girolamo Santacroce Giovanni Antonio Licinio da Pordenone

DOSSO E BATISTA

Ferraresi Pittori

Benché il cielo desse forma pittura nelle linee e la facesse conoscere per poesia muta, non restò egli però per tempo alcuno di congiugnere insieme la pittura e la poesia. Acciò che se l’una stesse muta, l’altra ragionasse, et il pennello con l’artifizio e co’ gesti maravigliosi mostrasse quello che gli dettasse la penna e formasse nella pittura le invenzioni che se le convengono. E per questo insieme col dono che a Ferrara fecero i fati de la Natività del divino Messer Lodovico Ariosto, accompagnando la penna al pennello, volsero che e’ nascesse ancora il Dosso pittore ferrarese; il quale, se bene non fu sí raro tra i pittori come lo Ariosto tra’ poeti, fece pure molte cose nella arte, che da molti sono celebrate, et in Ferrara massimamente. Laonde meritò che il poeta, amico e domestico suo facesse di lui memoria onorata ne’ chiarissimi scritti suoi. Di maniera che al nome del Dosso diede piú nome la penna di Messer Lodovico universalmente, che non avevano fatto i pennelli et i colori che Dosso consumò in tutta sua vita, ventura e grazia infinita di quegli che sono da sí grandi uomini nominati. Perché il valore delle dotte penne loro sforza infiniti a dar credenza alle lode di quelli, ancora che perfettamente non le meritano.

Era il Dosso ferrarese pittor molto amato dal Duca Alfonso di Ferrara, prima per le sue qualità nell’arte della pittura e poi per le sue piacevolezze, che molto al duca dilettavano. Ebbe in Lombardia titolo da tutti i pittori di fare i paesi meglio che alcuno altro che di quella pratica operasse, o in muro o in olio o a guazzo, massimamente da poi che la maniera tedesca s’è veduta. Fece in Ferrara nella chiesa Catedrale una tavola con figure a olio, tenuta assai bella, e lavorò al duca nel palazzo infinite stanze insieme con un suo fratello detto Batista, i quali sempre furono nimici l’uno dello altro, ancora che lavorassero insieme. Eglino fecero di chiaro e scuro il cortile del Duca di Ferrara con le storie di Ercole e dipinsero una infinità d’ignudi per quelle mura. E similmente per tutta quella città lavorarono, et in muro et in tavola molte cose dipinsero. Fecero in Modona nel Duomo di loro mano una tavola e si condussero a Trento per il cardinale a lavorare il palazzo suo in compagnia d’altri pittori, e quivi fecero molte cose di lor mano. Furono appresso condotti a Pesero per il Duca Francesco Maria e particularmente in compagnia di Girolamo Genga, del quale, avendone al presente la occasione, mi pare mio debito fare quella menzione che alle sue rare virtú si conviene. Fu adunque costui da Urbino, molto amico del graziosissimo Raffaello, et aiutato molto da lui mentre che esso Girolamo fece a Roma in via Giulia, alla Compagnia de’ Sanesi, la tavola della Resurressione di Cristo, opera certo molto lodata. Lavorò di poi a Cesena e vi fece una tavola giudicata cosa bellissima, et altre ancora per tutta Romagna. Seguitò nello esilio Francesco Maria Duca d’Urbino, da ’l quale poi tornato in istato fu adoperato per architettore in molte cose de ’l suo dominio. E particularmente al Poggio detto la Imperiale, sopra Pesero, dove egli fece fare bellissime fabbriche. Le quali co’ disegni et ordini suoi furono dipinte da Raffaello da ’l Borgo, da Francesco da Furlí, da Camillo Mantovano e da altri pittori come i Dossi da Ferrara, et in ultimo da Bronzino fiorentino. Le quali opere furono cagione che, dopo la morte del predetto duca, il suo figliuolo Guidobaldo facessi fare, per ordine pure di Girolamo Genga la sepoltura di marmo che e’ volle fare a suo padre, da Bartolomeo Ammannati da Settignano, le sculture del quale sono oggi coperte in Fiorenza nella Nunziata a la cappella di San Niccolò, in una sepoltuta di marmo. Il medesimo Genga condusse ad Urbino Batista Veniziano, il quale per il Duca Guidobaldo fece in fresco la volta della cappella maggiore del duomo. Ma essendo vivi ciascuno di questi, e lavorando felicemente, non mi accade piú ragionarne; e però ritornando a’ Dossi, dico che e’ condussero a fine una delle dette stanze della Imperiale, la quale fu poi gittata in terra, per non piacere al duca e rifatta da gli altri maestri che erano quivi.

A l’ultimo fecero in Faenza nel Duomo al Cavaliere de’ Buosi una bellissima tavola d’un Cristo che disputa nel tempio, nella quale veramente vinsero se stessi, per la maniera nuova che usarono in quella. Finalmente divenuto Dosso già vecchio e non molto lavorando, ebbe continuo dal Duca Alfonso emolumento e provvisione; benché egli per un male che gli venne indebilito, in breve tempo passò di questa vita. Rimase Batista suo fratello che vive ancora, il quale molte cose fece dopo la morte di Dosso, mantenendosi in buono stato. Fu sepellito Dosso in Ferrara patria sua. E la principalissima laude sua fu il dipignere bene i paesi. Fu in questi tempi medesimi il Bernazzano Milanese eccellentissimo per fare paesi et erbe et animali, cosí terrestri, come volatili et acquatici; non diede molto opera alle figure, e come quello che si trovava imperfetto, fece compagnia con Cesare da Sesto, che le faceva molto bene e di buona maniera. Dicesi che il Bernazzano fece in un cortile a fresco certi paesi molto belli e tanto bene imitati, che essendovi dipinto un fragoleto pieno di fragole e mature et acerbe e fiorite, alcuni pavoni ingannati dalla falsa apparenzia di quelle, tanto spesso tornarono a beccarle, che bucarono la calcina dello intonaco.