Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)/Taddeo Gaddi

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Simon Sanese Andrea di Cione Orcagna

TADDEO GADDI

Pittor Fiorentino

Egli è veramente una utile e bella cosa, quando si vede in qualche paese premiata una virtú largamente, et onorato colui che l’ha, perché infiniti ingegni, che talvolta si dormirebbono, eccitati da questo invito, si sforzano con ogni industria non solamente di apprendere quella, ma di venirvi dentro eccellenti, per sollevarsi a qualche buon grado o di onore o di facultà. E per la gloria e per l’utile si dispongono certo talmente che e’ non si curano di que’ disagi e di quelle fatiche che si patiscono nello operare, anzi esercitandosi del continuo onorano le patrie loro e le altrui in una maniera che bene spesso arricchiscono i loro descendenti e danno principio alla nobiltà delle loro famiglie, nella medesima guisa che fece Taddeo di Gaddo Gaddi pittore fiorentino. Il quale, dopo la morte di Giotto suo maestro, rimase valente nella pittura e di giudizio e d’ingegno grande sopra ogni altro suo condiscepolo, come assai manifestamente dimostrano l’opere. Nelle quali si vede una certa facilità avuta in que’ tempi da la natura molto piú che da lo studio della arte, come in Giotto ancora si conosce. Sono in Fiorenza gran parte delle opere di costui, e particularmente nella chiesa di Santa Croce, dove ne’ suoi principii lavorò la capella della sagrestia insieme co’ suoi compagni già discepoli del morto Giotto. E nella cappella de’ Baroncelli, dove il predetto Giotto avea fatto la tavola a tempera, lavorò Taddeo a fresco nel muro alcune storie di Nostra Donna, che sono state tenute belle. Dipinse ancora, sopra la porta della sagrestia, la storia di Cristo disputante co’ dottori nel tempio, la quale fu mezza rovinata piú tempo fa per mettere una cornice di pietra sopra la detta porta. Nella medesima chiesa dipinse a fresco la capella de’ Bellacci e quella di Santo Andrea, allato ad una delle tre di Giotto, et in questa fece Iesú Cristo quando chiama Andrea e Pietro da le reti e la Crocifissione di esso Apostolo, cosa veramente et allora ch’ella fu finita e ne’ giorni presenti ancora commendata e lodata molto. Fece sopra la porta del fianco, sotto la sepoltura di Carlo Marsupini aretino, un Cristo morto con le Marie, lavorato a fresco, che fu lodatissimo. E sotto il tramezzo che divide la chiesa, a man sinistra sopra il Crucifisso di Donato, dipinse a fresco una storia di Santo Francesco, d’un miracolo che e’ fece cadendo un fanciullo da un verone e morendo subito, e Santo Francesco in aria apparendogli lo risucita. Et in questa storia ritrasse Giotto suo maestro, Dante Alighieri e Guido Cavalcanti, de’ quali sempre fu amicissimo. Per la detta chiesa fece ancora in diversi luoghi molte figure che si riconoscono dagli artefici. Et alla Compagnia del Tempio, il tabernacolo in sul canto della via del Crocifisso, nel quale dipinse un bellissimo Deposto di Croce. Nel chiostro di Santo Spirito lavorò due storie negli archetti allato al capitolo, molto ben coloriti, ne l’uno de’ quali fece quando Giuda vende Cristo, e nell’altro figurò la Cena de gli Apostoli. E nel medesimo luogo, sopra la porta del refettorio, dipinse un Crocifisso con alcuni santi, faccendo conoscere a gli altri che quivi lavorarono in tale arte, sé essere de’ veri e buoni imitatori della maniera di Giotto avuta da lui in grandissima venerazione. Dipinse a Santo Stefano del Ponte Vecchio la tavola e la predella dello altare maggiore, con grandissima diligenzia; e nello oratorio de San Michele in Orto, lavorò molto bene una tavola d’un Cristo morto che dalle Marie è pianto e da Nicodemo riposto nella sepoltura molto devotamente. Nella chiesa de’ frati de’ Servi dipinse la capella di San Nicolò di quegli del palagio, con istorie di quel santo, dove con ottimo giudizio e grazia, per una barca quivi dipinta, dimostrò assai chiaramente come egli aveva notizia intera del tempestoso agitar del mare e della furia della fortuna. Nella quale, mentre che i marinari votano la nave et in mare gettano le mercanzie, appare in aria Santo Niccolò e gli libera da quel pericolo, opera certo molto lodata. Fu condotto a Pisa dalla comunità, dove nel Campo Santo fece in istorie tutta la vita del pazientissimo Giobbe, e nella medesima città, nel chiostro di San Francesco, una Nostra Donna con alcuni santi, la quale è con molta diligenza lavorata e condotta. Ritornò a Fiorenza e dipinse il tribunale della Mercatanzia Vecchia, nella quale istoria con poetica invenzione figurò il tribunale de’ sei uomini, magistrato di detta città, i quali stanno a vedere cavare la lingua alla Bugia dalla Verità, la quale è vestita di velo su lo ignudo, e la Bugia ammantata di nero, scritto sotto a queste figure i versi che seguono:

La pura Verità per ubbidire
Alla santa Giustizia che non tarda,
Cava la lingua a la falsa Bugiarda.

E sotto la storia è uno epigrama in nome suo, cosí scritto:

Taddeo dipinse questo bel rigestro,
Discepol fu di Giotto il buon maestro.

Fu fattogli allogazione in Arezzo di alcuni lavori in fresco, i quali ridusse Taddeo con Giovanni da Milano suo discepolo a l’ultima perfezzione; e di questi veggiamo ancora, nella Compagnia dello Spirito Santo, una storia nella faccia dello altar maggiore, dentrovi la Passione di Cristo con molti cavalli et i ladroni in croce; cosa tenuta bellissima per la considerazione che e’ mostrò nel metterlo in croce. Dove sono alcune figure che, vivacissimamente espresse, dimostrano la rabbia di essi Giudei, tirandolo alcuni per le gambe con una fune, altri porgendo la spugna, et altri in varie attitudini, come il Longino che gli passa il costato et i tre soldati che si giuocano la veste, nel viso de’ quali si scorge la speranza et il timore nel trarre i dadi. Il primo di costoro armato sta in attitudine disagiosa aspettando la volta sua, e si mostra tanto bramoso di tirare che e’ non pare che senta il disagio. L’altro, inarcando le ciglia, con la bocca e con gli occhi aperti, guarda i dadi per sospetto quasi di fraude, e chiaramente dimostra a chi lo considera il bisogno e la voglia che egli ha di vincere. Il terzo, che tira i dadi, fatto piano de la veste in terra co ’l braccio tremolante pare che accenni ghignando volere piantargli. Similmente per le facce della chiesa si veggono storie di Santo Giovanni Evangelista, et altre cose per la città fatte da Taddeo, che si riconoscono per di sua mano da chi ha giudizio nell’arte. Veggonsi ancora oggi nel vescovado, dietro allo altare maggiore, alcune storie di Santo Giovanni Batista, le quali con tanto maravigliosa maniera e disegno sono lavorate, che lo fanno tenere mirabile. In Santo Agostino, alla cappella di Santo Sebastiano, allato alla sagrestia, fece storie di esso martire et una Disputa di Cristo con i dottori, tanto ben lavorata e finita, che è miracolo a vedere la bellezza ne’ cangianti varii e la grazia ne’ colori di queste opere, finite per eccellenza. In Casentino, transferitosi al Sasso della Vernia, dipinse la cappella dove San Francesco ricevette le stimite et Iacopo di Casentino divenne suo discepolo in queste gita. Finita tale opera, insieme con Giovanni Milanese se ne tornò a Fiorenza, dove nella città e di fuori, fecero tavole e pitture assaissime e di grande importanza. Et in processo di tempo lavorò e guadagnò tanto, che faccendo capitale delle facultà sopra ogni altro che in quell’arte si esercitasse ne’ tempi suoi diede principio alla ricchezza et alla nobiltà della sua famiglia.

Fu Taddeo tenuto savio e molto discreto, e da’ suoi cittadini grandemente onorato in vita. Co’ discepoli suoi fu piacevole e faceto, e per questo amato da loro tenerissimamente. Dipinse in Santa Maria Novella di Fiorenza il capitolo di quel convento, allogatogli dal priore di quello con la invenzione delle pitture che e’ ci voleva. Bene è vero che per essere il lavoro grande e per essersi scoperto in quel tempo che e’ si facevano i ponti, il capitolo di Santo Spirito con grandissima fama di Simone Memmi che lo aveva dipinto, venne voglia al detto priore di chiamarlo a la metà di questa opera, e lo conferí con Taddeo; il quale ne fu molto contento, perché sommamente amava Simone come compagno et amico suo, allevatosi con esso lui fanciulletto a’ servizii di Giotto et inoltre conosceva e pregiava molto la sua virtú. Animi veramente gentili e spiriti nobilissimi, che senza emulazione o ambizione alcuna fraternamente amavano l’un l’altro, godendo dello onore e del pregio altrui come del suo proprio. Fu adunque spartito il lavoro, dandone tre facciate a Simone (come io dissi nella sua vita) et a Taddeo la facciata sinistra e tutta la volta, la quale fu divisa da lui in quattro spicchi o quarte, secondo gli andari di essa volta, e nel primo fece la Resurressione di Cristo, dove pare che e’ volesse tentare che lo splendore del corpo glorificato facesse lume, che apparisce ancora in una città et in alcuni scogli di monti; ma non seguitò di farlo nelle figure e nel resto, dubitandosi forse di non lo potere condurre, per la difficultà che e’ vi conosceva. Nel secondo spicchio fece Iesú Cristo che libera San Pietro da ’l naufragio, dove sono gli Apostoli che guidano la barca certamente molto begli; e fra le altre cose vi fece uno che in su la riva del mare pesca a lenza, con grandissima affezzione, cosa fatta prima da Giotto in Roma, nel musaico della nave di Santo Pietro. Nel terzo dipinse la Ascensione di Cristo e nello ultimo la Venuta dello Spirito Santo, dove sono i Giudei a la porta che cercano volere entrare, e vi si veggono molto belle attitudini di figure. Nella faccia di sotto sono le sette Scienzie, con i caratteri di quelle, cioè la Gramatica in abito d’una donna con una porta, che insegna ad un putto, e sotto lei a sedere Donato scrittore. Di quella segue la Rettorica et a’ piè di quella una figura che ha due mani a’ libri et una terza mano si trae di sotto il mantello e se la tiene appresso alla bocca. La Logica ha il serpente in mano sotto di un velo, et a’ piè suoi Zenone Eleate che legge. La Aritmetica tiene le tavole dello abbaco, e sotto lei siede Abramo inventor di quelle. La Musica ha gli instrumenti da sonare, e sotto lei siede Tubalcaino che batte con due martelli sopra una ancudine, e sta con gli orecchi attenti a quel suono. La Geometria ha la squadra e le seste, et a’ suoi piedi siede Euclide. La Astrologia ha la sfera del cielo in mano, et a’ suoi piedi siede Atalante. Da l’altra parte seggono sette Scienze Teologiche, e ciascuna ha sotto di sé quello stato o condizione di uomini che piú se le conviene. Nel mezzo e piú alto è San Tomaso d’Aquino che di tutte fu adornato, e tiene legati sotto i suoi piedi gli eretici Ario, Sabellio et Averrois, et intorno di lui sono Mosè, Paulo e Giovanni Evangelista et alcune altre figure, sopra le quali sono le quattro Virtú Cardinali e le tre Teologiche, con altre infinite considerazioni, espresse da Taddeo con disegno e grazia non piccola, e puossi dire di questa pittura che ella è la piú conservata e la piú intesa di tutte quante le cose sue. Nella medesima Santa Maria Novella, sopra il tramezzo della chiesa, fece ancora un Santo Geronimo vestito da cardinale, avendo egli divozione in quel santo e per protettore di sua casa eleggendolo, sotto il quale Agnolo suo figliuolo, dopo la morte di Taddeo, fece fare una lapida di marmo con l’arme loro, per sepoltura de’ discendenti. A’ quali San Geronimo Cardinale, per la bontà di Taddeo, ha impetrato da Dio la elezzione de’ cherici di Camera Apostolica, de’ vescovi et in ultimo del cardinale. I quali tutti nell’arte della pittura e della scoltura hanno sempre stimato i begli ingegni, e quegli con ogni sforzo loro favorito. Finalmente essendo Taddeo venuto in età d’anni cinquanta, d’atrocissima febbre percosso, passò di questa vita l’anno MCCCL, lasciando Agnolo suo figliuolo e Giovanni che attendessero alla pittura, raccomandandoli a Iacopo di Casentino per li costumi del vivere, et a Giovanni da Milano per gli ammaestramenti dell’arte per il che Giovanni Milanesi, mentre che insegnava loro, fece una tavola, che è ancora oggi posta in Santa Croce in Fiorenza, che fu fatta allo altare di San Gherardo da Villamagna XIIII anni dopo la morte di Taddeo suo maestro. Il quale, con quella facilità che piú poteva, insegnò sempre i modi della pittura a’ discepoli di esso.

Mantenne continuamente Taddeo la maniera di Giotto né però molto la migliorò, salvo che il colorito suo fu piú fresco e piú vivace che quel di Giotto, avendo egli tanto atteso a migliorare tutte le altre parti e l’altre difficultà di questa arte. Et ancora che a questa badasse, non poté però aver grazia di farlo. Laonde avendo veduto Taddeo quel che era facilitato in Giotto, et imparatolo, poté aver tempo di aggiugnere facilmente e di migliorare quella nel colorito. Fu egli con tenerissime lagrime da Agnolo e da Giovanni suoi figliuoli pianto, et in Santa Croce nel primo chiostro datogli sepoltura, non cessando infiniti amici et artefici compor sonetti et epigrammi in sua lode, lodandolo ne’ costumi, nel giudicio e nell’arte, tanto quanto ancora lo lodarono nella esecuzione buona ch’e’ diede al campanile di Santa Maria del Fiore del disegno lasciatogli da Giotto suo maestro. Il quale avendo fatto la pianta, andò di altezza braccia CXLIIII, e di maniera si murò, che non può piú commettersi pietre con tanta diligenza, et è stimato la piú bella torre per ornamento e per spesa del mondo. Lo epitaffio che se li fece fu questo:

HOC VNO DICI POTERAT FLORENTIA FELIX
VIVENTE AT CERTA EST NON POTVISSE MORI.