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Lettera di Giovanni Alfredo Cesareo a Mario Rapisardi (1 ottobre 1896)

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Giovanni Alfredo Cesareo

1889 lettere letteratura Lettera di Giovanni Alfredo Cesareo a Mario Rapisardi Intestazione 18 settembre 2008 75% lettere

Roma,20 febbraio 1889

Mio carissimo,

Sono persuaso che tu avresti potuto tradurre metricamente il galliambo meglio di chiunque; ma, parmi, non dovevi affermare in nota che il galliambo era intraducibile metricamente: questo io ho notato e dovevo notare.

Poco male del resto se, come ho scritto e come ripeto a tutti, tu sei riuscito, comunque abbi tradotto, a tradurre miracolosamente.

A me secca e dispiace più che a te, se possibile, di questa specie d’oscura diffamazione che tu hai lasciato germinare e lasci crescere a torno a te.

Ma qui bisogna, amico mio, che io ti ripeta quel che credo d’averti detto altre volte; anche a costo di farmi pigliare su’ corbelli.

Tu hai tanto ingegno e hai fatto tanto che, a quest’ora, di diritto, dovresti occupare il primo posto nella poesia contemporanea: chi ha letto le cose tue, lo sa.

Ho parlato più e più volte di ciò col Graf, con lo Zumbini, col Trezza, con gli uomini ch’io stimo migliori giudici in fatto d’arte: tutti affermano la stessa cosa.

Ma bisogna che tu ti persuada che la tua generazione, quella fiorita dal ’60 a ora, era ed è una generazione di uomini punto facinorosi e punto abili, che si lasciarono a poco a poco, per indolenza o paura, levar la mano da quel p......... accademico del Carducci, soltanto perchè strillava più di loro.

Il Carducci è arrivato al punto che comanda a bacchetta in Bologna, in Roma, nei ministeri, a Corte: gli avete lasciato conquistare una popolarità immeritata, ma reale, quando bastava un pò di fegato per impedirvelo: e ora, che pretendete?

Chiunque se la pigliasse col Carducci in questo momento, n’avrebbe il danno e le beffe: ed è opera stolta lottare con uno che, per la forza delle circostanze procurategli anche da’ suoi nemici, è diventato formidabile a chiunque.

Se, a suo tempo, un attacco chiaro, documentato, violento, di critica letteraria e di polemica personale, ch’è quella soltanto che persuade la gente, o anche un buon colpo di spada, gli avesse mozzate le ali, sta certo ch’egli a quest’ora non sarebbe arrivato così alto.

Io ho sempre visto che il Carducci a chi gli ha mostrato i denti davvero e sopra tutto quando fiuta il pericolo di pagar di persona, non ha mai osato contraddire.

Dall’Imbriani che lo qualificò indegno di esser nominato dalla gente onesta, alla Tribuna dell’altra sera che gli dava di cerretano e peggio, tutti hanno potuto dire talora al Carducci, quando questi era persuaso che aveva da fare con gente capace di pigliarlo per il collo senza tanti complimenti.

Io so che non ostante più di un tiro che io, da tempi immemorabili, ho fatto all’illustre uomo, con me egli non se l’è mai presa: anzi ha dimostrato spesso il desiderio di conoscermi; ma io ho sempre rinunziato a un tale onore.

Per questo: che, quando mi parrà opportuno, del Carducci, poeta, critico e uomo, io voglio scrivere, a modo mio.

Il Carducci è un molto abile polemista, e io non voglio dargli buono in mano, per qualunque occasione, contro di me.

Ora tutto è in mano al Carducci, il quale, come tu sai, non è eccessivamente tenero di te. La Nuova Antologia? Vi spadroneggia il Chiarini; come fare a farsi proporre la stampa d’un lavoro tuo?

La tua ora, certo, verrà; e sarà tanto più luminosa quanto più ingiusta è la noncuranza premeditata d’adesso.

Quando la nostra generazione, spassionata e spregiudicata verrà su, saprà certamente rimettere le cose a posto.

E io ne vedo già i primi segni.

Del resto, quando non fosse altro che per me, a cui tutti i cosi detti poeti giovani, il Marradi, il Mazzoni, il Fleres, quelli che saranno, in somma, fanno l’onore di dimostrar molta stima, i criteri su la letteratura odierna saranno di certo mutati. Chi vivrà, vedrà.

Quanto al giudizio del Setti, procurerò, per farti piacere, di lavargli, di passata, la testa.

Costui, quando io pubblicai le Occidentali mi avventò un’articolessa rispettosa, ma dottrinaria e piena d’osservazioni e d’appunti e di pedanterie a mio danno: io avevo già conciato il Nencioni, e mi contentai di fargli rispondere da un ragazzo di liceo, che bastò per altro a schiacciarlo.

Ma lasciamo andare le malinconie.

Sono proprio contento che tu lavori di proposito, e aspetto con ansia il giornale del Panzacchi, dove sarà pubblicata la roba tua.

A proposito; ma poi che tu vuoi stare a ogni modo in Sicilia, perchè fra te, il Ciampoli e quanti altri d’ottimo, di buono e anche di mediocre c’è costì e fuori di costì, non cercate di compilare un giornale che abbia un po’di senso comune?

Se vedi il Ciampoli, ti prego di salutarmelo caramente.

A te un abbraccio del tuo

Cesareo