Lettere (Andreini)/Lettera CXXXV

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CXXXV. De i pensieri strani de gli amanti.

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CXXXV. De i pensieri strani de gli amanti.
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De i pensieri i strani de gli amanti.


N
Ascondetevi pure à gli occhi miei (crudelissima donna) perch’io (lasso) non vegga quanto vorrei il vostro caro sembiante, che non sarà però, che tanta io non iscuopra della vostra bellezza, quanta basti à tormentare ogni mio spirito; e quand’anche vi celaste interamente à questi lumi, sappiate, che non potreste vietar alla mia mente, ch’ella à voglia sua non vi contemplasse, e contemplandovi non v’amasse. Ohime, che à non

[p. 135r modifica]amarvi bisognerebbe non conoscervi. Non v’ha alcuno, che vi conosca, che non v’ami. Maledetta sia pur la mia conoscenza, poich’ella costa così cara all’infiammato cuor mio: ma folle, perche maledico io la mia conoscenza, s’ella converte dolcemente in gioia ogni mia noia, & ogni mio amoroso tormento? s’Amor non mi perdona questo così grave fallo egli haverà grandissima ragione; ma, s’io mi pento d’esser pentito, non basta questo a farvi impetrar perdono? mi pento dunque e del pentimento, e del maledire, e giuro, che mentre haverò vita non rimarrò di servirvi, conoscend’io che le perdite nell’amarvi sono acquisti. Ben mi duole d’esser ridotto per amarvi à tale, ch’io non sò, s’i’ debba desiderar di vedervi, o nò, essendo che la presenza vostra m’arde, e l’assenza m’uccide. S’io voglio fuggir la morte bisogna, ch’io brami, e corra al martir dell’incendio, così dunque per tema di morire mi getto nel fuoco, talmente che la mutation del male mi serve per rimedio al male, e chiamo poi felice la mia sorte? stolto, ch’io sono, bisogna, bisogna al fine discior questi lacci, e romper in tutto queste amorose ritorte, tutto ch’esse meritino d’incatenar le anime più selvagge, perche bisogna pur ultimamente considerare, ch’è privo di giuditio colui, che potendo viver libero procura di languir in servitù. E forse così difficile il liberarsi dalla potenza d’Amore? Amore altro non è che un furor pazzo, ilquale subito finisce che l’huomo diventa savio. Non è pazzia la nostra, se in un fuoco imaginato ardiamo, sì che più non ardiamo in un reale? non è pazzia [p. 135v modifica]la nostra, se nuovi Issioni ingannati dalla falsa imagine di una nube, quella chiamiamo nostro fuoco, nostra luce, nostro Sole, e nostr’anima? non è pazzia la nostra, se non havendo noi nè più caro, nè più pretioso dono della libertà, quello misera, e volontariamente perdiamo? Tre, e quattro volte possiam chiamar infelice colui, che perdendo libertà, non perde ancor la vita? ma che? Tutti i pensieri humani, che alle cose di questo mondo intendono son pieni di pazzia, e d’errore; e tra tutti questi errori, e tra tutte queste vanità mondane, niuno è più dolce, niuno è più grato dell’amar costantemente una rara bellezza. Amiamo dunque amiamo sì, che venga con noi la nostra fiamma sotterra. Sopportiam volentieri quel giogo, ch’è sol sostenuto da i cuori più leggiadri. Sofferiam senza gemiti il rigor d’un bel volto, e se non possiamo esser savi, almeno siam costanti. Io pur prometto, e giuro ad Amore, à me stesso, & à voi mia bellissima Signora d’esser tanto costante in amarvi, che dopò ’l fine de’ giorni miei si dirà. COSTANZA è stata la morte di N.