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Lettere (Andreini)/Lettera LXXXIX

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LXXXIX. Simili.

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Lettera LXXXVIII Lettera XC
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Simili.


N
ON dee (ò bellissima Donna) lo spirito mio dolersi, d’ubbidire à vostri comandamenti, poiche con quelli tanto l’honorate, e certo ch’egli non se ne duole, anzi che non hà cosa, per cui più si pregi, e tanto più gode l’anima innamorata del dolce impero delle vostre leggi, che lontana da sì caro giogo, non trova cosa, che le piaccia, e non vivo contento, se non quanto muoio in me stesso, per viver soavemente in voi, e se alcuna volta in me vivo, me ne duole, conoscend’io, che vivendo in me, vivo come si vive in terra, e vivendo in voi vivo come si vive in Cielo. Non è dunque maraviglia, s’io amo più me in voi, che non amo me, in me stesso, e non è maraviglia, ancora s’io amo più voi, che me, e s’io ad altro non intendo, che

[p. 83v modifica]ad ubbidir al cenno de’ bei vostri occhi. Io son il corpo, e voi siete l’anima, non hà dubbio, che ’l corpo è tenuto à far quello, che l’anima sua gli impone. Quanto più dunque vi piacerà d’impiegarmi ne’ vostri servigi, tanto più mi parerà di ricever dono di felicità, e tanto più mi vedrete pronto in essi, quanto più mi comanderete. Sarei ancor pronto à trarmi il cuore, per sacrificarvelo quand’io conoscessi, ch’egli fosse degna vittima della vostra bellezza: ma qual cuore sarà mai degno d’un tanto bene? qual esca potrà meritare sì nobil fiamma? qual Fenice sarà mai degna dello splendor di così chiaro Sole? Piacciavi Signora mia d’infonder in me (che ben potete farlo) tanto di valore, ch’io meriti di sacrificarvi il cuore, d’arder in sì bel fuoco, d’affissarmi in sì lucido Sole, d’incenerirmi à suoi raggi, e di rinascer dal cener mio, per consumarmi di nuovo in quell’amato lume.