Lettere (Andreini)/Lettera LXXXVIII

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LXXXVIII. Scherzi d’honesto amante.

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LXXXVIII. Scherzi d’honesto amante.
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Scherzi d’honesto amante.


E
PUR convien’al fine, che armato di costanza, io mi risolva di vincer l’ostinatione de’ miei dolori. E giusto, ch’io lasci i tormenti, prima che attender, timido, che i tormenti mi lascino. Non sia vero, ch’i’ v’ami più, poiche l’amare senz’esser amato è proprio (al parer mio) un’arruotar il ferro, per uccidersi. Begli occhi, che per mio male foste troppo amabili, non sia più, che le fiamme delle vostre luci traggano da queste mie sì lunghi pianti: dalle bugiarde promesse de vostri sguardi nacque l’amor mio, poiche voi pietosamente guardandomi prometteste guiderdone al mio servire; dunque, se l’amor mio nacque dalle vostre promesse, non doverò esser biasimato, se mancando voi di promessa, io manco d’Amore. Se voi occhi bugiardi egualmente menteste con ogn’uno, e s’egualmente, vi fosse ogni servitù discara, havrei alcuna occasione d’escusar i miei sospiri, e di perseverar nelle amorose mie pene: ma sapend’io, che quanto sdegnate la mia servitù, tanto v’è caro il servir ad altrui, non posso non pregiarmi della mia sana risolutione, maledicendo sempre il mio tardo accorgimento. L’amar donna, ch’ami un’altro, e forse più, parmi che sia gran mancamento di generoso cuore. Non sia dunque vero, ch’io più mi lasci in preda alle lagrime, & al dolore.

[p. 83r modifica]Simulatrice donna, voglio che vediate, che quest’anima offesa ingiustamente, sà così ben odiare, come ben seppe amare. Se voi mostrate d’esser veramente donna con la volubiltà, io voglio mostrar d’esser veramente huomo con la ragione, laquale mi darà forza d’odiar quell’ingrata bellezza, che sola fù cagione d’ogni mio male, e mi sarà facile, se l’amai à torto, odiarla à ragione; e se voi crudelissima vi pregierete d’haver disprezzata la mia leal servitù, e la mia candida fede, potrebbe anch’esser, che in vece d’haver corona di gloria, haveste flagello di pentimento.