Lettere (Andreini)/Lettera XXX

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XXX. Della Volubiltà.

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Lettera XXIX Lettera XXXI
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Della Volubiltà.


C
HI m’havesse giurato nel principio dell’amorosa mia felicità, che voi haveste un pensiero così mutabile, & un cuor così facile ad esser piagato, certo, ch’io non havrei potuto crederlo giamai; ma che maraviglia sarebbe stata, quand’io non l’havessi ad altrui creduto, se (misero) tuttoche amaramente io ’l provi, non posso appena à me stesso crederlo? Ah, che grand’è così il desiderio, ch’io hò di vedervi senza colpa, che, se si può non creder quel che si crede, io son pronto per farlo, pur, che voi con una sola parola vogliate assecurarmi dell’amor vostro. Non vi sovviene, che quando voi gradiste la mia servitù, e che vi compiaceste d’esser non meno amante, che amata, non mi lasciaste giamai partir da voi senza prieghi, e (concedete, ch’io ’l dica) senza lagrime, perch’io mi conservassi vostro? non intendevano ad altro le vostre affettuose parole, che à stabilir fede nella mia fede. Non vi rammenta di quei cari stimoli, che sempre mi tenevate al fianco, perch’io non mutassi voglia? oh quante volte, hor in atto sdegnoso, hor in giocondo mi diceste; ah lusinghiero, sò ben io, che d’altra, che di me ti

[p. 26v modifica]compiaci; ma io nell’incostanza tua non hò da lamentarmi, che di me stessa, poich’io non hò voluto haver in mente, che gli huomini non sanno esser amanti, se non sono incostanti. queste, & altre più cose mi diceste, quando per mia ventura vi piacque d’amarmi, tuttavia vedete qual di noi è stato incostante, e ’nfedele. Io per me sò certo, sallo Amore, e lo sapete voi, che da quell’hora, ch’io elessi d’ardere, di vivere, e di morir vostro, non hò mai per qual si voglia occasione rivolto un minimo de’ miei pensieri altrove; e s’io non rimango d’amarvi hora, che la vostra volubiltà me ne dà così fiera cagione, potete ben creder ingrata, ch’io non l’habbia men fatto allhora, che fortunatissimo credea di posseder interamente il pretioso tesoro della gratia vostra; hor godete della mutatione, che v’è piacciuto di fare, ch’io per me goderò della mia immutabil perseveranza, sicurissimo, che tanto sarà grande il vostro biasmo (e me ne dorrà) quanto nobile la mia lode. Ohime, che se dall’honorato mio seggio m’havesse discacciato uno, che al pari di me v’amasse, e che ’l vostro merito conoscesse, io ’l mi comporterei; s’egli come allo stato della nobiltà vostra si conviene sapesse discretamente servirvi, e dissimulando i favori grandissimi, che voi li fate (ò consideratione, ò dolore, ò morte) sapesse accortamente dissimulargli, io quasi, quasi vi darei ragione. S’egli sapesse fingersi mesto nell’allegrezza, gioioso nel dolore, o che con lagrime di finti martiri esclamando vi chiamasse dispietata, e ’nhumana, o che almeno dicesse, che prima, che conseguir la gratia vostra, [p. 27r modifica]egli ha sofferti mille, e mille tormenti, mi parrebbe, che la mia doglia s’alleggierisse in parte; ma sapend’io, che vi siete donata ad uno, che non v’ama, ad uno, che non conosce le vostre virtù, ad uno, che non v’ha fatt’alcuna sorte di servitù dovuta, e quel ch’è peggio, ad uno, che poco, anzi nulla vi stima, non sò, come furioso non faccia cose tanto memorabili, quanto sconcie. Questi da voi novellamente eletto, mettendovi in vilissima stima, si ride, di quelle affettuose parole, che voi li mandate, mostra non sò che anello, che gli havete donato, hà (forse legato in oro, con adornamento di gioie) il vostro ritratto in uno scatolino, e dice, che havete il suo. Per conchiudere quant’ei parla de’ vostri particolari, termina il ragionamento, con questo, che voi siete fieramente presa del suo amore, e ch’egli per pietà vien’alcuna volta à vedervi; hora giudicate voi, con qual indicibil affanno sento sì fatte cose. Hor com’è possibile, che voi, che tanto giuditiosa siete, habbiate fatta così trista elettione? e com’è possibile ancora, che mi fosse la vostra benignità così contraria, che voi senza mia colpa, mi faceste così gran torto? ò Fede dove ti trovi tu? Ahi, che vinto dal furore, che m’agita abborro qual si voglia cosa, fuor, che voi, che più? odio me stesso, onde non è maraviglia, se voi non m’amate, poich’io stesso non m’amo; ma io ben m’amerei, quando voi di nuovo m’amaste; e dubio non hà, che voi m’amerete, ogni volta, che vorrete ridurvi in memoria l’antico mio amore, e la mia leal servitù. S’avvivi dunque in voi di nuovo (bellissima Donna) [p. 27v modifica]e l’amor mio, e la fede vostra, la quale vi renderà molto più amabile, e riguardevole, che non fà l’istessa bellezza, di cui vi fece la Natura sì adorna. Fate, che vostro viva colui, che vuol morir vostro, nè vi ritenga timore del mancamento fatto, che sì com’io sono stato patiente nel sopportar l’ingiuria ricevuta, così sarò pronto à scordarmela, per sempre, assicurandovi di non rimproverarlavi giamai, poiche non è sì grand’error in amore, che l’istesso Amore agevolmente nol perdoni.