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Lettere (Campanella)/CIX. Ad Urbano VIII

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CIX. Ad Urbano VIII

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CVIII. Al cardinale nipote Francesco Barberini CX. Al nunzio apostolico Giorgio Bolognetti
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CIX

Ad Urbano VIII

I medesimi lamenti, le medesime promesse e richieste
che si leggono nelle lettere di quest’anno.

Vox incessanter clamantis donec exaudias: «Usquequo, Domine, oblivisceris mei in finem? etc.»: io che servo a Vostra Santitá nel secolo presente e nei futuri, non solo stendendo ma anche amplificando gli onor suoi nella memoria universale, son uscito dalla memoria di Vostra Beatitudine in maniera che mi lascia morir di fame e di scommoditá son dieci mesi, sapendo anche quanto son poco durabili le provviste di francesi a’ quali servo fedelmente, e non ho pane. Né però gl’incolpo, vedendo che neanche provedono a se stessi. E con aver venti millioni d’uomini e ventisette million di scudi di rendite al presente, quanti non ha il turco e Spagna ed Italia, e son ascesi questo anno a trentacinque, ed han piú pane e vino e carne che il resto della cristianitá d’Europa, e pur etc. ... Io scriverei gran cose, se Vostra Beatitudine mi desse licenza, in beneficio della cristianitá che perderá li beni temporali, perduti li francesi; e si perderanno se non tornano all’obedienza di Carlo Magno, com’io loro mostrai e lo scriverò se’l comanda.

Credo Vostra Beatitudine ha visto il libro De monarchia hispanorum, ma non quel ch’adesso scrivo con etc. (?). Provedami dunque Vostra Beatitudine, come fa a tanti altri intra e fuor d’Italia; né pur son inutile a santa Chiesa, avendo ridotti giá li dottori ed ora li principi catechizo all’obedienza di Carlo Magno. E pur il libro stampato in Iesi, che può con facilitá senza rumore metter in effetto questo antico costume di principi, per gusto e suggestion di calunnianti sta serrato; e li libri di nemici al papato aperti, finché venga la commoditá, com’han la voglia, di pigliarsi tutti beni temporali della [p. 367 modifica]chiesa e Roma come fecero in Alemagna, ché sol per questo dogma gratissimo a loro fu lasciato predicar Lutero. E quel che fo in Francia ed in Anglia contra eretici, Vostra Beatitudine può saperlo d’altri, bench’il Ridolfi scriva contra me a tutti, e fa che questi riformati siano spioni suoi di me per riferir a chi egli adora, e fa ruinar la gente mia in Napoli.

Di piú la prego che mi faccia dar le Censure ch’egli fe’ fare in Roma contra quel libro che solo e con le parole di san Tomaso chiare, e fin ora contrafatte, può risolvere gli argomenti di nemici, a’ quali in cento anni non s’è con veritá e sicurtá sodisfatto. Onde i sommi pontefici fȗro astretti far decreti che non si ne disputi in publico. Signale che non era in bocca loro ancor chiarita quella dottrina che Cristo ordinò sia predicata nei tempi, nelle piazze e nei tetti, come si può far ogge con questo libro a fronte scoverta con edificazione e senza scandalo. Padre Santissimo, non mi lasci opprimere, ché di ciò succederia l’estremo danno della chiesa.

Perché se Lutero ha vinto in dire che Dio con invincibile decreto ante praevisionem meritorum et demeritorum a capriccio altri predestinò al paradiso, altri reprobò, onde nulla opera serve a mutar sorte né grado di sorte, sendo l’opere anche predestinate e fatte da Dio per arrivar al graduato fine della predestinazione e reprobazione immutabile; e li nostri tutto questo concedono con dir solo, per rimedio, che avemo la libertá di far bene e male, ma pur con tutta questa necessariamente andremo al fin della predestinazione e reprobazione senza rimedio, ma in sensu diviso, come dicon, potria esser che no; ma però mai non potrá esser altamente, perché non si può l’uomo dividere da questo decreto, né alcun mai si trovò né troverá diviso: onde séguita in ogni modo quel che Lutero affirma.

E giá tutto il mondo questo conosce: certo subito séguita che Lutero dice veritá, che la chiesa non deve aver beni temporali e che questi toccano a principi; e che li papisti gabbano il mondo con predicar queste opere pie verso la chiesa, poiché non pònno in veritá farci mutar sorte sendo [p. 368 modifica]nati giudicati e non giudicando Vostra Beatitudine difendendo me, difende sé e la santa chiesa. Mandimi le censure, e vedrá che bisogna corregger i libri loro, non i miei. Ricordisi Vostra Beatitudine che questo assai meglio ella dichiarò a me quando scrissi sopra la ode del penitente, ed al conte di Brassac che non cessa darli lode per questo e per ogni altra cosa.

Sto aspettando la lemosina e la Censura, e prego l’Altissimo per la sua salute e ben del popolo di Dio. Amen.

Scrissi molte cose importanti circa la mutazion del presente secolo e movimento dell’imperio col ius di Vostra Beatitudine chi può pur veder in san Tomaso (opuscolo De regimine principum, lib. 3, cap. 17); e che deve farsi. Ci è qui la profezia antica del chef Barberini, molto in favor della lunga vita di Vostra Beatitudine: se mi dá licenza, scriverò questo e piú cose.

Parigi, 3 novembre 1636.

Io servo fidele perpetuo
Fra Tomaso Campanella di vostre glorie.