Lettere (Sarpi)/Vol. I/16

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XVI. — Ad Antonio Foscarini

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XVI. — Ad Antonio Foscarini
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XVI. — Ad Antonio Foscarini.1


L’eccessivo freddo che mi ha tenuto agghiacciato il corpo e lo spirito, non mi ha nociuto tanto, quanto mi ha apportato noia l’apprensione degli incomodi ne’ quali io considerava trovarsi V. E. nel viaggio; chè tengo ben fermo che non andò, già cent’anni, ambasciadore in Francia con tanti patimenti. Ora sia ringraziata la Maestà Divina, ch’è stata guida a V. E., e l’ha condotta in porto con sanità. Le sue lettere de’ 17 e 30 di gennaro, alle quali sono ancora debitore di risposta, mi hanno assai turbato, vedendola ancora assediata dai ghiacci: ma l’ultima del 12 di febbraro mi ha ristorato, portandomi l’avviso dell’arrivo; imperocchè della posta rimanente non tengo alcun conto.

Per incominciar la risposta dalla prima di gennaro, io non mi meraviglio che in Francia corra voce di rottura, perchè in Italia passa lo stesso romore, ed in Venezia particolarmente si tiene per cosa certa, credo, perchè gli uomini reputano vero quello che desiderano: ma occasione non c’è. Quello che pareva al mondo difficile da risolvere, è in tutto composto; il negozio cioè del patriarca: il quale già [p. 49 modifica]è ordinato sacerdote e fatto protonotario, sicchè andrà a Roma, non per essere esaminato, ma per le cose che restano. Si disse che sarebbe partito di qua fatta l’Annunziazione, per celebrare i giorni santi di Pasqua a Loreto, con molto piacere de’ padri Gesuiti, che aspettavano di riceverlo e regalarlo spiritualmente. Adesso si dice che partirà di qua dopo Pasqua, nè si fermerà in quel luogo.2

Il signor Nicolò Contarini, a cui comunicai la suddetta lettera di V. E., restò con molto contento degli onori ricevuti da lei in Nivers; ed avrebbe voluto vi fosse stato il duca, come principe d’origine italiano, per vedere come avesse passato con confidenza: ma avrà alla corte molte occasioni di trattare.

Per venire all’ultima sua del 12 di febbraro (poichè l’altra del dì 30 non ha particolari che voglian risposta), mi occorre avvisarla che l’ambasciatore inglese a Venezia disse, che avrebbe risposto per mano del corrispondente suo, acciò con quell’occasione potesse fare l’ufficio. Io credo che il re d’Inghilterra sia mal servito, e che non solo i ministri, ma molti dei suoi intimi s’intendano con Spagna. Questo importerebbe a noi assai poco: peggio è che anche Francia è soggetta allo stesso male, essendo Villeroi ed i dipendenti suoi macchiati della stessa pece. Sciampignì non parla mai (con proposito e senza ancora), che non è poco a star bene col papa [p. 50 modifica]e dargli sodisfazione nelle sue dimande; cosa che la condiscendere il Senato a molte cose che non farebbe: ed anco Brenes fa gl’istessi offici col signor Zuane Mocenigo. Del qual Mocenigo non so che mi dire: mi riesce dissimile da sè. Quello che si potrebbe fare, sarebbe far conoscere così Sciampignì come Brenes per amici di Spagna: ma è cosa molto delicata e, per parer mio, difficile a tentare, anzi forse impossibile che riesca. Non c’è bisogno, salvo che fare animo più alli senatori che ad altri; i quali son più timidi del solito, ed anche quelli che altre volte parevano Marti. Altro non saprei che al presente fosse opportuno di fare; perchè quanto spetta a Savoia, egli è tenuto per vario, incostante e poco fedele, nonostante le dimostrazioni fatte; e nessuno può sentire di far fondamento sopra lui.3 Con tutto ciò, l’unico bene presente si è il dar animo con mostrare che Francia è amico e pronto re. Io consiglio nondimeno il mio Foscarino d’andarci cauto; perchè, oltre gli emuli e i male affetti e gli aderenti al papa, i medesimi timidi pare che abbiano sposata la sua passione, e che non sentino bene di chi vuol levargliela. Innanzi di uscire di queste cose famigliari, è pur forza che con V. E. mi meravigli del modo di procedere contradittorio di Sciampignì, il quale proceda come le ho detto, eppure abbia affrontato il nunzio con quella leggerezza fatta in sua presenza.4 [p. 51 modifica]

Quanto alle cose del mondo, della pace cogli Olandesi si pronostica variamente. Io non so che sperare o temere: tanto sono bilanciato egualmente tra l’affermativa e la negativa, che resto attonito. S’intende che nell’Haia vi siano agenti di tutti i principi di Germania, fuorchè dell’imperatore: cosa molto maravigliosa, massime ch’è cosa quasi certa che in Ungheria sia (per convenire con quei popoli) concessa per tutto il regno libertà di religione.

Delle cose de’ Turchi potrà sapere più il vero costì, che noi qui, essendo una mano di lettere sempre una contraria all’altra; sicchè ora tutto pare pieno di ribellione e di debolezza, ora tutto composto e ordinato.

Il signore ambasciatore Sciampignì ha fatto in casa sua una festa, alla quale è intervenuto il signor nunzio apostolico in abito, ed il signor ambasciadore d’Inghilterra in maschera, con intervento di ninfe recitatrici di cose appropriate a’ tempi presenti, e di cavalieri introdotti e venuti in aiuto di Venezia; e questa, a parlare di sè e di loro molto degnamente. Ho creduto non dover essere discaro a V. E. il sapere tutto il particolare; e però le mando i versi recitati; con aggiungervi appresso, ch’esso ambasciadore proprio ha fatto la composizione in franzese, ed ordinò che si trasportasse da un valent’uomo in italiano in quella forma.

Non vorrei esserle importuno.

Di Venezia, il 4 marzo 1608.



Note

  1. Stampata tra le Scelte Lettere inedite di Fra Paolo Sarpi, date in luce per cura di A. Bianchi-Giovini (Capolago 1847). L’editore di queste Lettere stimò bene di rammentarci che quest’Antonio Foscarini, allora eletto ambasciatore alla Corte di Francia, “è quel medesimo che fu poi fatto impiccare dal Consiglio dei Dieci siccome reo di tradimento contro lo Stato, ed indi dal medesimo Consiglio riconosciuto innocente.„ Non sarà questa l’ultima volta che di lui ci accadrà di parlare in queste annotazioni.
  2. A comporre un’antica contesa che la Repubblica aveva con Roma circa i privilegi del suo patriarca, era stato di recente convenuto con Paolo V, che il patriarca novello farebbe il viaggio di Roma per mèra formalità. Vuolsi però che il papa, abusando la pubblica fede, sottoponesse quel prelato ad esame e gli desse per esaminatore un gesuita: di che il Senato ebbe gravemente a querelarsi.
  3. Il duca Carlo Emmanuele, sì per la geografica posizione de’ suoi Stati, e come tratto dalla necessità del conservarli e dalla brama di aggrandirli, incontrò facilmente la taccia d’incostante nelle amicizie e di troppo mutabile nelle alleanze. A ciò sono allusive anche le metaforiche parole dei laberinti di Savoja, che si leggono alla pag. 45.
  4. Se ne parla sulla fine di questa medesima Lettera.