Lettere (Sarpi)/Vol. I/86

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LXXXVI. — Al signor De l’Isle Groslot

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LXXXVI. — Al signor De l’Isle Groslot
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LXXXVI. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Vengono di costì portate le lettere con tanta varietà di tempi, che non è maraviglia che dopo qualche giorno io non possa riconoscere se alcuna particolare mi sia capitata: per il che è facil cosa che io prendessi errore quando scrissi a V.S. che quella de’ 17 maggio fosse perduta. Per questo corriere ricevo insieme quella delli 14 giugno, con un’altra degli 8 luglio.

La fabbrica della Chiesa di Dio, se ben formata da così grande artefice, ha avuto sempre ed avrà delle imperfezioni per difetto della materia. Purchè il fondamento stia, bisogna sopportar gli altri mancamenti e passarli per umani. Questo fa che io non mi maraviglio tanto per l’inconveniente passato nell’ultima congregazione; ne quello mi può far pregiudicare che ogni cosa sia stata fatta male: anzi, presupponendo che ogni azione umana manchi di perfezione, veduto quel difetto, presuppongo che il rimanente sia passato bene. A chi vorrebbe ogni cosa perfetta, bisogna raccordare il detto dell’Evangelio; cioè, come si adempiranno le Scritture.

Intorno il libro del re d’Inghilterra, quella maestà ne ha mandato un esemplare latino alla Repubblica, con una sua lettera, che sono stati ricevuti con quella gratitudine che merita la scambievole amicizia; se bene sieno stati fatti uffici molto gagliardi per il contrario, quali in altro tempo avrebbono fatto spavento, ma in questo non possono. Il [p. 284 modifica]libro intendo che dal padre Cottone sia commendato di modestia regia e di buoni fondamenti per sostenere il giuramento di fedeltà. Se quel padre ha tal concetto, non posso non conformarmi a tanta sapienza: perchè li padri Gesuiti non sogliono aver opinioni particolari, ma solo quella di tutta la società. Nell’edizione che venne già un anno, fu osservata la istoria dell’uccisione di Filippo di Svevia imperatore, dove vi fu equivocazione di Ottone che l’uccise e Ottone che gli successe, riputati l’istesso, che furono due;2 e un’altra cosa che adesso non ho memoria: ma nella seconda edizione mi pare che sia corretto. In questa seconda però, V.S. potrà vedere dove nomina la pragmatica di san Luigi di Francia, e dirmi il suo pensiero. Dove il papa è trattato tanto apocalissicamente,3 io vorrei meno, e più regiamente. Nella commedia è più lodata la persona che parla non meglio, ma secondo il decoro.

Delle cose del mondo non so che dire: siamo in una pace universale. Se bene in diversi luoghi li mali umori mostrino di voler intumidirsi, forse tutto terminerà in bene. Li Boemi hanno fatto rumore a giorni passati: adesso par che rallentino. S’intende anco certo moto in Stiria e Carintia per aver [p. 285 modifica]libertà; cosa molto importante per l’Italia, con la quale confinano. Cleves però non turba il mondo. Queste cose pronosticano quiete. Non si fa gran conto delle cose degli Svizzeri, e io temo che forse di là non venga qualche male. Che infelicità possiede il secolo presente! A me pare un tempo di peste, che ogni male degeneri in essa: così adesso ogni controversia è di religione. Possibile che non vi sia altra occasione di far guerra.

Quanto all’Abbazia nostra, il cardinale non l’avrà in apparenza, sebbene in esistenza; e le cose sono terminate nella peggior maniera che potessero. Io vorrei che mai si fosse trattata questa materia, più tosto che averla condotta al fine dove siamo. Mi consolo che tutte le cose non possono andar bene: però non mi contento quando vanno male, perchè noi stessi vogliamo. Ma ci è bene un poco di colpa di costì; se bene chi fa male non si può scusar sopra la tentazione, se ha forza di superarla. Non posso scriverle di questa materia senza dispiacere: però qui faccio fine e le bacio la mano, e per nome ancora del padre Fulgenzio.

Di Venezia, il 4 agosto 1609.




Note

  1. Dalla raccolta di Ginevra ec., pag. 180.
  2. L’uccisore fu Ottone di Wittelsbach; il successore, Ottone di Baviera, conte di Poitou.
  3. Si sa che, secondo l’uso migliore, da Apocalissi, non derivasi apocalissico, ma invece apocalittico; raddolciraento di apocaliptico. Ma noi non crediamo queste lettere uscite così com’ora si leggono dalla penna del Sarpi; o tanto almeno corrotte nella stampa ginevrina, da non sapersi citare altro esempio di un abuso sì grande, in tanta e sì deplorabil copia degli abusi di tal fatta.