Lettere (Sarpi)/Vol. II/123

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CXXIII. — Al signor De l’Isle Groslot

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CXXIII. — Al signor De l’Isle Groslot
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CXXIII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


È vero ch’io ho mancato di mio debito restando di scrivere a V.S. per alcuni spacci; sebbene ne merito qualche scusa, avendolo fatto per l’avviso datomi da monsieur Castrino della sua indisposizione, la quale io non reputavo conveniente accrescere con la noia di leggere lettere di poco succo. Ma ritornato al mio debito continuando di scriverli dopo intesa la convalescenza, non mi par di aver mancato mai; e credo che sarà avvenuto a me quel che a Lei, per la dilazione delli corrieri. In un mese che noi ne dovevamo aver due, ne abbiamo avuto un solo; il quale mi ha portato due pieghi, in un de’ quali era la sua del 23 dicembre, e nell’altro quella del 6 gennaio.

La prima, io la veggo piena di molto giudicio in prevedere i mali de’ quali io ancora ho grandissimo timore: e con tutto ch’ella nello scrivere la seconda, in tutto mutata, fosse piena di speranza che il pronostico non dovesse riuscir vero, io nondimeno resto persuaso della prima, non potendomi capir nell’animo, che i Gesuiti, tanto gran maestri, abbiano fatto così gran salto di sonar alla guerra, [p. 11 modifica]senza qualche disegno che non possa esser impedito da chi s’accorge dell’error suo tardi. Sebbene non so se debba chiamar errore quello che pare; ma forse è fatto per necessità occulta agli altri, ma ben nota a chi la sente. Io mi ricordo di quel Romano che solo sentiva la voce della sua scarpa. È savio chi conosce le sue indisposizioni, e le temporeggia senza manifestarle, e non fa mostra di sanità, perchè non li riuscirebbe forse. E li Gesuiti non stanno attaccati a cotesto regno per le radici fatte dopo il loro ristabilimento, e per i favori del re; ma per più alte e più ferme, messe nelli tempi innanzi: le quali fu prudente consiglio (poichè non si potevano sbarbicare) coprirle di terra, se adesso non germogliano; e forse anco è meglio lasciar loro le foglie che gettano, per timore che non ingrossino maggiormente il fusto.

Quanto a noi qui, non sentiamo che trattino alcuna cosa del loro ritorno in questo Stato, non credo per averselo scordato, ma perchè non hanno forse a segno tutti li pezzi per dar la batteria: la quale non dubito che non sia per succedere; ma se con quella faranno breccia o non, essendo evenimento futuro, resta posto nella buona volontà di Dio. Chi attendesse la loro onnipotenza e l’aver sempre ottenuto ogni disegno, farebbe un pronostico: chi avvertisse la risoluzione che continua qui, farebbe il contrario; e alcuno potrebbe, tenendo via di mezzo, dire che se le cose del mondo terminano in fumo, essi avranno avvantaggio; ma se ne riuscirà fuoco o fiamma, non farà per loro.

Il signor Molino ha ricevuta la sua lettera, e li è stata molto cara, e li è piaciuto quello che del Menino dice, per aver occasione di confortarlo. Adesso [p. 12 modifica]non è da temere che alcun dì più cada, perchè li avversari hanno mutato opinione, e vogliono mettere in total oblivione le cose passate.

È vero che il signor de Champigny ebbe qualche difficoltà, non di riconoscere l’ambasciatore delli Stati (e questo non si metteva in dubbio), ma di onorarlo con la visita: il che era trattarlo di pari degli ambasciatori regii. Questa Repubblica l’ha conosciuto e trattato per tale, e l’istesso ha fatto l’ambasciatore del re d’Inghilterra. La difficoltà di Champigny nasceva perchè ne fu scritto di Francia, che li facesse onore conveniente a principe di quella qualità; parole che si potevano intendere in diminuzione e in augumento. È da scusare ognuno che non sa interpetrare oracoli.

Mi pare d’aver scritto un’altra volta a V.S., esser stato certificato che il libro De modo agendi Jesuitarum2 fu composto da un Carlo Perkinson, il quale ancora vive in corte del re della Gran Brettagna: ma non è mai l’opera data alla stampa. Solo ne sono andati attorno alcuni esemplari manoscritti: per il che ho deposto il desiderio di averlo. Ma il Muranese non mancherà del suo dovere.

Ritornando alle turbazioni del mondo, quando la stagione non è da pioggia, le nuvole non pronosticano acqua. Questo secolo è una stagione di pace: però, con tutte le provvisioni, spero che vedremo ogni cosa risolversi in grande serenità. Non fu manco vicino alla rottura nel tempo che V.S. stava qui, di quel ch’è adesso: quella si racconciò; si farà l’istesso adesso per mano del medesimo medico. Ma [p. 13 modifica]se il mio pronostico non riuscirà vero, non saremo esenti di qua da monti, perchè non manca chi mette contro la briga. Se li Spagnuoli potranno, al sicuro vorranno l’Italia quieta; ma se altro potrà a chi3 mette conto intorbidar l’acqua, succederà altrimenti.

Son restato pieno di stupore per il Gesuita che ha dimandato salvo condotto per andar in Inghilterra, e maggiormente stupirò se gli sarà dato.

Quanto alli libri descritti nella polizza che V.S. manda, quelli sono molto buoni; ma non vedo che sia tempo di farli trapassare, per una infinità di buone ragioni, e lungo sarebbe scriverle. Io pensavo dover inviare a V.S. alcune memorie, le quali adesso sono tanto particolarizzate, che sono giunte a cento fogli, e avevo da comunicarli il modo che non era sicuro metterlo in pericolo di esser palesato;4 ma lo stato delle cose presenti costringe a non ne far niente, essendo fatto tutto diverso da quello che prima era.5

Il signor Assellineau ha ricevuto quella di V.S.; ma non l’ho ancora potuto vedere, così per ricevere la comunicazione delle cose scritteli da lei, come acciò mi leggesse le copie ch’ella manda; le quali sono veramente di forma di lettera che ha bisogno [p. 14 modifica]di aiuto. Non sarò più lungo; ma facendo fine, a V.S. bacio la mano.

Di Venezia, il 3 febbraio 1610.




Note

  1. Dalla raccolta di Ginevra, pag. 217.
  2. Vedi tom. I, pag. 101 ed altrove.
  3. Intendasi: ma se potrà l’altro al quale ec.; cioè l’inquieto duca di Savoia. Vedi tom. I, pag. 350.
  4. Così ha la prima stampa; ma sembra da correggersi: il modo che v’era sicuro per non metterlo in pericolo ec.
  5. Pare che una segreta intelligenza cominciasse a formarsi, dopo l’interdetto, tra i patrizi più conservatori della repubblica di Venezia, e la corte romana, i Gesuiti e la Spagna. Il sotterraneo lavorío delle sètte, che troppo sprezzasi ai giorni nostri, è quello che spesse volte conduce il mondo ancora ov’esso non vorrebbe andare.