Lettere (Sarpi)/Vol. II/172

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CLXXII. — Al medesimo

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CLXXII. — Al medesimo
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CLXXII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Questa è la seconda che scrivo a V.S. per via di Torino: per l’altra le diedi conto della ricevuta di tutte le sue; l’ultima delle quali fu delli 15 febbraio. Al presente accuso la ricevuta di quella del primo stante, per la quale veggo la necessità che ha la Francia di fare qualche buona provvisione contra i Gesuiti; e senza dubbio, sono incompatibili gli interessi dell’una con quelli degli altri. Io credo bene che i Riformati vi penseranno, e che di là nascerà qualche rimedio: altrimente veggo eccitata guerra civile.

Avrà V.S. ricevuto, insieme con la precedente mia, [p. 198 modifica]il decreto di Spagna contro il tomo undecimo di Baronio; il quale, se bene proibisce solo la parte che tocca la monarchia di Sicilia, nondimeno mi pare che sii una macchia a tutta l’opera, e all’autore medesimo ancora, al quale vengono dati epiteti che toccano la coscienza e la realtà dello scrittore.

L’ufficio che V.S. ricorda verso il signor Casaubono, sarà fruttuoso, e procurerò che sia fatto efficace da Wotton, che fu ambasciatore qui. Credo che le gran preparazioni che si fanno per la difesa di Ginevra faranno sfumar tutti i disegni, se pur ve n’erano; perchè quanto a me, credo, che più tosto fossero rivolti a Berna.2 V.S. tenga per certo, che il duca di Savoia è inquieto, e farà qualche gran male a Francia, ovvero a Spagna, ovvero a Italia, ovvero a sè stesso. Non fu buon consiglio che diede Bouillon di mandar il figlio in Spagna, e dubito che la Francia farà sempre di questi errori.3

In Italia non abbiamo alcuna cosa di nuovo, se non che di Spagna hanno levato 13 mila ducati d’entrata al Contestabile, che egli aveva in regno di Napoli; ed è fama che si pensi di levargli anco il contestabilato, che importa d’entrata 11 mila: [p. 199 modifica]cosa che dà da pensare assai, essendo costume di Spagnuoli più tosto di esser prodighi nel donare, che inclinati al contrario. Però queste cose dànno poco da pensare, essendo certo che quel re vuole onninamente la pace in Italia.

Gli occhi di tutti sono rivolti alle cose di Germania, le quali sono di tanto momento e così gran conseguenza, che maggior non si potrebbe pensare. Sopra tutto, io resto pieno d’ammirazione, come, essendo noto a ciascuno che i Gesuiti sono stati autori e istigatori di tutto il male occorso, siano nondimeno esenti dal partecipare ai pericoli ai quali è esposta l’altra parte, e restino sicuri di continuare a far ardere il fuoco maggiormente. Piace così a Dio di acciecar il mondo, che non vegga nella luce del sole.

L’apologia di Richéome è libro troppo grosso da venir col corriere. Non vorrei, che V.S. prendesse questo incomodo, perchè vedrò di farlo capitare a Francoforte, di dove mi verrà con gli altri libri della fiera.

Ho veduto l’apologia che fa per i Gesuiti l’arcidiacono di Rouen: cosa molta artificiosa, però che porge materia di dire assai cose. Se la Sorbona dasse fuori quel decreto che fecero il primo di febbraio, io avrei per singolar favore di riceverne una copia; ma se non lo dànno fuori, non è cosa da curar molto.

Una cosa mi si rende dubbia, della quale desidero esplicazione da V.S. con suo comodo. Il re di Francia è di anni dieci, quando a me pare che l’uomo abbia intelligenza assai, e possi dire — voglio; — e pur non lo sento nominare, come se fosse in fasce. Desidererei che a V.S. fosse dato carico d’andare alla Congregazione generale, e spererei qualche buon frutto: come prego Dio, che si effettui. Il quale [p. 200 modifica]ancora prego che doni a V.S. ogni vero bene; alla quale bacio la mano, insieme col signor Molino e P. Fulgenzio.

Di Venezia, li 29 marzo 1611.




Note

  1. Stampata come sopra, pag. 339.
  2. Erroneamente leggevasi nella prima stampa: Genova (e così più volte) e Brescia. Si vedano ancora le pag. 203 e 205.
  3. Secondo alcuni storici, fu il pontefice Paolo V che determinò Carlo Emmanuele a mandare in Ispagna il principe Filiberto a fare al re Filippo III proteste che, comunque si volesse colorarle, sentivano pur sempre di umiliazione. Adempiè il giovane a sì difficile atto con fermezza e dignità; ma il padre, o per le forme usate o pel poco buon esito della cosa, ne montò poscia in furore; e sarebbesi abbandonato alle imprese più temerarie, anche a danno degli Svizzeri, se non lo avesse trattenuto il contegno e il troppo espresso dissenso della corte di Francia.