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Lettere (Sarpi)/Vol. II/177

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CLXXVII. — Al medesimo

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CLXXVII. — Al medesimo
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CLXXVII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


L’ultima mia fu delli 22 giugno; la quale credo le giungerà in mano tardi, dovendo fare molte posate innanzi che arrivi costà. Per questo corriere ho ricevuto duplicato favore da V.S. con due sue, l’una delli 26 maggio e l’altra delli 3 giugno; le quali mi hanno riempito l’animo d’allegrezza, per la speranza che l’assemblea debba aver buon successo, come [p. 215 modifica]prego la Maestà divina che succeda, tenendo per fermo che ciò importi alla Religione non meno in Italia che in Francia.

È venuta nuova qui, che il primo presidente abbia mandato via il padre Goutieri,2 che mi parerebbe un buon principio e fondamento di gran speranze.

Finalmente tutta la macchina papistica è al presente sopra i Gesuiti. Viene a Roma il confessore di Leopoldo, per fare l’ultimo sforzo delle cose di Germania. Di là abbiamo continue nuove di confusione, ma nella maniera che sogliono passar tra’ privati, e non tra’ principi; tutte con consigli medii, che servono a confondere sempre più. Nissuna cosa di que’ successi m’ha parso considerabile, se non la resoluzione di quei prelati di contribuire ogni anno 500 fiorini per fare tesoro. Invitano a parte anco il pontefice, il quale però non ha nissuna inclinazione d’implicarsi in altro che in metter pace. Le città hanno gran ragione di non restar soddisfatte delli prencipi collegati con loro, poichè del fatto di Donavert,3 che fu principio e causa della collegazione, non si è trattato niente; e se non averanno qualche incitamento degli avversari che li faccia riunire, quella lega farà pochi progressi.4 Non pare che di [p. 216 modifica]Germania si possi aspettar altro al presente, se non che li papisti si alienino dal papa.

Quanto s’aspetta a Savoia, certa cosa è ch’egli farà tutto il possibile per inquietare. Con tutto ciò, la opinione universale è, che nessuna cosa gli possa sortire, se non forse qualche impresa furtiva. Da questo conviene bene che si guardi chi ne ha esempi passati.

Io son costretto, contro il mio volere, a scrivere brevi lettere a V.S. per difetto di materia, essendo l’Italia in un ozio così profondo, che non solo ci tiene lontani dalle novità, ma anco dalli disegni e pensieri: di maniera che, anco li scrittori delle Gazzette non hanno altra materia, se non qualche conviti apparati di feste.

La Republica segue l’incominciato sopra Ceneda. Il papa sta per ciò molto ben sdegnato. Non si vede che provvisione sia per fare, ma al certo farà. Alcuni dei nostri biasimano il nostro tentativo, dicendo che se la Spagna adesso assistesse al papa, non si ha dove aver ricorso ed aiuto. Son certo che la stessa ragione travaglia il papa, quale vede non potersi sostenere se non mettendosi sotto Spagna: cosa che abborrisce. Dubito che non ci portiamo senza accorgercene in qualche passo pericoloso.

Le dispute successe in Parigi non sono piaciute a Roma. Biasimano il nunzio. Se fosse messa a campo quella controversia, temo ecciterebbe una sedizione tra li papisti stessi.

Vedendo la divisione che nasce tra Gesuiti e altri papisti per la libertà gallicana, se li Riformati fomentassero il partito della libertà, il quale sebbene non è perfetto è però manco cattivo, forse si [p. 217 modifica]indebolirebbono li Gesuiti, che sono li più opposti alla vera Religione, e s’aprirebbe via a concordare con li Gallicani. Non ci è impresa maggiore che levar il credito a’ Gesuiti: vinti questi, Roma è persa, e senza questa la Religione si riforma da sè.5 Questo le dico avendo saputo l’estremo dispiacere sentito a Roma per la disputa de’ Giacobiti, e l’avvertimento dato al nunzio di guardarsi da simili occorrenze. A pigliar un consiglio, basta saper che l’avversario lo sfugga, senza che santo Paolo ne ha dato esempio a...6

Se V.S. si ritrova ancora nello istesso luogo, la prego far li miei umili baciamani a monsignor Duplessis;7 e facendo qui fine, faccio a V.S. umil reverenza, insieme con il signor Molino e il padre Fulgenzio. Diverse cose avrei da dirle, ma non ardisco metter tutto in carta sino a tanto che avrò nuova che la cifra sia giunta; e allora con maggior libertà potremo esplicar l’un l’altro il nostro sentimento. Dio la conservi.

Di Venezia, li 5 luglio 1611.




Note

  1. Dalla raccolta come sopra, pag. 370.
  2. Così ha la prima stampa; onde parrebbe nome non di stampo italiano. Comecchessia, e per la sua desinenza e per parlarsi (come sembra) di un gesuita, non è da confondersi con quelli di Gonthieres o di Goultier, portati anche allora da illustri uomini della Francia.
  3. Città della Baviera, di cui parlasi anche alla pag. 94.
  4. L’indole politica degli Alemanni ha sino a qui (se i fatti visibili non c’ingannano) variato assai poco; e l’acuto ingegno del Sarpi troppo bene avea saputo giudicarla!
  5. Comunque, secondo le opinioni e le passioni diverse, queste parole sieno per essere interpretate, noi le raccomandiamo alla meditazione dei lettori, per ben comprendere lo spirito ed il finale intento del Sarpi.
  6. Lacuna della prima edizione.
  7. A cui, dopo 40 giorni, l’impavido Servita tornava a scrivere gli arditi concetti che ci sarà dato di scorgere nella Lettera CLXXXI.