Lettere (Sarpi)/Vol. II/178

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CLXXVIII. - Al medesimo

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CLXXVIII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Questo corriero non mi ha portato lettere di V.S.: il che le dico solo per avviso. Io parimente ho poca materia da scrivere, passando le cose qui in Italia con tanta quiete, che maggiore non si potrebbe pensare nè desiderare. Faccia Dio che sia perpetua, s’è però a sua gloria e beneficio nostro. Solamente il duca di Savoia sta guardato, come se fosse tra nemici. Ha fatto venir 900 Savoiardi in Piemonte, e posti nelle sue terre 1500 Svizzeri. In Savoia difficilmente si quieta, o perchè abbia ragione di suspicare, o perchè pretenda averla.

Ma le cose di Germania sono bene in molte alterazioni; e sebbene pare che tra fratelli Austriaci sia per conciliarsi concordia, nondimeno sarà con diminuzione dell’uno e dell’altro. La morte del duca di Sassonia2 pare bene che possi aver conseguenze di comune beneficio: nondimeno l’evento delle cose è così incerto, massime in quella regione, la quale ancora non s’è liberata affatto dell’ozio invecchiato, che malamente si può predire cosa alcuna.

Sono già venute nuove qua, che l’assemblea di costì abbia avuto fine tranquillo, con soddisfazione di tutti. Il che dà manifesto segno che Dio riguarda cotesto regno con occhi di pietà: ma di questo io aspetto d’intenderne qualche particolare da V.S. Mi dà un poco di noia che Barberigo partirà presto; onde resto in gran pensiero come si continuerà la [p. 219 modifica]nostra comunicazione, la quale non vorrei per molto che restasse interrotta.

In Roma, il cardinale di Gioiosa è stato infermo di una diarrea con febbre, che faceva dubitare della sua vita: al presente si trova senza pericolo. Il papa negozia con la Repubblica di quello che altre volte ho scritto a V.S., con tanta destrezza, che non si potrebbe maggiore; e (quello che non piace al Padre) con questo avanza; e vi sono persone tanto semplici, che lo stimano mutato di volontà, e pochi l’interpretano quello che veramente è, un accomodarsi alla necessità ed un conservarsi l’animo cattivo; anzi farlo più intento, con pensieri di vendetta maggiore all’opportunità. Sento dispiacere che per questa sorte di accidenti deteriora quel poco di Religione.3

Insomma, si vede per esperienza che non piace a Dio benedire il suo servizio cominciato per fini umani con l’occasione della vanità. Per via di Soría ho inteso gran cose del procedere de’ padri Gesuiti nelle Indie, dove s’hanno ridotto a dominare apertamente: manifesto indizio della intenzione che hanno di fare lo stesso in Europa, se potranno. Io non sarò più lungamente tedioso a V.S. con la presente, ma qui facendo fine, le bacio la mano.

Di Venezia, li 23 luglio 1611.




Note

  1. Edita come sopra, pag. 375.
  2. L’elettore e duca Giovanni Giorgio I, che morì di soli 45 anni.
  3. Siccome le cumulate ricchezze, e spesso anche le repubbliche, si disfanno e rovinano per l’incapacità o malvagità di quelli che le amministrano, così i tesori raccolti dal sangue dei martiri... Ma non vogliam dire più oltre. Noi non faremmo se non ricordare altrui quello ch’egli ha cento volte pensato, non senza dolore, in sè medesimo.