Lezioni sulla Divina Commedia/Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57/Il Purgatorio/Lezione VII

Da Wikisource.
Il Purgatorio - Lezione VII

../Lezione VI ../Lezione VIII IncludiIntestazione 29 agosto 2023 75% Da definire

Il Purgatorio - Lezione VI Il Purgatorio - Lezione VIII
[p. 272 modifica]

Lezione VII

[Carattere del passato e del pentimento nelle anime purganti.]


Le passioni sono finora fuori delle anime, nelle quali non ci è che una semplice ripercussione di quelle. Si riflettono in loro e n’escon fuori sotto la forma d’impressioni. Ma le anime non sono semplici spettatori; sono anche attori; e perciò dopo di aver esaminato quello che esse veggono, bisogna esaminare ora quello che esse sono.

La base de’ caratteri dee esser sempre la realtá. Ora nella realtá non si trovano uomini di un pezzo, una specie di linea dritta, nella quale non si trova che sempre lo stesso punto; ma un misto di bene e di male, di qualitá diverse e talora opposte. Le anime di Dante non sono quindi concezioni artificiali ed astratte, ma veri uomini, quantunque in un mondo soprannaturale: la poesia, diventando divina, non cessa di essere umana. Trovi in esse qualitá comuni che costituiscono l’elemento divino e qualitá proprie che costituiscono l’elemento terreno.

L’elemento terreno nell’inferno non è solo un passato ma un presente: i peccatori conservano ancora le passioni che ebbero in vita. Queste passioni sono spente nelle anime purganti, e perciò rimangono una semplice ricordanza. Non hai dunque che il semplice fatto, il quale ritorna alla memoria scompagnato dalle passioni, che lo fecero nascere. Ecco in che modo Jacopo del Cassero (canto V) parla del suo uccisore:

                                    Quel da Este il fe’ far, che m’avea in ira,
Forse piú in lá che dritto non volea.
     

Non è il linguaggio di un offeso ma di un giudice che definisce il fatto con tranquilla imparzialitá. La poesia di questo racconto è tutta nella descrizione del fatto, come in questa terzina dove il vigore è uguale all’evidenza: [p. 273 modifica]

                                         Corsi al palude, e le cannucce e il braco
M’impigliar si ch’io caddi, e lá vid’io
Delle mie vene farsi in terra laco.
     

E se pure affetti appariscono in questi racconti sono affetti gentili, trattenendosi il personaggio sopra i tratti piú commoventi. Cosi la Pia non fa menzione del suo amore, su di cui si trattiene con tanta compiacenza Francesca, non impreca al marito come fa Francesca; lascia indovinare la sua morte, e la sua anima gentile si riposa sul momento in cui il marito le poneva in dito l’anello. Questa maniera di raccontar^ si accosta alla forma didascalica: non sono uomini appassionati: sembra una riunione di uomini savii e tranquilli. Tale è il discorso tra Buonagiunta (canto XXIV) e Dante, dove il poeta coglie con tanto sentimento il fenomeno dell’ispirazione, ed è conscio dell’infinita distanza che lo separa da’ suoi contemporanei. Tale è ancora il discorso di Oderisi (canto XI) sulla vanagloria; giustamente ammirato si per il colorito locale, e si per l’originalitá e sublimitá delle immagini. È un sublime negativo. La gloria vi è paragonata ad un «fiato di vento», al «color dell’erba»; e la lunga durata del nome rispetto all’eternitá è paragonata ad «un muover di ciglia».

L’elemento terreno si congiunge col divino. E prima spunta fuori il pentimento. Ma il pentimento stesso è un passato che le anime non possono piú rifare con la stessa commozione. Tale è il pentimento di Adriano V; tale è quello di Buonconte (canto V). Il pentimento s’indovina da qualche tratto, che come lampo illumina tutta la scena; come sono i due particolari: «nel nome di Maria finii» e l’altro:

                                         E sciolse al mio petto la croce,
Che fei di me quando il dolor mi vinse.
     

Il pentimento comparisce in un modo piú distinto nel solo grande personaggio, che s’incontri nel Purgatorio, in Manfredi. La memoria di Manfredi era ancor fresca:

                                    Bello era e biondo e di gentile aspetto.      
[p. 274 modifica]

Quantunque scomunicato confida nel perdono di Dio e si pente. Nelle sue parole trovi una gran fede in Dio, molta pietá, che gli fa adoperare tenere immagini per rappresentare il suo corpo; non ombra o d’odio o d’ira contro il papa, contro il pastor di Cosenza, contro i suoi nemici. Ma dove il pentimento si mostra veramente drammatico, è in Dante, il vero protagonista del purgatorio. Il pentimento per le anime è un passato, per Dante è un presente.